Lavoro e professione

Trattamento di fine rapporto: tra rendimenti e tasse, guida alla scelta tra Fondo e azienda

di Claudio Testuzza

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24 Esclusivo per Sanità24

La corsa dei prezzi e la crisi dei mercati finanziari hanno creato alcuni dubbi sulla convenienza di far confluire il Tfr nella previdenza complementare.
Nel 2022, con un’inflazione che era salita all’11,6 % il Trattamento di Fine Rapporto si è rivalutato del 10% circa, l’8,3% al netto dell’imposta sostitutiva, mentre i fondi pensione hanno registrato rendimenti, in generale negativi. Ma ha davvero senso valutare la performance di strumenti con un orizzonte di lungo termine alla luce dei risultati di un singolo anno ?
Secondo gli ultimi dati diffusi dalla COVIP, nel 2022 i risultati dei fondi pensione hanno risentito del calo dei corsi dei titoli azionari e del rialzo dei tassi di interesse nominali, che a sua volta determina il calo dei corsi dei titoli obbligazionari.
I rendimenti netti sono pertanto risultati negativi e pari, in media tra tutti i comparti, a -9,8% per i fondi negoziali, -10,7% per gli aperti e -11,5% per i PIP di ramo III.
Il rendimento finanziario non è l’unico, però, aspetto da considerare nella scelta di conferire o meno il proprio TFR al fondo pensione, occorre anche valutare i rendimenti su orizzonti più propri del risparmio previdenziale. La stessa Covip , nella relazione annuale di giugno 2024, sullo stato dell’arte della previdenza integrativa ha rilevato che , se si guarda ad un orizzonte di 10 anni, la performance migliore nel periodo 2014-2023 è stata raggiunta, in media, dai fondi pensione aperti azionari con un rendimento medio annuo del 5,5 per cento. A breve distanza seguono le linee azionarie dei fondi negoziali di categoria con il 4,4 per cento e Pip ( piani individuali pensionistici ) azionari con il 4,2 per cento.
Il Tfr rappresenta un vero e proprio compenso differito al momento della cessazione del rapporto di lavoro, al fine di favorire al lavoratore il superamento delle difficoltà economiche connesse con il venir meno della retribuzione. Fino all’introduzione della legge n. 297/1982 il trattamento di fine rapporto, denominato “indennità di anzianità” o “indennità di servizio” o “liquidazione”, veniva calcolato sulla base del prodotto dell’importo dell’ultima mensilità di retribuzione per il numero degli anni di servizio prestati. Attualmente il trattamento si calcola, invece, sommando per ciascun anno di servizio una quota pari all’importo della retribuzione dovuta per lo stesso anno divisa per 13,5. Il Tfr è poi incrementato, su base composta, al 31 dicembre di ogni anno, con applicazione di un tasso costituito dall’1,5 per cento in misura fissa e dal 75 per cento dell’aumento dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati rispetto al mese di dicembre dell’anno precedente.

Dal 2000 sono stati assoggettati al regime di TFR anche i dipendenti pubblici assunti con contratto a tempo determinato in servizio al 30 maggio 2000, e i dipendenti assunti in data successiva al 30 maggio 2000 con contratto a tempo indeterminato con decorrenza dal 1º gennaio 2001. Gli altri dipendenti pubblici più anziani sono rimasti assoggettati al regime di trattamento di fine servizio (TFS) a meno che non aderiscano alla previdenza complementare e automaticamente al TFR .

Il rendimento del Tfr negli anni passati è stato costantemente basso in relazione al tasso di inflazione che non ha superato il 2 / 3 per cento.

Dunque, in una prospettiva di lungo periodo, i risultati dei fondi pensione si confermano in linea con uno dei più importanti rendimenti obiettivo (oltre ad inflazione e media quinquennale del PIL). Osservando poi la distribuzione dei rendimenti dei singoli comparti tra le diverse tipologie di fondi e le diverse linee di investimento, i comparti caratterizzati da una maggiore esposizione azionaria mostrano rendimenti più elevati rispetto agli altri e al TFR. Ricordiamo, poi, che chi lascia il TFR in azienda deve sapere che questo verrà tassato applicando le aliquote IRPEF, con la più bassa fissata al 23% e la più alta al 43%.

Chi, invece, lo conferisce al fondo pensione può contare sulle seguenti agevolazioni fiscali:

-sui rendimenti, attraverso un prelievo fiscale tramite tassazione sostitutiva pari al 12,5% sui rendimenti da Titoli di Stato e al 20% sui rendimenti da altri impieghi, mentre per tutti gli altri investimenti la tassazione è fissata al 26%;

-sulla prestazioni finale, cioè la pensione integrativa, tassata con un’aliquota pari al 15% che si riduce dello 0,30% all’anno per ogni anno di permanenza nel fondo pensione oltre il quindicesimo, raggiungendo un’aliquota minima del 9% (mentre ribadiamo che per il TFR lasciato in azienda l’aliquota minima è del 23%).

Un altro aspetto da considerare nel confronto tra TFR in azienda o al fondo pensione riguarda le anticipazioni, e in particolare l’anticipo per esigenze non documentate che si può chiedere al fondo pensione, ma che non è ammesso se si tiene il TFR in azienda.Da questi dati e valutazioni è da ritenere che spostare il Tfr in un fondo pensione appare, ancora, e verosimilmente lo sarà anche per il futuro, specie una volta che sarà ridotta l’inflazione scatenatasi nell’ultimo anno a causa soprattutto del conflitto russo- ucraino, la scelta più conveniente.


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