Lavoro e professione
Manovra/ Quando pagano in pochi sanità e pensionati soffrono
di Claudio Testuzza
24 Esclusivo per Sanità24
Anche nell’iter di questa ultima definizione della legge finanziaria, alcuni partiti continuano a promettere, nel sistema fiscale, l’ampliamento del tetto, da 85 mila a 100 mila euro, della “flat tax”, cioè di una tassa piatta sui redditi. Stessa aliquota, 15 per cento per tutte le partite Iva. Addirittura uguale a quella minima in vigore, senza tener conto che la nostra Costituzione impone la progressività delle imposte sul reddito. L’idea che se le aliquote delle imposte fossero più basse i contribuenti evaderebbero di meno è una favola che si sente ripetere da decenni.
Chi ricorda le vecchie imposte ante riforma fiscale del 1973 sa bene che, per fare un solo esempio, l’I.G.E., imposta generale sulle entrate - sostituita sia pure con un meccanismo diverso dall’attuale Iva - che colpiva ogni passaggio di beni o di servizi, prevedeva un’aliquota del 3% ( che solo negli ultimi anni di applicazione venne elevata prima al 3,3% e poi al 4%), la sua evasione era comunque diffusissima. la verità è che, nel nostro Paese, chi propende per sfuggire al fisco ha cercato sempre espedienti per pagare il meno possibile.
Il regime della flax tax realizzato, oltre a costituire un’ incomprensibile sperequazione a carico dei cittadini a basso e medio reddito provoca, per effetto della perdita delle detrazioni e delle deduzioni, una sorta di “indotto” di evasioni e di elusioni da parte dei soggetti che forniscono beni o servizi al contribuente, per cui lo stesso, può esser indotto a non chiedere fattura e pagare in contanti per usufruire di uno sconto. Limitandosi all’ambito sanitario, non gli servirebbe più, per esempio, la fattura dei medici specialisti , degli odontoiatri, dei fisioterapisti o di altri operatori sanitari, che peraltro capita già ora che propongano al cliente uno sconto, pur di non rilasciarla. Mentre nella sanità pubblica la gestione dell’intramoenia affidata alle aziende, ha impedito il “nero”, questo risulta purtroppo ancora diffuso in certe aree geografiche e di attività. L’evasione nel settore sanitario, forse è la più odiosa, visto che si basa sulla dipendenza psicologica dei pazienti nei confronti dei medici, rischia così di essere incoraggiata.
Altro versante che soffre di queste disparità è quello dei pensionati costretti, come tutti coloro che acquisiscono un reddito, a pagare integralmente le tasse.
Gli scaglioni e le aliquote fiscali non sono, infatti, diversificati a seconda della tipologia di reddito. Il reddito da pensione è equiparato ad un reddito da lavoro dipendente, e le trattenute fiscali vengono operate direttamente dal sostituto d’imposta.
Ma è un reddito, ricordiamo, determinato da versamenti prodotti dagli stessi lavoratori nel corso della loro vita e , soprattutto, destinato a non avere che solo parziale recupero dall’inflazione .
Nell’arco del triennio 2023-2025, una pensione che nel 2022 ammontava a 1.732 euro nette subisce un taglio complessivo di 968 euro; per una pensione netta di 2.029 euro la perdita è di 3.571 euro, e per una di 2.337 euro si arriverà a una perdita di 4.487 euro. Chi percepisce una pensione netta di 2.646 euro, perde complessivamente 4.534 euro. Secondo un’analisi prospettica, questi tagli, proiettati sull’aspettativa di vita media, possono raggiungere cifre molto elevate: da 8.772 euro per un pensionato con 1.732 euro netti, fino a 44.462 euro per chi percepisce 2.646 euro netti. Ma invece di combattere con fermezza l’evasione fiscale e contributiva si pensa ancora una volta di tagliare le pensioni, colpendo sempre gli stessi, già gravati da un sistema fiscale iniquo e a cui non possono sottrarsi.
Dagli ultimi dati sulle entrate fiscali le cifre rilevano due cose: che la povera Irpef, trafitta dai regimi sostitutivi e dall’evasione, si è trasformata in modo ormai strutturale in un club per pochi che pagano per tutti gli altri. E che la forte crescita economica vissuta subito dopo il Covid, e fotografata dalle dichiarazioni 2023 sui redditi 2022 oggetto dell’ultima analisi, ha modificato solo marginalmente il quadro. Il totale dei redditi prodotti nel 2022 e dichiarati nel 2023 ai fini Irpef è ammontato a 970 miliardi, per un gettito Irpef generato di 189,31 miliardi. Valore in aumento del 6,3% rispetto allo scorso anno ma inferiore alla crescita del Pil nominale (+7,7%). Si è modificata un poco anche la forma tradizionalmente schiacciata dalla piramide dei redditi dichiarati. In particolare salgono sia i contribuenti con redditi compresi tra i 20 e i 29mila euro (9,5 milioni) sia quelli con redditi medio-alti dai 29mila euro in su, mentre diminuiscono i dichiaranti per tutte le fasce di reddito fino a 20mila euro, che calano da 23,133 a 22,356 milioni.
Ma questi piccoli smottamenti non cambiano la sostanza della questione: il 45,16% degli italiani non ha redditi (o non li dichiara), e di conseguenza vive a carico di qualcun altro. E quel qualcuno è rappresentato dal 15,26% dei contribuenti, che dichiarando redditi superiori a 35mila euro pagano il 63,39% dell’Irpef italiana.
Una minoranza di “ ricchi ”, e fedeli al Fisco, che paga sanità e welfare per tutti gli altri ed è stata, fin qui, esclusa da ogni forma di agevolazione.
L’evidente squilibrio presentato dal Report realizzato dal Centro Studi e Ricerche presieduto da Alberto Brambilla e presentato alla Camera in data 29 ottobre 2024, rappresenta un problema non trascurabile per l’intero sistema fiscale italiano.
I dati fanno male a chi continua a versare al fisco il dovuto se il 75,80% dei contribuenti dichiara redditi da zero fino a 29mila euro, corrispondendo solo il 24,43% di tutta l’Irpef.
Un’imposta neppure sufficiente a coprire la spesa sanitaria! E ancora: chi guadagna dai 55mila euro in su (circa il 5% del totale) si fa carico da solo di circa il 42% del gettito fiscale e non riceve nulla in cambio. Su una popolazione di 59.030.133 cittadini residenti sono 42.026.960 quanti hanno presentato una dichiarazione dei redditi nel 2023. A versare almeno un euro di Irpef è stata poco più della metà degli italiani.
Così come sottolineato dall’Osservatorio itinerari previdenziali, quasi la totalità delle imposte dirette, 86,33% pari a circa 278 miliardi, va con l’attuale sistema principalmente a beneficio delle prime tre fasce di reddito entro i 20mila euro (circa il 53,19% degli italiani) e in parte a chi dichiara tra il 20 e i 29mila euro (22,61% dei cittadini). Viene da sé che chi paga più imposte, cioè le fasce di reddito più elevate, non beneficia dei servizi che esso stesso ha contribuito a finanziare.
Se si guarda alla sola spesa sanitaria, coloro i quali hanno redditi fino a 15mila euro godono di una differenza tra l’Irpef versata e il costo della sanità pari a 50 miliardi. Tale valore sale a 57,8 miliardi se si sommano i redditi da 15 a 20 mila euro. L’ultima relazione sull’economia non osservata e sull’evasione tributaria e contributiva realizzata dalla commissione istituita presso il ministero dell’Economia, che viaggia in parallelo con il piano strutturale di bilancio (Psb), segnala che l’ultimo dato disponibile relativo al 2021 su quanto sfugge all’Erario è complessivamente pari a 82,4 miliardi di euro. Un’enormità! Proprio perché sulla lotta all’evasione non si può e non si deve abbassare la guardia, la Corte dei conti nell’audizione sul Psb ha proposto una serie di interventi che vanno dall’accompagnamento alla compliance attraverso un confronto preventivo basato sulle banche dati un adeguato numero di controlli ex post, passando per una calibrazione delle conseguenze dell’evasione, sia in termini di misura e tipologia delle sanzioni applicabili, sia in termini di effettività dell’azione di riscossione coattiva in caso di mancato pagamento. E i giudici contabili hanno messo nero su bianco anche un suggerimento specifico per Governo e Parlamento: allargare il perimetro della ritenuta d’acconto, demandandone l’effettuazione al soggetto incaricato della transazione finanziaria.
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