Lavoro e professione

Complessità e multidisciplinarietà: i nuovi modelli organizzativi necessari

di Eugenio Di Brino *, Micaela La Regina **, Riccardo Tartaglia ***

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24 Esclusivo per Sanità24

Quali saranno i futuri modelli organizzativi della sanità alla luce di quanto accaduto durante la pandemia? Oggi disponiamo di numerosi studi e ricerche che dovrebbero introdurre importanti cambiamenti basati sulle evidenze. È stata questa la domanda posta in occasione del recente Forum Sistema Salute ad alcuni esperti provenienti da varie aree disciplinari tecniche e sociali (ricerca tecnologica, assicurazioni, associazioni di tutela, aviazione ecc.).
Il contributo di questi professionisti ha confermato come l’approccio multidisciplinare alla complessità si rivela sempre la modalità migliore per affrontare situazioni complesse che hanno bisogno del sapere e dell’esperienza di più aree di conoscenza per risolvere i problemi attuali.
L’esperienza della pandemia ha dimostrato la necessità di un maggior coordinamento a livello europeo ma anche internazionale per rispondere adeguatamente alle future emergenze sanitarie. È fondamentale velocizzare la risposta in termini di tempo, in particolare per quanto concerne le modalità di raccolta dei dati e analisi dei problemi che emergono e di ricerca delle soluzioni. Numerose sono le lezioni apprese: l’importanza della medicina territoriale, la necessità di una maggior coordinamento centrale, l’importanza di lavorare per procedure, avere una maggiore agilità organizzativa e dati aggiornati, ridurre il numero di oneri amministrativi, fondamentale infine comprendere bene i bisogni delle popolazioni. Anche la formazione dovrà avere una parte importante sempre più basata sul lavoro interdisciplinare e sulla simulazione.
Il Servizio sanitario nazionale (Ssn) ha sicuramente bisogno di maggiori finanziamenti per realizzare il cambiamento e il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) rappresenta senz’altro una spinta formidabile all’innovazione tecnologica (telemedicina) e allo sviluppo della medicina territoriale (case e ospedali di comunità). Sono necessarie però anche riforme che motivino il personale e permettano di operare in modo diverso più agile e mirato, in particolare: sarà necessario ridurre la pratica della medicina difensiva, migliorare l’appropriatezza delle cure facendo riferimenti a procedure evidence based e linee guida, diminuire il carico burocratico (valutare le evidenze per qualsiasi nuova pratica amministrativa da introdurre), favorire il lavoro di team tra medici di medicina generale e specialisti ospedalieri. La sola introduzione di questi cambiamenti potrebbe portare a risultati importanti in termini di maggiore qualità e sicurezza delle cure e risparmio economico.
La pandemia non solo ha comportato un costo enorme in termini di vite umane, stimato in quasi duecentomila decessi, ma anche un impatto economico che ha fortemente scosso il nostro paese (19 miliardi nei primi due anni di Covid-19).
Una survey internazionale ha dimostrato come il mondo ha abbia fatto importanti progressi nella conoscenza e nella ricerca di soluzioni avanzate nell’affrontare la pandemia, dopo che sono state incontrate difficoltà inattese e sostanziali. Le regioni dell’Oms hanno risposto in modo molto diverso e solo alcuni paesi sono stati capaci di adottare misure che hanno mitigato la mortalità.
Siamo quindi giunti a un momento critico dell’evoluzione del Ssn in cui tutti si aspettano profonde riforme se si vuole rendere più sostenibile, resiliente e antifragile il sistema sanitario.
Alla luce di questi scenari e proposte di cambiamento, abbiamo provato a porre alcune domande agli esperti che hanno partecipato al nostro laboratorio per avere, in base alla loro esperienza in vari campi, alcune idee sul che cosa poter fare.
Abbiamo selezionato alcune risposte, risultate in generale fuori dai normali dibattiti sulla sanità e che riteniamo opportuno approfondire: favorire il lavoro di team mediante la formazione e anche specifici incentivi; introdurre i principi della just culture nell’analisi delle malpractice e nel risk management; alfabetizzazione digitale e miglioramento dell’ergonomia e usabilità degli applicativi; maggior coinvolgimento del cittadino/paziente senza però burocratizzare e formalizzare in modo eccessivo la sua partecipazione negli apparati del sistema; lavorare per obiettivi di salute (value based system piuttosto che volume based system); affidare il design dei servizi a esperti in questo campo; disporre al pari di altri paesi di sistemi informativi in grado di fornire dati epidemiologici in tempo reale.
Dal dibattito è emerso un quadro di complessità e un’esigenza di multi-disciplinarietà superiore all’era pre Covid, ma anche la chiave per semplificare la complessità e armonizzare la multidisciplinarietà: la persona. La profonda trasformazione richiesta sarà possibile solo se cittadino, operatore sanitario e financo il manager saranno considerati non rispettivamente come utenti, lavoratori e decisori, ma nella loro dimensione comune di persona, vale a dire di "individuo umano oggetto di considerazione o di determinazione nell'ambito delle funzioni e dei rapporti della vita sociale" (Dizionario Oxford Language). Tanti anni dedicati a realizzare una cura centrata sul paziente e l'engagement del paziente ha affermato la superiorità del singolo rispetto alla comunità e messo in secondo piano gli operatori e anche i manager che sono diventati meri erogatori e gestori di servizi "dovuti". È pertanto necessario ri-bilanciare questa relazione. Valorizzare, proteggere, far rispettare e coinvolgere nelle decisioni il capitale umano delle organizzazioni sanitarie vale tanto quanto mettere il paziente al centro del percorso di cura. E allo stesso modo riconoscere una dimensione di individuo umano ad operatori e manager può servire ad avvicinarli tra loro e alla popolazione nel fine ultimo e comune della tutela della salute.

* Università Cattolica
** Usl la Spezia
*** Università Marconi


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