Lavoro e professione
Decreto Bollette/ Intersindacale: nel testo misure normative senza impegno economico, così non si salva la sanità pubblica
di Intersindacale
24 Esclusivo per Sanità24
Le organizzazioni sindacali della dirigenza medica, sanitaria e veterinaria riprendono la mobilitazione iniziata a settembre per organizzare entro il mese di maggio, insieme alle associazioni dei cittadini e le componenti sociali e professionali, gli Stati Generali della salute in preparazione di una manifestazione pubblica a giugno, prevedendo anche scioperi
Il Decreto Bollette approvato dal Consiglio dei ministri contiene alcune misure per la sanità pubblica, per lo più di ordine normativo, rigorosamente senza impegni economici, che lasciano privo di soluzione e di prospettive il grande problema del destino del Ssn e dei professionisti che lavorano al suo interno.
L’unico messaggio positivo è riservato di fatto ai soli Pronto soccorso, con l’anticipo di un finanziamento già previsto dalla legge di bilancio. Un messaggio giusto, che, però, sotto certi aspetti, rischia di essere solo cosmetico, senza alcuna considerazione per altre discipline che hanno problemi altrettanto gravi e “critici”, ad iniziare dagli anestesisti per continuare con i chirurghi, fino ai professionisti della prevenzione primaria e a quelli che prendono in carico i pazienti post acuzie. Niente risorse extracontrattuali per il Ccnl 2019-2021, i cui incrementi previsti sono un terzo del tasso inflattivo, niente fiscalità di vantaggio, concessa a privati e altri settori del pubblico impiego, neppure per attività di valore sociale come l’abbattimento delle liste di attesa.
Un decreto monco, insomma, che, per quanto contenga risposte ad alcune richieste delle Organizzazioni sindacali, come la procedibilità d’ufficio per chi aggredisce gli operatori sanitari, fallisce l’obiettivo di sollevare un servizio sanitario nazionale in ginocchio e arrestare la fuga di medici, dirigenti sanitari e veterinari, delusi e insoddisfatti, dal Ssn. Che non saranno di certo incentivati a rimanere nella sanità pubblica da una sanatoria per l’accesso ai ruoli della “area critica” (soltanto PS?) senza specializzazione, o da un incremento della retribuzione oraria delle prestazioni aggiuntive in PS, che sarà ampiamente tassato, oppure da incarichi libero-professionali per gli specializzandi a prezzo da saldi di stagione. Tantomeno il giro di vite arresterà il reclutamento dei gettonisti, che finisce anche per essere legittimato.
L’impegno profuso dal ministro della Salute, attraverso dichiarazioni e tavoli tecnici con le Organizzazioni sindacali, non è bastato a dare una scossa a quello che ormai da decenni si configura come il vero ministero con portafogli della salute, ovvero il Mef. Di fatto si lascia invariato il quadro economico delineato dalla Nadef mirando nel 2025 a una spesa sanitaria che le stesse Regioni giudicano insostenibile, minacciando ulteriori tagli.
La crisi della sanità pubblica richiede investimenti congrui e spendibili oggi mentre il disagio dei professionisti al suo interno necessita di provvedimenti strutturali, e non cosmetici, incluso l’utilizzo della leva retributiva nei loro confronti, senza eccezioni, perché tutti hanno garantito i Lea a spese della qualità della loro vita, delle loro ferie e dell’abuso del loro orario di lavoro. Nonostante tutto e nelle condizioni di lavoro peggiori dell’ultimo decennio.
Il tempo è scaduto, e le Organizzazioni sindacali sono stanche di gridare, scrivere, denunciare senza avere risposte. Per manifestare il loro disagio riprenderanno la mobilitazione per organizzare entro il mese di maggio, insieme con le associazioni dei cittadini e le componenti sociali e professionali, gli Stati generali della salute. In assenza di risposte convincenti, nel mese di giugno scenderanno in piazza, prevedendo anche scioperi perché dopo 10 anni di tagli indiscriminati di strutture, posti letto e offerta sanitaria occorre fermare questa deriva: siamo all’ultima chiamata per il servizio sanitario nazionale e pubblico. Fermarsi qualche giorno per non fermarsi per sempre.
È ormai il momento di pretendere la salvaguardia di un servizio di cure pubblico e universale, per la quale non basta la sola voce del ministro della Salute, serve quella dei cittadini, dei sindaci, delle regioni, delle forze sociali, delle istituzioni professionali, alle quali ci rivolgiamo per salvare l’articolo 32 della nostra Costituzione. Perché un servizio sanitario, pubblico e nazionale, rappresenta anche «il principale presidio della unità nazionale», come dice il Presidente Mattarella.
La sostenibilità di un servizio sanitario è scelta politica. O si è con il Ssn o contro. Questo le Organizzazioni sindacali e i cittadini chiedono al presidente del Consiglio e ai ministri del suo Governo.
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