Medicina e ricerca

Verso la digitalizzazione dei farmaci: tra opportunità e regolamentazione

di Laura Liguori e Adriano D’Ottavio (studio legale Portolano Cavallo)

Guardando al momento storico in cui ci si trova, ai passi da gigante che le tecnologie e, più in generale, il mondo digitale hanno compiuto nell'ultimo decennio e, soprattutto, al consolidamento che il progresso tecnologico avrà nel recente futuro, bisogna considerare che nei prossimi anni saranno diverse decine di miliardi i dispositivi (di ogni tipo) connessi alla rete.

Non a caso infatti, è da pochi giorni che circola in rete la notizia relativa all'approvazione da parte della Food and Drug Administration (Fda), di Abilify MyCite: un farmaco antipsicotico prodotto da Otsuka Pharmaceutical Co., Ltd, e dotato di un sensore che, entrando in funzione a contatto con i succhi gastrici del paziente, è in grado di comunicare con un “cerotto intelligente” – indossato dal paziente stesso e rientrante nella categoria dell'Internet of Things – al fine di permettere il monitoraggio dell'aderenza terapeutica.
Siamo in presenza del primo vero “farmaco digitale”: una perfetta combinazione tra un farmaco (usato per il trattamento della schizofrenia, per il trattamento di episodi maniacali e misti associati a disturbo bipolare e per l'uso come terapia aggiuntiva per la depressione negli adulti) e un dispositivo tecnologico. Un chiaro esempio di evoluzione scientifica in grado di creare una vera e propria rivoluzione, soprattutto se applicata in ambito medicale.

Ed è per questi motivi che le peculiarità di un simile farmaco portano ad effettuare una serie di considerazioni, in particolare in merito:
(i) all'idoneità dello strumento e della tecnologia a supporto dal punto di vista della sicurezza, della qualità e dell'efficacia intrinseca (aspetto che deve essere valutato dalle autorità regolatorie a seguito di specifiche sperimentazioni che coinvolgano, come in questo caso, non solo il farmaco, ma la combinazione tra farmaco e dispositivo);
(ii) alla concreta possibilità di tutelare i dati personali dei pazienti, che coscientemente prestano il proprio consenso informato al trattamento, prevedendo una serie di misure di sicurezza adeguate al trattamento stesso; e
(iii) ai profili di responsabilità connessi ad un eventuale malfunzionamento di questo sistema.

L'immissione nel mercato di un farmaco a tal punto innovativo dovrebbe infatti passare, senza ombra di dubbio, per un’attenta valutazione di impatto sulla protezione dei dati personali dei pazienti, in applicazione, fra le altre cose, dei principi di “privacy by design” e “privacy by default” che il Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati 2016/679 individua come obblighi fondamentali con riferimento all'utilizzo di nuove tecnologie e possibili rischi per gli individui.

L'attenzione deve dunque necessariamente porsi sul dato raccolto e successivamente trattato, sulle modalità di comunicazione dello stesso tra i vari strumenti che intervengono per il corretto funzionamento del farmaco digitale (il sensore che viene attivato dai succhi gastrici, il cerotto ricevente, il telefono che riceve il dato e la piattaforma attraverso cui il medico può controllare/monitorare l'aderenza terapeutica), sulla protezione dei canali comunicativi (mediante tecniche crittografiche e altre misure di sicurezza, al fine di scongiurare attacchi informatici e altri accessi non autorizzati al contenuto delle comunicazioni e ai metadati), nonché sulla corretta configurazione dei ruoli e delle responsabilità tra produttore, medico, gestore dell'applicazione mobile e gestore della piattaforma. Il tutto, sia in relazione alla tutela dei dati personali sia avendo riguardo ad ogni possibile danno che possa subire il paziente per effetto di un cattivo funzionamento di questo complesso meccanismo.

L'approvazione da parte della Fda del primo farmaco digitale al mondo è senza ombra di dubbio potenzialmente in grado di porsi sulla scia dei benefici che l'impiego delle tecnologie è stato in grado di apportare in ambito medicale fino ad oggi; ma affinché ciò possa davvero realizzarsi, è più che mai necessario avere cura non soltanto dello stato di salute dei pazienti, ma anche e soprattutto della protezione dei loro dati personali e del rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali a loro riconosciute.


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