Medicina e ricerca
«Alzheimer, serve una battaglia seria per ottenere risultati concreti»
di Patrizia Spadin (presidente Aima - Associazione italiana malati Alzheimer)
«In occasione della 24° Giornata Mondiale Alzheimer avrei una gran voglia di tacere.
Non lo farò: mi sono scoperta così arrabbiata che vale la pena spiegarne i motivi, per le persone cui interessa.
Ci sono sempre stata, per 24 anni, e anche prima, da quando è nata AIMA, e ogni anno ho colto l'occasione della celebrazione per riflettere su qualche tema, per lanciare parole d'ordine, per sottolineare qualche aspetto emerso durante l'anno. Intravedo un percorso, in quanto fatto e detto, un faticoso percorso che avrebbe dovuto condurre il dolente popolo dell'Alzheimer verso una vita se non migliore, almeno più dignitosa, con più diritti e meno sofferenze. Abbiamo sensibilizzato, fatto conoscere, raccontato, spiegato, analizzato, promosso, chiesto, pregato e litigato, rivolgendoci sempre in contemporanea a malati e familiari per farli sentire meno soli e ai decisori, politici e amministratori, veri interlocutori da sollecitare. E qualcosa infatti è successo: piccoli passi, per carità! Più competenza diffusa, qualche rete qua e là, alcune regioni virtuose, qualche piccolo passo legislativo, una sensibilità maggiore e la capacità di riconoscere il problema anche se non di affrontarlo nella sua complessità.
Nel tempo, come si usa dire oggi, la demenza è stata sdoganata. E si assiste ad un'urgenza quasi opposta a trent'anni fa. Oggi urge parlarne, raccontare, esporsi, affermare la propria sofferenza quasi in sostituzione dell'identità perduta del proprio caro malato; oggi urge essere protagonisti della propria storia, ma soprattutto di quella degli altri: addirittura nascono nuove professioni al supposto servizio dell'Alzheimer e vecchie professioni si reinventano facendo della demenza l'obiettivo primario. Libri, film, foto, associazioni, servizi, laboratori, corsi, manifestazioni, maestri, diete, nuove tecniche di cura, di sostegno, di intervento, nuovi vocaboli vengono coniati per evidenziare la complessità della riflessione e vecchi pomposi vocaboli vengono riesumati e riadattati al problema. Ognuno ritiene di aver qualcosa di indispensabile da dire o da fare intorno, per o contro la demenza se appena ne viene a contatto.
Mi si dirà: che c'è di male in questo? Ognuno, colpito dal dolore che la malattia porta con sé, mette a disposizione il suo piccolo o grande contributo per portare sollievo e fare un passo in più verso la fine del tunnel.
Non la vedo così: sempre nell'attività di AIMA e mia, sempre, prima di qualsiasi scelta o decisione ci si è posti la domanda “cui prodest?”, a chi giova? Ritenendo di dover guardare avanti, non alla piccola visibilità di oggi, non al piccolo beneficio o al successo qui e ora, ma in una più alta e ambiziosa prospettiva di trasformazione sociale e culturale perché le vite di malati e familiari non meno di questo si meritano.
I mille rivoli in cui si sta dividendo il dibattito sulla demenza, le centinaia di racconti disperati che ci raggiungono dagli schermi di tv, cinema e computer, tutti unici e diversi e tutti terribilmente uguali, i milioni di parole che ci assaltano da giornali e libri, con il loro carico di violenta disperazione e aggressività drammatica, mi pare non portino a grandi passi avanti. Siamo tornati alla fase descrittiva: quanto soffrono malati e familiari! Ma il salto di qualità si è di nuovo allontanato: cosa serve alle famiglie? Non basta la generica affermazione che sono soli e abbandonati e che lo Stato non ci pensa. Serve una battaglia politica seria e condivisa per raggiungere dei risultati concreti. Ma ciascuno degli attuali protagonisti corre da solo»
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