Medicina e ricerca

Malattie reumatiche, priorità alla medicina personalizzata

di Luigi Sinigaglia (direttore S.C. Reumatologia DH ASST Gaetano Pini, Centro Specialistico Ortopedico Traumatologico Pini-CTO di Milano)


La Giornata Mondiale delle Malattie Reumatiche, che si celebra il 12 ottobre, è l'occasione ogni anno per riportare l'attenzione su questa famiglia di patologie che in Italia affliggono oltre 5 milioni e mezzo di persone. Nonostante i numeri, si conoscono poco e sono sottovalutate, spesso semplicisticamente definite nel gergo comune “reumatismi” o “dolori alle ossa”.

Si tratta invece di patologie complesse e con un forte impatto umano e sociale. Si pensi per esempio ad una delle più diffuse come l'Artrite Reumatoide che rappresenta in percentuale solo lo 0,5% di tutti i casi ma che in numeri si traduce in 300mila malati, soprattutto donne, il 75% in età lavorativa. La patologia ha un forte impatto sulla qualità della vita del paziente: si calcola che oltre il 25% di chi ne è affetto sia parzialmente limitato nel tempo libero e nel lavoro e che il 4% conviva con una disabilità. Nel 40% dei pazienti, inoltre, l'Artrite Reumatoide si manifesta in una forma precoce e aggressiva che provoca maggiore disabilità, perdita della capacità lavorativa e più alta mortalità per manifestazioni extra articolari, in primis per patologia cardiovascolare che colpisce soprattutto le donne tra i 40 e i 50 anni, con una riduzione della sopravvivenza dai 3 ai 10 anni.

Rispetto ad altre forme di artrite, in quella precoce e aggressiva l'infiammazione a livello della membrana sinoviale che riveste l'interno di tutte le articolazioni mobili del nostro organismo comporta un precoce danno anatomico agli altri tessuti articolari, soprattutto alla cartilagine e all'osso subcondrale ma anche a tendini e legamenti, arrivando, nel giro di un paio di anni, alla completa abolizione della funzionalità del distretto articolare colpito. In questi casi la diagnosi precoce e la tempestività della definizione di un trattamento appropriato sono determinanti in quanto i pazienti sottoposti alle cure entro i primi 3 mesi dall'esordio evidenziano una migliore prognosi in termini di danno radiologico e tasso di remissione.

Oggi siamo in grado di rilevare in tempi rapidi alcuni marcatori specifici che consentono di distinguere all'esordio le forme a evoluzione potenzialmente più grave e poter dunque agire tempestivamente con una strategia terapeutica. È il caso del Fattore Reumatoide e degli ACPA (anticorpi anti-peptide ciclico citrullinato) presenti frequentemente nel siero di pazienti affetti da Artrite Reumatoide, che, quando si associano ad altri fattori prognostici negativi, sono in grado di predire la possibilità di rapida progressione della malattia secondo un gradiente di rischio che raggiunge l'80%.

In Italia, di contro, reumatologi e Associazioni pazienti concordano nell'esistenza di criticità che portano ad un ritardo di accesso alla diagnosi e alle terapie, che si sono dimostrate in grado di ridurre drasticamente la mortalità, i ricoveri ospedalieri, gli interventi di chirurgia ortopedica, le pensioni di invalidità, le assenze dal lavoro, i costi indiretti della malattia e di migliorare notevolmente la qualità di vita dei pazienti. In molte regioni si riscontra ancora la mancanza di una rete assistenziale efficace e di percorsi diagnostici terapeutici ben definiti.

Gli stessi Lea a oggi non si sono dimostrati adeguati nel dare risposte concrete ai reali bisogni assistenziali dei pazienti. Bisogna puntare sulla medicina personalizzata e garantire l'accesso a quei farmaci che possono dare un reale beneficio ai pazienti che ne hanno bisogno.


© RIPRODUZIONE RISERVATA