Medicina e ricerca

Cervello, dove comincia la violenza?

di Adrian Raine (titolare della cattedraRichard Perry in criminologia e professore di psichiatria e psicologia all’Universitàdella Pennsylvania, traduzionea cura di Silvia Pallottino)

La neurocriminologia, ovvero l’uso delle tecniche delle neuroscienze per capire e prevenire i fenomeni criminosi, potrebbe rivoluzionare il nostro approccio al mondo del crimine. In «L'anatomia della violenza - Le radici biologiche del crimine» (per i tipi di Mondadori Education), parlo del grande contributo che le neuroscienze stanno dando per capire le cause della violenza. Finalmente cominciamo a visualizzare e ad analizzare i meccanismi profondi di questo fenomeno attraverso le tecniche di diagnostica per immagini applicate al cervello e agli strumenti di biologia molecolare.

Lo studio scientifico dei comportamenti criminosi è iniziato come disciplina in una fredda mattina di novembre, nel lontano 1871. Cesare Lombroso, psichiatra e medico in un penitenziario, stava eseguendo un’autopsia di routine su un famoso brigante calabrese, Giuseppe Villella, quando trova una strana rientranza alla base del cranio del deceduto e, da questa singolare osservazione, postula l’potesi secondo la quale esisterebbe una causa cerebrale della violenza, diventando così il fondatore della criminologia.

Esistono delle correlazioni tra substrati biologici difettosi e comportamenti devianti, come è stato ampiamente documentato da centinaia di studi sui gemelli e su soggetti adottati, secondo i quali i geni svolgono un ruolo altrettanto importante dell’ambiente per lo sviluppo dei comportamenti criminosi.

In effetti il bambino non nasce “cattivo” come era stato ipotizzato inizialmente da Lombroso, ma se subisce un’esperienza traumatica alla nascita, questo bambino può letteralmente diventare un adulto violento. Secondo i nostri studi, le complicanze alla nascita, accompagnate da un ambiente familiare negativo, riescono a triplicare il tasso di volenza negli adulti. Allora bisognerebbe chiedersi: questi soggetti sono degli assassini nati? Non proprio. Ma una precoce predisposizione sulla quale il bambino non ha alcun controllo può veramente creare un futuro fatto di violenza? Assolutamente sì.

Esiste una miscela tossica che scatena i comportamenti criminosi che inizia ad agire anche prima della nascita. Gli studi hanno ripetutamente dimostrato che le madri che fumano in gravidanza hanno una probabilità di tre volte maggiore di avere dei figli che poi diventano adulti violenti. Bere durante la gravidanza ha lo stesso effetto.

Grazie all’uso delle tecniche di diagnostica per immagini, ho riscontrato che coloro che commettono un omicidio hanno un deficit di funzionamento al livello della corteccia prefrontale, “l’angelo custode” che tiene a freno i comportamenti impulsivi e le emozioni esplosive. Se questi freni sono logori oppure se l’acceleratore è troppo premuto, la macchina si schianta. Abbiamo visto che, proprio come aveva previsto Lombroso, il cervello dei soggetti con comportamenti delittuosi è diverso dal nostro, con una riduzione dell’11% del tessuto neurale al livello della corteccia prefrontale.

Che possiamo dire degli psicopatici? Un soggetto su cento è psicopatico, ovvero un soggetto che soffre di una condizione che lo porta a diventare un essere pericoloso, antisociale, senza alcuna paura e coscienza. Gli psicopatici hanno un’amigdala che è più piccola del 18% rispetto ai soggetti normali, si tratta di una zona del cervello che è cruciale per provare le emozioni come la paura. Un cattivo funzionamento dell’amigdala in un bambino di tre anni di età è un elemento predittivo di un rischio di condanna penale a 23 di età. Una bassa frequenza cardiaca in risposta a uno stress al livello sociale, che è un altro elemento indicativo di mancanza di paura, predispone a comportamenti criminosi e violenti con il passare dell’età. I criminali che agiscono a sangue freddo hanno letteralmente un «cuore di pietra». L’amigdala, che ha una funzione essenzialmente legata alle emozioni, fa parte di un circuito cerebrale preposto a valutare le decisioni morali e abbiamo osservato come essa sia meno attiva negli psicopatici quando si trovano di fronte a una decisione di natura etica, i quali sanno distinguere tra il bene e il male, ma non sentono cosa è giusto e sbagliato, il che in parte spiega i loro crimini efferati.

Grazie alle conoscenze sempre più approfondite sull’anatomia della violenza, non possiamo più negare la realtà e mettere la testa sotto la sabbia. Le prove raccolte nel testo “Anatomia della Violenza” sono sotto gli occhi di tutti. Inoltre vi sono implicazioni per la società in termini di previsioni, prevenzione e sanzioni.

Prima di tutto, è importante poter prevedere chi sono i soggetti pericolosi nelle nostre carceri e quali di questi hanno maggiori probabilità di commettere dei reati in futuro e quali possono essere rilasciati prima. A tutt’oggi queste valutazioni vengono fatte su dati limitati quali l’eta, il numero di arresti pregressi e la situazione matrimoniale. Se aggiungiamo all’equazione anche le informazioni di natura genetica e biologica, si possono migliorare in maniera significativa gli indici sulla base dei quali si può prevedere un ritorno a delinquere. Per esempio, abbiamo dimostrato con l’imaging del cervello che gli uomini con un’amigdala più piccola hanno una probabilità quattro volte superiore di commettere delle violenze tre anni più tardi.

Stiamo dunque entrando nel cervello dei potenziali criminali e migliorando la nostra capacità di prevedere i comportamenti criminosi. Non ci vuole una grande immaginazione per capire come sarà il futuro, basta fare una scansione del vostro cervello per vedere se avete una “mente criminale” e mettervi in prigione prima che abbiate l’occasione di violare la legge, una mossa preventiva per bloccare sul nascere i fenomeni criminosi. È preoccupante pensare che, come me, anche voi potreste avere un cervello molto simile a quello di un serial killer.

In secondo luogo, come possiamo usare la biologia per trattare coloro che commettono dei crimini? Molti farmaci come gli stimolanti, gli anti-psicotici e gli anti-depressivi riescono a ridurre l’aggressività negli adolescenti, ma nessun genitore è disposto a dare farmaci ai figli per il loro cattivo comportamento. Ma esiste un rimedio naturale? Alcuni studi condotti nel Regno Unito e in Olanda hanno dimostrato che l’aggiunta di integratori di omega-3 alla dieta dei giovani delinquenti riesce a ridurre il numero dei gravi reati del 34%. Sto dicendo che gli integratori a base di omega-3 non solo riducono il comportamento antisociale nei bambini, ma anche nei loro genitori. Una volta trattati bene questi soggetti, sembrerà arcaico ricorrere alle punizioni di tipo giudiziario e assisteremo a un cambiamento molto vasto sia nel modo in cui la società considera la delinquenza e sia nella gestione della giustizia penale.

In terzo luogo, quali sono le implicazioni al livello del sistema sanzonatorio? Sappiamo che esistono dei fattori biologici e genetici, che vanno al di là del nostro controllo, i quali predispongono alcuni individui a diventare dei violenti criminali. Allora bisogna chiedersi: è tutta loro la responsabilità dei loro atti? E, se non sono responsabili, chi ha questa responsabilità? La loro mamma che ha fumato e mangiato male durante la gravidanza? Oppure il loro papà assente e antisociale che ha trasmesso ai suoi figli dei geni antisociali? O sono vere entrambe le ipotesi?

Per alcuni, queste sono domande estremamente scomode. In effetti “Anatomia della Violenza” non piace né ai politici di sinistra né di destra. Per la destra, la preoccupazione è che questa teoria possa incoraggiare un approccio morbido alla lotta alla criminalità secondo la quale nessuno può essere considerato responsabile. La sinistra detesta l’uso della biologia per etichettare delle persone chiaramente innocenti come individui inclini alla violenza. Tutti temono una prospettiva riduzionsita che possa erodere il nostro antico concetto di libero arbitrio.

Allora perché dovremmo prendere sul serio “Anatomia della Violenza”?

Perché portare le neuroscienze in tribunale permette, nel migliore o nel peggiore dei casi, di usare un argomento convincente per rivalutare il modo in cui definiamo la responsabilità, la giustizia e la pena. Nel passato, le malattie mentali erano viste come il prodotto delle forze del male, ritengo che il “male” che oggi vediamo nelle azioni dei criminali violenti venga riformulato come un sintomo di un disturbo clinico che richiede una terapia e non una punizione.

Potrebbe non piacere l’idea di una forte base biologica alla radice della violenza e si può fare come lo struzzo che mette la testa sotto la sabbia per sfuggire a un cacciatore, facendo finta che non vi sia nessuno. Ma facendo così non risolveremo mai il problema del crimine; sarebbe invece meglio guardare, proprio per evitare di essere uccisi come lo struzzo


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