Lavoro e professione
Contratto Funzioni centrali, scarno e impalpabile nell’articolo 27 sull’“age management”
di Stefano Simonetti
24 Esclusivo per Sanità24
Nell’articolo pubblicato il 7 novembre scorso ho trattato dello stato della contrattazione collettiva con particolare riferimento alla Sanità. Veniva, inoltre, detto che nell’imminente contratto delle Funzioni centrali erano annunciate innovazioni come l’“age management”. Non avevo letto il testo contrattuale, non disponibile on line, ma mi ero basato su dichiarazioni di stampa. Ebbene, il 6 novembre alle ore 10,30 è stata firmata la Ipotesi di rinnovo contrattuale, la cosiddetta Preintesa, per i dipendenti statali. Le osservazioni che avevo fatto possono trovare, quindi, un riscontro formale e mi sento di dire che è quasi peggio di quanto si potesse immaginare. L’art. 27 tratta degli “Obiettivi e strumenti di age management”, è composto da tre commi di assoluta impalpabilità: non c’è nulla di realmente concreto ed esigibile dai lavoratori statali, non ha carattere precettivo, non implica alcun obbligo né diritto delle rispettive controparti, si ipotizzano comportamenti e strumenti organizzativi che molto probabilmente quasi tutte le amministrazioni già attuano. Nel testo si rilevano termini e locuzioni quali “porre particolare attenzione”, “valorizzazione”, “promozione”, “potranno essere perseguiti”, “promuovono il dialogo intergenerazionale”.
Allora è abbastanza lecito chiedersi a cosa serva questo art. 27, se non a dare maggiore corpo a un contratto di per sé scarno (37 articoli), come se un buon contratto si misurasse dal numero degli articoli. Se vogliamo permetterci un sorriso defatigante, si può ulteriormente osservare che, se fosse diventato legge il Ddl Rampelli, sarebbe stata comminata una sanzione di 300.000 € per l’utilizzo delle formule inglesi “age management”, “peer-to-peer”, “skills obsolescence”, dando per ormai assimilato all’italiano il termine “part time”.
Il Ccnl di cui si parla è il primo a essere sottoscritto per il triennio 2022-2024 e la firma definitiva avverrà credibilmente tra due o tre mesi, quando il contratto stesso sarà già scaduto. Riguarda, dei quattro esistenti, il comparto meno numeroso del pubblico impiego (195.000 addetti) composto dai dipendenti dei ministeri, di una ventina di agenzie, di 20 enti pubblici non economici (EPNE).
In chiusura non si può non notare un dato molto particolare. Il contratto è stato siglato da quattro sindacati sui sette ammessi alle trattative, con una percentuale complessiva di rappresentatività pari al 53,71 %. Per carità, è pienamente legittimo, perché il TUPI all’art. 43, comma 3, stabilisce che “l’Aran sottoscrive i contratti collettivi verificando previamente… che le organizzazioni sindacali che aderiscono rappresentino…. almeno il 51 per cento”. Un principio fondante della contrattazione collettiva è che contrattare è un obbligo, concludere no e, in coerenza con il carattere privatistico della contrattazione, essa si svolge in conformità alle convenienze e ai distinti ruoli delle parti e non implica l’obbligo di addivenire ad un accordo. Quello che a mio parere è inquietante è la evidente incrinatura sulle “convenienze” di cui sopra che si è prodotta tra i sindacati confederali, confermata in modo palese dallo sciopero del 29 novembre e dai commenti al Ddl Bilancio 2025. Tra l’altro, non mi sembra di ricordare in 30 anni esatti di vita dell’Aran una percentuale di consenso così bassa.
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