Medicina e ricerca

La Malattia Renale Cronica in Italia, i numeri e i costi

di Antonio Santoro (presidente Società Italiana di Nefrologia)

La Giornata Mondiale del Rene, che si è celebrata in tutto il mondo il 10 marzo, è un'occasione preziosa per richiamare l'attenzione su una patologia tanto dimenticata quanto diffusa e impattante: la Malattia Renale Cronica. Si definisce Malattia Renale Cronica (MRC) una condizione di alterata funzione renale che persiste oltre i 3 mesi. È classificata in cinque stadi di crescente gravità, dove lo stadio 5 corrisponde alla terapia sostitutiva dialitica o al trapianto di rene.

Le sue dimensioni epidemiche, l'elevato rischio cardio-vascolare ad essa associato e gli alti costi sociali ed economici connessi ai trattamenti sostitutivi, come la dialisi e il trapianto, ne fanno uno dei principali argomenti nei piani di prevenzione e di programmazione sanitaria.
Lo studio CARHES (Cardiovascular risk in Renal patients of the Health Examination Survey) condotto dalla Società Italiana di Nefrologia, in collaborazione con l'Istituto Superiore di Sanità e l'Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri, ha reso disponibili, per la prima volta, i dati relativi alla diffusione della malattia renale in Italia.

La prevalenza è risultata del 7,5% negli uomini e del 6,5% nelle donne in una popolazione con una età compresa tra i 35 e 79 anni. Questo vuol dire che diversi milioni di individui in Italia sono portatori di una insufficienza renale e spesso non sanno di avere questa patologia. Purtroppo i numeri sono destinati ad aumentare nel tempo per diversi motivi, primo fra tutti l'invecchiamento della popolazione (la ridotta funzionalità del rene è la conseguenza fisiologica del deterioramento nel tempo dell'organo).

In secondo luogo l'aumentata incidenza di condizioni patologiche che danno luogo e preludono a un danno renale (l'ipertensione arteriosa, il diabete, la sindrome metabolica, l'obesità, le dislipidemie, lo scompenso cardiaco, le broncopneumopatie croniche). Sono anche aumentate le possibilità diagnostiche perché sono disponibili strumenti semplici in grado di evidenziare il danno renale. Occorre, infine, tenere presente la cosidetta mortalità competitiva: il non morire per complicanze del diabete, delle cardiopatie e dell'ictus cerebrale, grazie ad interventi salva vita (come la rivascolarizzazione primaria nel corso di infarto miocardico), o a farmaci utilizzati (che possono avere un effetto nefrotossico), può portare in un secondo tempo alla comparsa di un deficit funzionale renale che si cronicizza nel tempo.

Da queste premesse si comprende la necessità di intercettare precocemente alterazioni della funzione renale al fine di introdurre precocemente terapie, ma soprattutto modifiche dello stile di vita (terapia nutrizionale, esercizio fisico regolare) in grado di arrestare e rallentare la progressione del danno renale. La diagnosi, anche grossolana, di problematiche funzionali renali è molto semplice, sia sul piano clinico, sia su quello laboratoristico. Il solo dosaggio della creatinina e delle proteine urinarie, infatti, può dirci se siamo in presenza di una malattia renale e quale sia il livello di gravità, oltre a fornirci indicazioni circa gli ulteriori approfondimenti diagnostici necessari e le terapie più adeguate da implementare. In più, l'identificazione precoce di una malattia renale può dare vantaggi anche in termini di spesa sanitaria.

È ben noto che, non solo le complicanze, ma anche i costi complessivi (diretti e indiretti) associati alla MRC, aumentano in modo esponenziale dagli stadi precoci fino agli stadi più avanzati della patologia.

Nella fase di grave compromissione funzionale renale la terapia conservativa nutrizionale e farmacologica deve essere integrata con un trattamento sostitutivo come la dialisi o il trapianto di rene. E qui, a parte il grande disagio del paziente che è costretto a legare la sua sopravvivenza e il suo stato di benessere a una macchina nel caso della dialisi, o all'assunzione continua di potenti farmaci anti-rigetto nel caso del trapianto, le cure richiedono un notevole incremento di risorse economiche. In particolare, se un soggetto allo stadio iniziale della MRC costa al Servizio Sanitario Nazionale alcune migliaia di euro l'anno, la spesa aumenta in modo straordinariamente rilevante negli stadi più avanzati. Il costo diretto annuo del trattamento di un paziente in dialisi è stimato da un minimo di € 29.800, per quelli in dialisi peritoneale fino a un massimo di € 43.800 per quelli in emodialisi.

A questi costi diretti, sanitari e non sanitari, andrebbero aggiunti i costi indiretti. D'altra parte anche il trapianto renale ha i suoi costi che sono stimati in € 52.000 per il primo anno e in € 15.000 per ogni anno successivo al primo. Sulla base di questi dati è stato calcolato che la possibilità di ritardare almeno di 5 anni la progressione del danno renale per il 10% dei soggetti dallo stadio III allo stadio IV e di procrastinare, sempre di 5 anni, l'invio dei pazienti in dialisi, permetterebbe al SSN di risparmiare risorse per 2,5 miliardi di euro.
Quindi, come abbiamo avuto modo di evidenziare nel corso di un convegno istituzionale svoltosi presso il Senato della Repubblica, alla vigilia della Giornata Mondiale del Rene, prevenzione e trattamenti precoci diventano armi utili non solo a rallentare la diffusione della patologia renale ma anche a contenere la spesa sanitaria che essa genera.

Attualmente, numerose evidenze mostrano l'esistenza di strategie efficaci nel porre un freno alla progressione della malattia renale cronica e nel ridurre il rischio di mortalità cardiovascolare. Primi fra tutti: idonei stili di vita con esercizio fisico regolare al primo posto, gestione dell'ipertensione arteriosa, buon controllo glicemico nei diabetici, ottimizzazione nell'assunzione di sale e di proteine nella dieta.
Il modo migliore per identificare chi potrà beneficiare di misure preventive è ancora oggetto di dibattito. Una campagna di screening generalizzata non è ritenibile vantaggiosa in termini di costo/efficacia. Molto più utile potrebbe essere sottoporre a screening i soggetti affetti da diabete mellito, ipertensione arteriosa, malattie cardiovascolari o malattie autoimmuni, con un potenziale coinvolgimento renale o una storia familiare di malattia renale.

In linea generale, può essere consigliato uno screening, almeno biennale, a coloro che hanno più di 50 anni, con valutazione di creatininemia e relativa stima del filtrato glomerulare associato all'esecuzione dell'esame urine semplice; invece, nei soggetti ad alto rischio, quali diabetici, ipertesi e cardiopatici, è più opportuno il ricorso al dosaggio dell'albuminuria in associazione alla stima del filtrato glomerulare. Un'alternativa allo screening è quella di utilizzare il patrimonio informativo relativo a dati biochimici già disponibile presso i data base dei laboratori analisi, andando ad identificare pazienti potenzialmente affetti da MRC sulla base della misura del filtrato glomerulare e della presenza o meno di proteine nelle urine. Questi dati possono essere facilmente ottenuti da esami di laboratorio eseguiti per i più svariati motivi e non necessariamente per identificare l'esistenza di una malattia renale. Esami infatti di carattere generale comprendono, in vari profili, il dato della creatinina e l'esame delle urine.

Quindi con costi molto bassi è possibile ricavare importanti dati epidemiologici sulla diffusione delle patologie renali estraendoli dai vari data base amministrativi. Naturalmente identificare i pazienti con MRC non vuol dire curare la malattia renale di cui sono portatori. Per questo si rende necessaria la costruzione di specifici percorsi di diagnosi e di terapia assistenziale (i cosidetti PDTA) che devono vedere una collaborazione interdisciplinare tra nefrologi , medici di medicina generale, altri specialisti come i cardiologi, i diabetologi, dietiste e personale infermieristico esperto nelle problematiche renali. Questa è sicuramente la via più idonea e forse l'unica per identificare i soggetti con MRC, prevenire la loro rapida progressione verso la dialisi ed il trapianto, ridurre la comparsa delle gravi complicanze cardio-vascolari che intervengono nel corso della malattia.


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