Lavoro e professione

La carenza di professionisti in Cardiologia come paradigma dei gap assistenziali in ospedale e sul territorio

di Fabrizio Oliva *

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24 Esclusivo per Sanità24

La carenza di medici negli ospedali e nei servizi territoriali è da tempo un problema in Italia e l’avvento della pandemia ha peggiorato gli effetti di questa criticità sugli indicatori di efficienza del sistema sanitario. È stato stimato che nel quinquennio 2020-2025 circa 50.000 medici specialisti potrebbero andare in pensione. La Cardiologia è una delle specialità che, per la tipologia di attività trasversale che svolge (dall’attività ambulatoriale, a quella di degenza intensiva e ordinaria e all’attività di sala) e per la capillarità della sua diffusione (strutture territoriali e ospedaliere), risente in modo particolare di questa carenza di organico.
Alcuni dei principali fattori che contribuiscono a questa carenza di specialisti cardiologi, tendenzialmente diffusa in tutte le Regioni, sono rappresentati da una mancata valutazione e programmazione negli anni passati, del corretto numero di Cardiologi che dovevano essere formati nelle Scuole di specializzazione. A fronte di questa carenza di personale la Cardiologia ha negli ultimi anni visto crescere in modo esponenziale la sua attività sia in senso quantitativo che qualitativo, con un incremento del numero e della complessità delle attività di emodinamica, elettrofisiologia e interventistica strutturale e della complessità dei pazienti assistiti nelle nostre Utic. Ci viene inoltre chiesto di contrastare il fenomeno dell’importante incremento dei tempi di attesa per le visite cardiologiche registrato dopo la pandemia e il cardiologo, sempre più spesso, viene "precettato" per coprire carenze di personale in Area medica o Medicina d’urgenza. Dovremo anche a breve essere coinvolti, secondo i principi del Pnrr, nei programmi della gestione di patologie croniche, come lo scompenso cardiaco, che prevedono nuovi modelli gestionali presso le Case di comunità e nuovi strumenti di telemedicina.
Il mondo della cronicità è un’area in progressiva crescita che comporta un notevole impegno di risorse, richiedendo continuità di assistenza per periodi di lunga durata e una forte integrazione dei servizi sanitari con quelli sociali e necessitando di servizi residenziali e territoriali finora non sufficientemente disegnati e sviluppati nel nostro Paese. Il paziente cui ci si riferisce è una persona, solitamente anziana, spesso affetta da più patologie croniche incidenti contemporaneamente, le cui esigenze assistenziali sono determinate non solo da fattori legati alle condizioni cliniche, ma anche da altri determinanti (status socio-familiare, ambientale, accessibilità alle cure ecc.).
La presenza di pluripatologie richiede l’intervento di diverse figure professionali ma c’è il rischio che i singoli professionisti intervengano in modo frammentario, focalizzando l’intervento più sul trattamento della malattia che sulla gestione del malato nella sua interezza, dando talvolta origine a soluzioni contrastanti, con possibili duplicazioni diagnostiche e terapeutiche che contribuiscono all’aumento della spesa sanitaria e rendono difficoltosa la partecipazione del paziente al processo di cura.
Il Piano nazionale della cronicità (Pnc, 2016) nasceva dall’esigenza di armonizzare a livello nazionale le attività in questo campo, proponendo un documento, condiviso con le Regioni, che, compatibilmente con la disponibilità delle risorse economiche, umane e strutturali, individuasse un disegno strategico comune inteso a promuovere interventi basati sulla unitarietà di approccio, centrato sulla persona ed orientato su una migliore organizzazione dei servizi e una piena responsabilizzazione di tutti gli attori dell’assistenza.
Nella regione europea dell’Oms, malattie come lo scompenso cardiaco, l’insufficienza respiratoria, i disturbi del sonno, il diabete, l’obesità, la depressione, la demenza, l’ipertensione, colpiscono l’80% delle persone oltre i 65 anni e spesso si verificano contemporaneamente nello stesso individuo. Ed entro il 2060 si prevede che il numero di Europei con età superiore a 65 anni aumenti da 88 a 152 milioni, con una popolazione anziana doppia di quella sotto i 15 anni.
In Europa si stima che le malattie croniche, nel complesso, siano responsabili dell’86% di tutti i decessi e di una spesa sanitaria valutabile intorno ai 700 miliardi di euro per anno.
L’emergenza pandemica ha evidenziato con chiarezza la necessità di rafforzare la capacità del Ssn di fornire servizi adeguati sul territorio.
Il Pnrr può sicuramente rappresentare un punto di svolta per garantire finalmente una (migliore) presa in carico sul territorio dei pazienti affetti da patologie croniche. Tuttavia tra le righe del Piano si nasconde anche un potenziale pericolo: se la sanità territoriale non sarà organizzata al meglio e integrata con la rete ospedaliera i pazienti rischieranno di trovarsi bloccati sul territorio in una sorta di limbo dai percorsi indefiniti. Se si pensa ad esempio ai pazienti con insufficienza cardiaca, il prototipo della patologia cronica di per sé e per le comorbidità che lo accompagnano, questa situazione potrebbe causare ritardi e rivelarsi fatale, considerando che l’insufficienza cardiaca acuta è una condizione tempo dipendente. Quindi c’è molto da fare e da recuperare sia in termini di assistenza che in termini di qualità dell’assistenza con l’inserimento di nuove figure professionali e con nuove modalità di assistenza che prevedranno anche l’utilizzo della telemedicina nelle sue varie declinazioni.

* presidente Anmco e direttore cardiologia 1 ospedale Niguarda di Milano


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