Lavoro e professione

Contratto comparto, la “quota limitata di dipendenti” frena l’applicazione

di Stefano Simonetti

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24 Esclusivo per Sanità24

Il vigente contratto collettivo del comparto Sanità è stato firmato il 2 novembre 2022, esattamente due anni fa, ma riguarda, come è noto, il triennio 2019-2021. Quello del successivo triennio 2022-2024 scade praticamente tra pochi giorni senza che vi sia alcuna possibilità che il rinnovo venga chiuso in tempi rapidi o comunque accettabili. Le trattative vanno avanti stancamente dal 20 marzo scorso e, ad oggi, si sono svolte 7 riunioni, ma quelle di ottobre vengono rinviate di continuo. Nonostante sia in vigore da ormai due anni, il CCNL in questione non è affatto applicato interamente o dappertutto. Le parti più complesse e sostanzialmente in maggiore ritardo sono il sistema degli incarichi e le progressioni economiche all’interno delle aree. Le ragioni di questi ritardi sono di molteplici e complesse matrici e non sempre attengono a questioni giuridiche o finanziarie ma possono derivare da variabili indipendenti di natura politica o meramente sindacale. Riguardo al sistema degli incarichi si può solo ricordare che, quando venne stipulato il vigente contratto nazionale, decine di aziende sanitarie non avevano nemmeno ancora applicato quello del precedente contratto del 2018. Passando alle progressioni, cioè alla attribuzione dei DEP, le difficoltà sono legate alla “nodosità” delle norme contrattuali, visto che nel lungo e defatigante art. 19 sono presenti due o tre passaggi ambigui di difficile interpretazione, ma anche alle limitate risorse disponibili nonchè a molti equivoci rispetto ai modelli di relazioni sindacali da attivare. E, a tale proposito, i pareri dell’ARAN in questi due anni non hanno fornito il necessario supporto, perché sulla materia sono stati rilasciati soltanto quattro Orientamenti applicativi mentre, ad esempio, per il comparto delle Funzioni locali le risposte che si possono trovare sul sito dell’Agenzia sulla omologa tematica sono ben trentaquattro (ma per le Funzioni centrali solo uno).
In questi giorni ho sentito persone che conosco da anni e della cui serietà professionale mi fido totalmente che mi hanno confidato che “stanno cominciando adesso” le procedure di attribuzione dei differenziali economici di professionalità. Tra le complicazioni si possono ulteriormente segnalare alcune scelte di fondo di importanza strategica difficili da assumere, il sovraccarico degli uffici, ma anche una banale inerzia senza giustificazioni particolari. Con molta probabilità uno dei maggiori ostacoli alla applicazione risiede nella preventiva definizione di quanti siano i dipendenti da premiare con i DEP; cioè, in altre parole, la questione della “quota limitata di dipendenti”.
Una delle tematiche che ha rallentato o reso impossibile la contrattazione nelle aziende è quella legata al numero massimo dei dipendenti che possono beneficiare del DEP. Sono in atto decine di vertenze e polemiche, nonostante il fatto che la individuazione del numero dei beneficiari non sia negoziabile. Ricostruiamo la vicenda. Nell’art. 19, ad una lettura lineare, sembra che per le selezioni il numero dei differenziali attribuibili sia dato solo dalle risorse disponibili per cui, in una ipotesi neanche troppo irreale, si potrebbe verificare la realizzazione della mitica “una fascia a tutti” da sempre perseguita dai sindacati. Nel CCNL non sono previste altre limitazioni, se non quella finanziaria e, in tal senso, si pone una questione di coordinamento con la legge. Va detto, peraltro, che in una bozza risalente ai primi di giugno di poco precedente alla stipula della Preintesa, si leggeva nell’art. 19, comma 4, all’inizio del punto b) “fermo restando quanto previsto dall’art. 23 del D. Lgs. 150/2009“, inciso che è scomparso nel testo definitivo. Il decreto in questione è il famoso, o famigerato, “decreto Brunetta” per il quale molti vorrebbero un intervento da cancel culture. Si potrebbe ritenere che le disposizioni della legge valgono comunque, ma aver tolto dal testo contrattuale il riferimento non eccelle per trasparenza e, infatti, si sono subito generati molti problemi e contenzioso. C’è però da chiedersi perché le parti negoziali hanno preferito fa finta di nulla e cosa ha spinto la scelta di eliminare il riferimento legislativo. Potrebbero essere due le risposte: lo hanno voluto i sindacati perché il contratto è estraneo alla questione e “tanto” c’e la legge, ma in tal modo le aziende vengono messe in grande difficoltà e la decisione non è il massimo della correttezza e buona fede. La seconda ipotesi è che qualcuno abbia ritenuto che l’art. 23 non sia più in vigore, magari perché tacitamente abrogato dal nuovo art. 52 del d.lgs. 165/2001, novellato dall’art. 3 del DL 80/2021; se fosse così allora la questione sarebbe veramente complicata e tutta da approfondire. Una ulteriore questione – senz’altro più concreta e plausibile - è quella di ritenere ovviamente vigente l’art. 23 ma di contestarne la lettura datane dal MEF in ordine soprattutto all’aggettivo “limitata”, francamente ambiguo. Le posizioni sono note. Si tratta di un parere del Dipartimento della Funzione pubblica che interveniva in sede di controllo sulle progressioni economiche del personale del comparto di un Ministero (nota prot. n. 44366 del 4.7.2019 a firma di Valerio Talamo). In buona sostanza, il Direttore dell’Ufficio Relazioni sindacali chiariva che “la quota di personale interessato alla procedura selettiva deve essere limitato ad una quota “limitata” e quindi non maggioritaria (non superiore al 50 %) della platea dei potenziali beneficiari”. Il MEF ha sempre seguito questa impostazione tanto che nelle istruzioni per la redazione del Conto annuale scrive chiaramente che “una misura del grado di selettività effettivamente realizzato, determinata dal rapporto fra domanda PEO188 (PEO effettuate) e domanda PEO111 (dipendenti che hanno concorso alle PEO); tale rapporto deve essere inferiore o al massimo uguale al 50%” (pag. 169 dell’allegato alla circolare n. 18 del 18.6.2021); la prescrizione è stata pedissequamente ripetuta anche nell’ultima circolare del 2023, a riprova che il MEF non considera affatto superata la questione. E c’è addirittura da ricordare che la sezione della Corte dei Conti della Toscana ha indicato come percentuale fisiologica il 35% dei dipendenti ed entra in contrasto con l’indicazione fornita dal MEF che prevede invece una percentuale “non superiore al 50%”. Va detto subito, però, che l’indicazione del 35% è estranea al contesto delle aziende ed enti del S.s.n. perché la sentenza n. 288 del 9.9.2020 della Corte dei Conti, sez. giurisdizionale per la Toscana, si riferisce alle autonomie locali.
La questione è molto più complicata di quanto ambedue le parti contrapposte dicono ed è intrisa di riserve mentali, equivoci e atteggiamenti in malafede. Mi permetto di dire che riguardo ad eventuali interventi correttivi, essi non possono che essere di iniziativa legislativa o all’esito giudiziale di un ricorso perchè a livello interpretativo, a mio parere, si tratta di una battaglia persa. A conferma di ciò, segnalo l’ultima indicazione dell’ARAN che, con l’Orientamento applicativo CFL220 del 4.8.2023, conferma che il principio della cd. “quota limitata” nell’attribuzione delle progressione economiche all’interno delle aree, trattandosi di un principio di legge, previsto dall’art. 23 del d.lgs. 150/2009, è tutt’ora vigente e non può ritenersi disapplicato per il solo fatto che la nuova formulazione letterale dell’art. 14 del CCNL 16.11.2022 - omologo dell’art. 19 del CCNL della Sanità - non lo citi espressamente. Peraltro, anche il vigente art. 52, comma 1-bis, del d.lgs. 165/2001 afferma che tale progressione economica deve essere selettiva, ribadendo la validità del suddetto principio, ormai da anni codificato dalla Ragioneria generale dello Stato, dal Dipartimento della Funzione Pubblica nonché dalla stessa ARAN, per il quale possono accedere al beneficio economico non più della metà degli aventi diritto; sempre che poi ci si intenda sul concetto di “aventi diritto”, concetto volatile che può contenere più scenari: ad esempio come considerare e computare i “recuperati” di cui alla lettera e) dell’art. 19, comma 4 ?
Si parlava di una battaglia persa a livello interpretativo. Sulla lettura rigorosa e, se vogliamo irrazionale del MEF, si può anche concordare, tenuto conto che non ci sarebbe in ogni caso una “maggiore spesa” rispetto alla capienza del fondo ex art. 102. Nella lingua italiana l’aggettivo “limitata” riferito alla quota può senz’altro avere due accezioni diverse: può essere il contrario di “prevalente” – e allora sarebbe coerente con il limite massimo del 50% dei dipendenti – ma, secondo la Treccani, può anche voler dire “circoscritto, ridotto, esiguo, parziale, ristretto entro certi limiti” non necessariamente predefiniti o rigidi. Inoltre, la tesi del tetto del 50% promana da un mero parere che certamente, come fonte del diritto, non può avere forza di legge o l’autenticità interpretativa. Una ulteriore questione riguarda il numero di dipendenti sul quale applicare il limite del 50%. Il MEF-RGS, già nella Circolare n. 15/2019 relativa al Conto annuale 2018, spiegando il contenuto della domanda “Peo119” della Scheda “Sici”, ha affermato che per quota limitata di dipendenti deve intendersi quella corrispondente non oltre il 50% degli “aventi diritto” ad accedere alla procedura. L’ interpretazione ha trovato conferma anche da parte del Dipartimento della Funzione pubblica, istituzionalmente competente per l’interpretazione delle norme di legge concernenti il rapporto di lavoro pubblico. Nella già richiamata nota prot. n. 44366 del 4.7.2019 viene, infatti, fatto riferimento alla “platea dei potenziali beneficiari”. Dal dato letterale delle indicazioni di cui sopra si potrebbe intendere il numero di dipendenti potenzialmente beneficiari – cioè coloro che sono in possesso dei requisiti - e non coloro che hanno di fatto inoltrato domanda. In ogni caso, a titolo personale, non ritengo corretta nessuna delle due letture perchè il comma 2 dell’art. 23 del d.lgs. 150/2009, nell’inciso “ad una quota limitata di dipendenti”, fa riferimento ad un concetto generale e indistinto: limitarlo e comprimerlo come hanno fatto i due ministeri appare – ripeto, secondo me – una forzatura che non rispecchia le intenzioni del legislatore che, come sanno tutti, erano quelle di evitare le attribuzioni delle PEO a pioggia nella logica di “una fascia a tutti”.
Proviamo a fare un esempio pratico. Totale indistinto del personale del comparto = 1.000; domande inoltrate = 900; dipendenti in possesso dei requisiti = 800 (presenza di sanzioni, errori sui tre anni senza progressione, ecc.). Secondo le varie interpretazioni si avrebbero, rispettivamente, non più di 500 beneficiari (calcolo su tutti i dipendenti), non più di 450 (calcolo su coloro che hanno fatto domanda) e non più di 400 (calcolo su ci è in possesso dei requisiti). Se si segue la mia interpretazione di buon senso e si assegna il DEP a 500 soggetti su 1.000 dipendenti, come si può credibilmente affermare che è stata violata la legge del 2009 ? Tra l’altro, questa scelta potrebbe addirittura costare meno perché se la ripartizione tra le quattro aree avviene, come dice in CCNL, “equitativamente” l’impegno di risorse del fondo potrebbe essere minore rispetto all’importo dei DEP da assegnare a 400 dipendenti addensati in maggioranza nella Area IV. E’ solo, infine, il caso di sottolineare che le parole “aventi diritto” non si rinvengono nel testo del decreto Brunetta che parla genericamente di “dipendenti” e nel comma 1 precisa “nei limiti delle risorse disponibili”.
Tuttavia bisogna essere pragmatici e non si può ignorare la circostanza che in tutti i Collegi sindacali è presente un componente designato dal MEF il quale è gioco forza obbligato per ordini di scuderia a seguire e imporre quella tesi. In molti Collegi si sostiene formalmente che il 50% non si calcola sul totale dei dipendenti ma solo su chi partecipa alle selezioni, come peraltro affermato nei pareri citati.
Ora, quale Direttore aziendale o Capo del personale si dovrebbe prendere la responsabilità di accedere alla tesi che l’unico limite è costituito dalle risorse finanziarie a disposizione dei DEP, con il rischio di andare personalmente davanti alla Corte dei Conti ? Non è affatto detto che venga generato un danno erariale perché per qualunque scelta venga fatta il vincolo è comunque la capienza del fondo. Ma molti revisori e una parte della giurisprudenza hanno un concetto di danno erariale non solo, ovviamente, in relazione ad una maggiore spesa ma anche quando, pur nel rispetto del fondo, i suoi impieghi hanno profili di illegittimità. E qui si innesta una ulteriore tematica, cioè quella che a rispondere dell’eventuale danno erariale andrebbero soltanto i responsabili di parte pubblica perché, come è noto, la Corte di Cassazione, Sez. Unite, con ordinanza n. 14689 del 14.7.2015 ha sancito che “ …… deve conclusivamente escludersi che eventuali conseguenze dannose possano essere oggetto di responsabilità contabile a carico dei rappresentanti sindacali che hanno concluso gli accordi collettivi”.


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