Lavoro e professione
Ccnl del comparto 2022-2024: quali prospettive in vista della prossima “due giorni” all’Aran
di Stefano Simonetti
24 Esclusivo per Sanità24
Nei giorni 13 e 14 gennaio sono programmate due riunioni presso l’Aran per la ”prosecuzione trattativa per il rinnovo del Ccnl del Personale del Comparto Sanità triennio 2022-2024”. La convocazione per due giorni di seguito e molti chiari segnali possono far ritenere che verrà tentata una non-stop per giungere alla stipula della Preintesa: sono le “ultime limature” di cui ha parlato il Presidente Naddeo. Chissà se tra le limature rientrerà anche l’applicazione del comma 121 della recente legge di bilancio che consente di incrementare le risorse per i trattamenti accessori del personale. L’operazione rientra senz’altro nell’ambito del triennio 2022/2024 ma potrebbero non esserci i tempi tecnici necessari per inserire l’adeguamento dei fondi in questo contratto; dovrebbe infatti ritenersi indispensabile un Atto di indirizzo integrativo del Comitato di settore.
Le geometrie tra le sigle sindacali. A questo proposito, è interessante ipotizzare lo scenario che si potrebbe creare, soprattutto alla luce di quanto accaduto sul tavolo negoziale delle Funzioni centrali laddove, come è noto, è avvenuta una spaccatura tra le sigle rappresentative. Per la cronaca, i sindacati che non avevano sottoscritto la Preintesa del 6 novembre scorso hanno indetto un referendum on line tra tutti i lavoratori iscritti e non iscritti per valutare i contenuti del testo e l’opportunità o meno di aderire alla firma definitiva. Come ho già avuto modo di segnalare (vedi articolo del 13 novembre scorso ), non si è trattato del referendum formale previsto dall’art. 21 dello Statuto dei Lavoratori perché quello deve essere indetto da “tutte le rappresentanze sindacali aziendali”. Cgil e Uil hanno inteso consultare tutti i diretti interessati al rinnovo, senza peraltro che il risultato dell’interpello potesse condizionare la legittimità della firma definitiva ma solo fornire elementi di valutazione a tutti gli attori interessati. Il 4 gennaio sono stati resi noti i risultati della “consultazione referendaria” cui hanno partecipato on line circa 40 mila lavoratori di una platea di più di sessanta amministrazioni centrali e il 98% dei votanti, secondo i promotori, si è espresso per il “no”, rigettando un accordo che è stato da loro definito in perdita.
Detto questo e presumendo che l’atteggiamento dei due sindacati confederali dissenzienti sia consolidato, proviamo a simulare quello che potrebbe accadere. Innanzitutto si rileva che la Cisl deve trovare alleanze, esattamente come nelle Funzioni centrali. Se si somma il 23,72% della Cisl al 12,13% della Fials si arriva a un 35,85%, insufficiente per consentire il rispetto dell’art. 43, comma 3, del d.lgs. 165/2001 che sancisce che “l’Aran sottoscrive i contratti collettivi verificando previamente… che le organizzazioni sindacali che aderiscono all’ipotesi di accordo rappresentino nel loro complesso almeno il 51 per cento”. È giocoforza, allora, che il ruolo chiave lo assumeranno i due sindacati autonomi che rappresentano gli infermieri. Nursind si attesta al 10,81% mentre Nursing Up al 6,43%, per cui anche se una sola delle due sigle si schierasse contro la stipula, non si realizzerebbero le condizioni prescritte dalla legge.
Una importante variabile riguardo alle determinazioni che saranno assunte è sicuramente la valutazione strategica della firma in prospettiva delle elezioni delle Rsu che si terranno il 14, 15 e 16 aprile 2025. Posizioni di fermo dissenso sulla pochezza degli aumenti contrattuali v/s un sano pragmatismo1 per non danneggiare ulteriormente il potere di acquisto di salari già impoveriti, costituiranno il discrimine per guadagnare o meno consensi dalla base e, quindi, voti. Lo scenario cui mi riferisco si presentò già nel 2018 quando la Preintesa del 23 febbraio non venne sottoscritta da tre sigle in evidente ottica delle elezione delle Rsu avvenute tra il 17 e il 19 aprile, pochi giorni prima della firma definitiva del 21 maggio. Al momento della sottoscrizione definitiva, soltanto Nursind non firmò, con la ben nota conseguenza di non poter partecipare alle contrattazioni integrative aziendali. Parafrasando Nanni Moretti, si potrebbe dire: “mi si nota di più se...”. Insomma, banalizzando in modo colorito le strategie negoziali, si potrebbe sintetizzare: schiena dritta a digiuno contro un piatto di lenticchie piegati.
I contenuti del futuro contratto. Qualunque sia l’esito della non-stop finale, non sarà certamente un gran contratto, né per i 581.148 lavoratori ma neanche per le aziende sanitarie che sicuramente dovranno affrontare molte questioni irrisolte e vertenze annunciate tra monetizzazione delle ferie, buono pasto ai turnisti di notte, retribuzione spettante in ferie. Riguardo all’aspetto economico, c’è davvero poco da dire: i soldi sono quelli ed è impensabile che possano aumentare in modo significativo, almeno finchè saranno in vigore le regole attuali. È piuttosto sterile e frustrante rifiutare gli importi degli aumenti contrattuali che, prendendo a riferimento l’Ipca, rispettano fedelmente i contenuti dell’Accordo-quadro del 22 gennaio 2009. Quello che è stato sempre violato, e mai sfacciatamente come in questo momento, è la cadenza temporale delle trattative che partono ormai con anni di ritardo. Forse il 5,78% erogato puntualmente in busta paga nei primi mesi del 2022 avrebbe provocato meno malcontento.
Per ciò che concerne gli importi, si fa presto a dire 172 € di aumento mensile medio pro capite. A prescindere dal fatto che parlare di aumenti medi non vuol dire granché perché nessun lavoratore è in grado di capire quanto spetta a lui personalmente, va ricordato che quell’importo è, ovviamente, lordo e lo Stato ne recupererà più del 30% di imposte; ma non solo, perchè gli aumenti dovranno essere conguagliati con le anticipazioni maggiorate percepite da più di un anno, con il risultato finale che il rinnovo produrrà davvero pochi spiccioli.
Molto più interessante appare la parte normativa, soprattutto quella che incide sull’organizzazione del lavoro. Quali sono i principali istituiti sui quali si incentrerà la trattativa finale? Un primo punto riguarda la pronta disponibilità con la richiesta che sia ridotto il limite massimo da 10 a 7 turni mensili, ma restano criticità sulle deroghe estive, che i sindacati chiedono di eliminare per evitare abusi. Altra tematica è quella dei requisiti per gli incarichi professionali, con il nodo della riduzione da 15 a 10 anni.
Sulla famigerata questione delle aggressioni, benché non sia un argomento strettamente contrattuale, il sindacato esige obblighi chiari per le aziende: costituzione come parte civile, supporto psicologico alle vittime e copertura assicurativa specifica; chi scrive da anni suggerisce ulteriori interventi mirati, mai però messi in atto.
Molto complesso e probabilmente irrisolvibile è il richiesto sblocco del vincolo di esclusività per i professionisti dell’area non medica, cioè l’introduzione di una norma ispirata all’art. 3-quater del D.L. 127/2021 (novellato in modo disastroso dall’art. 13 della legge 56/2023), che regolamenta, seppur temporaneamente e impropriamente, l’esclusività del rapporto di lavoro per i professionisti della sanità.
Riguardo all’orario di lavoro sarà interessante vedere l’evoluzione della proposta di sperimentazione di una settimana lavorativa di 4 giorni su base volontaria, per favorire un migliore equilibrio tra vita privata e lavoro: la continuità assistenziale e la numerosa presenza di turnisti h 24 non consentono di assimilare questa problematica a quella delle amministrazioni centrali.
Molto nebulosa è la questione della mensa e dei buoni pasto, in quanto soluzioni positive e di apertura comportano notevoli problemi di finanziamento. C’è infine da auspicare che finalmente venga definita una disciplina chiara e oggettiva per le prestazioni aggiuntive che possa superare i silenzi e le ambiguità del passato.
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