Lavoro e professione

Questione medica, il convitato di pietra è il Mef e il grande assente è il Ccnl della dirigenza

di Stefano Simonetti

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24 Esclusivo per Sanità24

Alcuni giorni fa su questo sito è stata data la notizia della presa di posizione della Fnomceo, presentata il 21 aprile scorso a Roma nell’ambito della Conferenza nazionale sulla “Questione Medica”. I grandi e irrisolti problemi della categoria sono stati oggetto di vari interventi e sono riassunti in un documento/manifesto di 20 punti firmato da 15 organizzazioni sindacali, tra le quali sei sigle delle nove maggiormente rappresentative dell’Area della dirigenza sanitaria.

Erano presenti alla Conferenza il ministro della Salute Roberto Speranza e ilpPresidente della Conferenza delle Regioni Massimiliano Fedriga che hanno effettuato interventi molto giusti e “istituzionali”, prendendo impegni politici riguardo a tutte le criticità emerse. Tuttavia, tra le autorità coinvolte nelle questioni trattate nella Conferenza c’era un convitato di pietra che in queste occasione è sempre assente ma è il vero decisore finale di quasi tutti gli interventi governativi sulla Sanità pubblica. Mi riferisco al Ministro dell’economia e delle finanze o, meglio, al Capo dipartimento della Ragioneria generale dello Stato. Se il MEF fosse stato rappresentato, si sarebbe potuto chiedere perché resiste ancora il vincolo della spesa del 2004 diminuita del 1,4%, perché invece di un finto superamento non si arriva alla abrogazione del tetto dell’accessorio 2016, come continua a imporre il famigerato art. 23, comma 2, del decreto 75/2017. E, ancora, che fine ha fatto il preciso impegno preso dal Governo nel Patto per il lavoro pubblico del 10 marzo 2021 riguardo alla defiscalizzazione e decontribuzione del salario accessorio. Inoltre, per i grandi problemi della categoria, qualcuno dovrebbe oggi sentirsi seriamente in colpa per non aver fatto ricorso ai miliardi del MES che con una sola quota percentuale inferiore al 10% del tetto dei 37 miliardi avrebbe consentito di sistemare per anni quasi tutte le criticità del S.s.n. Già che ci siamo, sarebbe interessante sapere perché a ben cinque anni dall’entrata in vigore ancora non è pienamente a regime la legge Gelli sulla responsabilità professionale: che fine ha fatto il decreto del MISE sulle polizze ?

Nel merito del documento i 20 punti sembrano molto sbilanciati sul fronte delle convenzioni perché per la dirigenza sanitaria dipendente solo in due o tre casi si rinvengono proposte precise (punti 1, 2 e 6). In particolare, la questione del rinnovo del CCNL che è scaduto, come tutti sanno, da due anni e mezzo e per il quale non esiste al momento alcuna traccia di atto di indirizzo o simile. A tale proposito, un’altra domanda cui avrebbe potuto rispondere il MEF è: in base a quale valutazione di merito - politica, giuridica, strategica o meramente finanziaria – nel DEF 2021, Sezione II - Analisi e tendenze della finanza pubblica, a pag. 28 si legge testualmente che “I rinnovi contrattuali per il triennio 2016-2018 sono stati sottoscritti definitivamente eccetto quelli della Presidenza del Consiglio dei Ministri che verranno chiusi nel 2021. Per i rinnovi contrattuali del triennio 2019-2021 si prevede che gli stessi saranno sottoscritti definitivamente nel 2021 per le carriere diplomatica e prefettizia mentre quelli del comparto Sicurezza-Difesa e Soccorso pubblico e dei comparti Aran saranno sottoscritti nel 2022. Nel 2023, infine, si ipotizza che verranno siglati i restanti contratti afferenti alle Aree Aran”.

Il ritardo inaccettabile del rinnovo del contratto collettivo per il triennio 2019-2021 – già abbondantemente scaduto ancor prima di essere stipulato – porta a situazioni paradossali. Ad esempio, uno degli interventi per evitare la fuga da strutture fortemente critiche è stato lo stanziamento della indennità di Pronto soccorso (art. 1, comma 293 della legge 234/2021), che per i medici consiste in complessivi 27 milioni di €. Ma tutti i diretti interessati dovrebbero essere consapevolmente informati che questi benefici li potranno verosimilmente trovare in busta paga non prima della metà del 2023.

Per comprendere la surreale situazione del rinnovo del CCNL della dirigenza sanitaria sarebbe, tra l’altro, necessario che qualcuno chiarisse seriamente e senza elusione di argomentazioni perché l’ARAN – con il testo contrattuale del comparto praticamente pronto - stia aspettando da quattro mesi l’Atto di indirizzo integrativo per l’utilizzo delle risorse aggiuntive dello 0,55% e dello 0,22% previste – ma non stanziate direttamente – dalla legge di Bilancio 2022: se questo enigma venisse svelato, si avrebbe in ogni caso qualche elemento di giudizio in più per capire davvero cosa stia succedendo.

La “Questione medica” si trascina da troppi anni e quello che è stato fatto finora è davvero poco. Credo che sia scontato affermare che la situazione dei medici dipendenti è molto peggiorata e i due anni di stato di emergenza con tutta la retorica e l’incenso sprecati a favore degli eroi e degli angeli suona oggi addirittura irritante. Ben prima della pandemia, quando si insediò al ministero della salute, Roberto Speranza da subito affrontò la “questione medica”, già allora criticissima. Scrivevo su questo sito il 13 settembre 2019 che per trattenere o far arrivare i medici banalmente si potrebbe dire: pagarlo meglio, il che è tanto scontato quanto, evidentemente, difficilissimo e le vicende del rinnovo contrattuale ne sono un esemplare metafora. Ma esistono anche forme di incentivazione non economiche che potrebbero rendere più attrattiva la carriera del medico pubblico, a prescindere dal trattamento economico.

In tale direzione, avevo proposto alcuni interventi da attuare senza esorbitanti costi, precisando tuttavia che pensare di non investire nulla è il modo migliore per affossare definitivamente il S.s.n. Con profondo rammarico provo a ricordare le proposte che avanzai più di due anni fa:

1.una “buonentrata” da erogare una tantum al superamento del periodo di prova con la clausola di restituzione qualora si lasci il servizio pubblico prima di cinque anni;

2.defiscalizzazione e decontribuzione del salario accessorio per i primi 5 anni di servizio;

3.corsie preferenziali, sia per orari che per logistica, e promozione da parte dell’azienda della libera professione intramuraria - precedenza nella distribuzione del fondo di perequazione;

4.riduzione dell’IRAP al 4,25% per le aziende datrici di lavoro che sarebbero però tenute a reinvestire in favore dei giovani medici i costi risparmiati;

5.alloggi di servizio a canoni locativi di assoluta convenienza per attirare giovani fuori sede;

6.incentivi fiscali per il rientro di medici dall’estero in applicazione delle disposizioni di cui all’art. 5 del “decreto crescita” , a patto che partecipino e vincano un concorso pubblico.

Alle proposte operative di cui sopra – tutte ancora valide e del tutto ignorate - si possono oggi aggiungere altri possibili interventi per scongiurare la fuga dei medici. Mi riferisco alla possibilità di utilizzare le risorse derivanti dalla mancata erogazione delle retribuzione ai sospesi per inadempienza all’obbligo vaccinale (vedi l’articolo del 31 marzo su questo sito) e alla strutturazione vera e seria dei contratti di formazione lavoro per gli specializzandi, con il contemporaneo divieto di attivare forme di lavoro atipico. Il tema della possibilità di predisporre alloggi di servizio è stato ripreso con l’articolo del 16 marzo su questo sito. E, naturalmente, resta in piedi la defiscalizzazione dell’accessorio, come peraltro promesso formalmente un anno fa dal Governo. Ebbene, nessuno dei suggerimenti è stato nemmeno preso in considerazione.



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