Lavoro e professione
L’informazione e il giornalismo sanitario alla prova di ChatGpt (e delle altre forme di AI)
di Ettore Jorio
24 Esclusivo per Sanità24
Il tema che l’intelligenza artificiale sappia scrivere meglio di chi lo ha imparato a scuola (rectius, dalla intelligenza umana) sta sollevando una seria preoccupazione.
L’informazione e la comunicazione, cui le nazioni reali affidano le loro conoscenze sullo storico e sul contemporaneo, stanno via via assumendo un ruolo diverso dal tradizionale cognitivo. Ciò in quanto così facendo alfabetizzano la storia e la cronaca sulla base non già di ciò che si è visto, ascoltato, amato, odiato, scovato con sacrificio e condiviso bensì su una statistica stressata. Dunque, una informazione e una comunicazione siffatte diventano, in una logica che sfugge al gnoseologico, più o meno apprezzate per il risultato che forniscono le fonti algoritmiche, elaborate sulla base dei dati posseduti e pesati in disponibilità miliardaria.
Un tale modo di affrontare e percepire la scrittura destinata a terzi rappresenta sempre di meno le apprezzate “munizioni” culturali e conoscitive che hanno da sempre animato la penna dell’addetto a scrivere. Il giornalista che sarà invece sempre di più orientato dalla IA a ciò che il lettore pretende, sia esso espressione di un consenso ovvero dissenso verso gli esiti di chi governa o del mercato. Quindi, abbiamo di fronte una intelligenza artificiale che sa ben distinguersi come strumento filo governativo o meno, competitivo ovvero solidaristico, guerrafondaio o pacifista, accentratore ovvero federalista. Una siffatta poliedricità potrà sottrarre al giornalismo nazionale, che ne usufruisce, le differenze, quelle che hanno caratterizzato il grande giornalismo. Con questo, la notizia e il commento passeranno sempre di meno tra le penne libere di fare il loro corso culturale tipico dell’opinionismo e della verità insieme per assumere un ruolo strumentale al perseguimento di specifici bersagli.
Una lezione non di troppo
Ho letto un libro salutare. Il suo titolo è “Giornalisti robot?” (Guerini & Associati editore 2024). Il nome dell’autore è Domenico Talia, un grande della intelligenza artificiale generativa. I suoi 14 capitoli, brevi ma intensi, mi hanno appassionato, sino a rendermi alcune notti dormiveglia per i problemi che mettono sul tavolo dei pensieri e alcune giornate piacevolmente impegnate sul tema del futuro dell’informazione che, si spera, avrà gli anticorpi per proteggersi.
Un libro quello di Domenico Talia, che tutti dovrebbero leggere. Meglio, sarebbe da fare studiare nelle scuole perché i giovani capiscano, imparando così a difendersi, la pericolosa induzione condizionante che può materializzare una informazione e comunicazione, peggio se istituzionale, governata dalla statistica ricavata da miliardi di like o di dissimilar sui temi fondamentali dei diritti. Peggio se asservita unicamente alla politica oramai vocata ad autoalimentarsi.
Basta fare la conta delle ricandidature annunciate anzitempo per capire quanto riesca a imporre la notizia elaborata con i metodi propri dell’intelligenza artificiale che è andata avanti molto di più del concetto simpatico di statistica alla Trilussa nella logica di conseguire il consenso ad libitum. Basta vedere le pretese di terzo mandato e le anticipazioni, piuttosto premature, di ricandidatura alla carica in atto, con conseguenti divari concorrenziali. La statistica in generale non solo andrà a sostituire il vocabolario del giornalismo ma a costituire lo strumento presago e profetico di chi può prevalere elettoralmente
La prefazione al libro, pensata da chi di giornalismo se ne intende davvero, per essere stato più volte direttore di primari quotidiani nazionale, è cruciale. Gianni Riotta tratta il libro come se fosse un corpo umano. Nel farlo ne scandisce tutte le sensazioni che suscitano il richiamo che l’autore fa all’onestà nello scrivere.
Ma è la lettura coordinata del libro che suggerisce la paura di una IA che sa scrivere, senza possedere tuttavia la migliore qualità di un giornalista: la coscienza. Quella capacità intima di scegliere ove porre il pennino, accentuandolo, e ove mantenerlo sospeso dal foglio per evitare pericolose incomprensioni ovvero indicazioni spesso carnefici.
Tutto questo ha generato - atteso il processo mega elaborativo degli algoritmi che partoriscono l’effetto della IA - una preoccupazione di un certo peso, che è poi quella dello scrittore/scienziato svizzero che ebbe a generare Frankenstein, a propria immagine e coscienza, ma sfuggitagli ampiamente di mano, tanto da diventare un mostro.
Alla intelligenza artificiale che diventa ciò che non è - letterato, giornalista, piuttosto che un magistrato -occorre cominciare ad attribuire una dimensione che sappia convivere con quanto progressivamente occorre a quella umana che ha avuto voglia di generarla ma di lanciarla in una corsa libera, senza preoccuparsi dell’antidoto.
Attenti alle imprudenze, potrebbero essere fatali
Un mondo senza letterati, filosofi, esperti nelle psicologie che facciano ciò che sanno e assicurino e aprano al giornalismo il suo crescere e distinguersi con i problemi dedotti con tempestività dalla notitia per antonomasia. Mancherà quindi il pezzo del passaggio cosciente del testimone dei maestri del giornalismo alle generazioni future, che lascia supporre la generazione di un ambiente sociale da jukebox ove con una monetina (rectius, con un tasto da schiacciare) si pensa di riuscire ad appagare i desideri e le speranze, addirittura quella di dar ragione alle velleità di diventare uno scrittore senza sapere tenere in mano la penna.
Gli esempi brutti che si contano in giro sono tanti. Passano dalla supposizione per tanti, senza neppure la penna, di presentare al pubblico, facendosi passare per scrittori, libri scritti con ChaGPT, Gemini, LLaMA e Claude, strumenti da falsari di immaginazione e cultura umana.
Si arriva a irresponsabilità più gravi, di presentare, da parte di chi non sa alcunché la materia, proposte di legge regionali recanti, in un clima di incertezza internazionale della regolazione, disposizioni concernenti l’impiego di sistemi di intelligenza artificiale in ambito regionale. Una proposta di legge simile è da registrare in Calabria - ove arrivare a conseguire le conoscenze minimali utili a praticare il digitale, specie da parte della burocrazia, sarebbe di per sé la realizzazione di un sogno - proprio per questo è da ritenersi squisitamente propedeutico a mettere a terra iniziative non propriamente di interesse collettivo.
La giusta sensibilità e la mission del giornalismo della salute
Proviamo a immaginare per un attimo quanto conta l’informazione e la comunicazione nell’ambito della Salute. I giornalisti che scrivono, le istituzioni che comunicano, gli esperti che si raccontano e i cittadini che deducono. Un mondo che, a ben vedere, diventa il simulacro di quanto viene rilevato, raccontato e confrontato con quanto viene vissuto, con in mezzo la frequente incomprensione di un diritto erogato che diventa sempre di più evanescente nell’essere esatto gratuitamente dalla persona.
Dunque, il giornalismo che si occupa specificatamente dell’assistenza sociosanitaria rivolta a donne e uomini, sia in foma diretta che indiretta, ha un dovere in più: quello di lavorare su una corretta narrazione dei fatti, degli accaduti. E ancora. Quello di scrivere di speranze, precisando però che esse siano per il momento tali, e di certezze solo se ampiamente validate.
Non solo. Di confrontare con lealtà quanto accade nei luoghi che meritano l’appellativo di efficienti e di quelli che subiscono le peggiori sorti, ciò nell’aspettativa di sollecitare l’impegno delle istituzioni a renderli uguali, ovviamente, nel meglio dello spirito della Costituzione.
Un giornale che rintraccia il suo core business esclusivo nell’ambito sociosanitario ha, tra l’altro, un dovere in più. Lo rintraccia nella sua storia e nella qualità dei servizi di informazione resi e da rendere nonché nella obiettività del riporto senza veli della comunicazione istituzionale specifica e in quella politica.
Il dovere del giornalismo settoriale è anche quello di evidenziare sempre le differenze sostanziali tra le prestazioni del welfare assistenziale rese al top e quelle finanche negate ovvero difficilmente percepibili nelle aree geo-demografiche più povere, sperando che con ciò si fosse mossa qualcosa di concretamente positivo. In una tale ottica si ha modo di verificare ex oculis e di promuovere un giornalismo praticato che non si è accontentata di riportare i saldi rendicontativi delle cose che non vanno. Un bilancio facile, oramai di competenza di tanti, spesso fine a stesso e in quanto tale utile a rendere erroneamente le cassandre portatrici degli antidoti.
Occorre andare anche oltre, cercando di comprendere le cause, le ragioni, gli ostacoli a che tutto fosse diverso, con punte amare di non esigibilità del diritto alla tutela della salute nel Mezzogiorno. Supponendo così di esperire il tentativo di contribuire a qualche soluzione in favore di una Nazione di veramente uguali
Insomma, su una siffatta tipologia di informazione, specificatamente orientata a sostenere la tutela della salute, bisogna lavorare di punta di penna piuttosto che di tastiera di accesso alla IA, senza ovviamente negarne l’utilità. Con questo necessita spendere l’impegno sulla constatazione reale e realistica dei fatti piuttosto che lasciarsi andare esclusivamente sulle statistiche “intelligenti”, solitamente fondate su dati riferiti alla sanità erogata non sempre rilevati e, dunque, verosimilmente distorti. Proprio per questo da dovere riportare ad unità di linguaggio per crederci e lavorarci in melius.
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