Medicina e ricerca
Hiv, il futuro è più prevenzione e cure sempre più sostenibili
di Carlo Federico Perno (professore di Virologia all'Università di Tor Vergata e direttore di Virologia Molecolare al Policlinico Tor Vergata)
Sono passati più di trent'anni da quando è stato descritto il primo caso di Aids in Italia. Da allora il panorama è cambiato radicalmente: le terapie sono, infatti, in grado di tenere sotto controllo il virus e permettono ai pazienti di vivere una vita pressochè normale. La buona notizia, quindi è che siamo riusciti in tempi brevi a trasformare una malattia invariabilmente mortale in una malattia cronica. Mai, nella storia della Medicina, si è assistito ad un successo così ampio e così rapido. HIV rappresenta un modello di intervento rapido ed efficace, in cui tutti gli attori, pubblici e privati, istituzionali, sanitari, industrie farmaceutiche, associazioni di pazienti, ecc, tutti hanno fatto la loro parte.
La battaglia da fare oggi è quindi sociale, oltre che clinica, come è emerso anche dalla Conferenza europea sull'Aids appena conclusasi a Barcellona. I farmaci anti-HIV che abbiamo funzionano molto bene, e il 90 per cento dei pazienti trattati ha un controllo sostanziale della replicazione del virus e del danno da esso causato. Purtroppo la guarigione definitiva dall'HIV non è oggi possibile, e non si sa se sarà mai un obiettivo raggiungibile. Se non vi saranno nuove e straordinarie scoperte, tutti i pazienti oggi infettati, rimarranno tali per tutta la vita. Quindi anche la terapia antivirale andrà presa per tutta la vita. La ricerca è impegnata oggi ad offrire regimi terapeutici sempre meglio tollerati, pensati per garantire efficacia, e nello stesso tempo incidere meno sull'organismo, anche considerando il naturale invecchiamento della popolazione infettata da HIV.
Ma i farmaci da soli non rappresentano la soluzione al problema
Nel mondo si registrano due milioni di nuovi casi di infezioni da HIV ogni anno, e si stima che solo il 40% dei portatori di infezione da HIV sa di essere sieropositivo. Per mettere fine all'epidemia sarà quindi necessario definire modelli innovativi di trattamento, trattando con farmaci efficaci e più sostenibili, e nello stesso tempo riuscire a diagnosticare in tempo l'infezione.
Servirebbe una politica incisiva di prevenzione delle patologie sessualmente trasmesse, che al momento non c'è: non a caso tutte le malattie a trasmissione sessuale sono in aumento. Per questi motivi è importante che anche i decisori si impegnino a tenere ben in vista nell'agenda politica la causa dell'HIV, facendo sapere al mondo che la soluzione definitiva è ancora lontana e che saranno necessari ancora molti sforzi e investimenti per centrare questo obiettivo. Senza questo supporto, si perderà la grande opportunità offerta dai progressi della scienza, e l'epidemia tornerà a farsi sentire.
Tuttavia questo non significa che il problema non esista più
In Italia si valuta che le persone con HIV siano 130-150mila, ma solo circa 94mila sono attualmente in terapia. Gli altri, ossia uno su tre, non sanno ancora di essere malati. Quali sono le ragioni? Un bassissimo livello di comunicazione e informazione sulla malattia, assenza di screening adeguati, di diagnosi precoce, un calo di attenzione dei malati ma anche dei medici, sono gli aspetti più rilevanti di una cultura pubblica che è necessario correggere: la sconfitta definitiva dell'HIV richiede ancora grandi sforzi. Nel nostro Paese decine di migliaia di persone sono infettate da HIV, ma non lo sanno. In media la diagnosi di HIV avviene dopo più di 5 anni dal momento dell'infezione. Le persone infettate spesso conducono una vita normale (anche sessuale) per tutti questi anni; la diagnosi quindi può arrivare troppo tardi, sia per il paziente stesso (la terapia anti-HIV iniziata precocemente è di gran lunga più efficace di quella iniziata quando la malattia è ormai in fase avanzata) sia per chi viene contagiato inconsapevolmente durante tutto questo periodo, contribuendo sostanzialmente alla diffusione del virus. A dimostrazione di ciò, in Italia, ancor oggi, abbiamo circa 4000 nuove diagnosi all'anno di infezione da HIV. Guardando questi numeri, è difficile definire l'epidemia da HIV sotto controllo.
L’HIV è infatti un virus subdolo: si manifesta clinicamente circa 6-8 settimane dopo contagio con una forma simil-influenzale, o simil-mononucleosisica, ma la patologia non viene quasi mai riconosciuta per quello che è. Solo il 5 per cento dei malati viene diagnosticato in questa fase. Il tempo passa, negli anni il virus lavora silenziosamente, uccidendo con inesorabile regolarità i linfociti CD4 (i direttori d'orchestra dell'intero sistema immunitario, bersaglio preferenziale del virus HIV); senza di essi, il sistema immunitario è cieco e non è in grado di rispondere agli attacchi dei germi e ai tumori. In queste fasi clinicamente silenti HIV si trasmette con rapporti sessuali da persona a persona. Andando avanti, anche anni dopo l'infezione, compaiono i primi sintomi della malattia: a volte un herpes, a volte una candidosi orale, a volte perdita notevole di peso: il più delle volte, anche in questa fase, non si pensa ad HIV: c'è così poca coscienza della circolazione del virus. Può capitare che il medico prescriva farmaci sintomatici e mandi a casa il paziente senza suggerire il test. Quando finalmente compaiono infezioni gravi (polmoniti, encefaliti, ecc) o tumori potenzialmente mortali, allora finalmente si pensa ad HIV, e si fa la diagnosi, ma può essere troppo tardi. Basti pensare, che nei reparti di malattie infettive arrivano pazienti infettati da tanti anni, con 3 o 4 CD4, alcuni anche con zero (la soglia normale è 1.000!!!), e il sistema immunitario distrutto. Il miracolo sta nel fatto che la terapia antivirale riesca a riportare molte di queste persone ad una vita quasi normale, ma è bene ricordare che gli effetti della cura a lungo termine non sono gli stessi di quando iniziamo la terapia in fase precoce.
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