Lavoro e professione
La mancata retribuzione di medici e infermieri sospesi perché "no vax" vada nei fondi premiali
di Stefano Simonetti
24 Esclusivo per Sanità24
È già stato affrontata su questo sito la questione del prolungamento dell’obbligo vaccinale per il personale sanitario, disposto dal recente Dl 24/2022 . È stato anche sottolineato che, in pratica, i sanitari sono gli unici soggetti per i quali lo stato di emergenza perdura fino alla fine dell’anno. Gli aspetti giuridici della norma legislativa risalente ormai al marzo dell’anno scorso e i suoi possibili profili di illegittimità costituzionale saranno affrontati a breve dalla Consulta: ragione per cui non sembra opportuno né utile approfondire le questioni di diritto connesse alla sospensione conseguente all’inadempimento dell’obbligo. Così come non è questa la sede per esaminare le motivazioni ideologiche, le basi scientifiche o le ragioni personali che hanno portato a tante elusioni dell’obbligo. Ma c’è un aspetto della vicenda che mi sembra molto interessante e, in un contesto generale di grande criticità per medici e infermieri che da due anni lavorano sotto continuo stress, potrebbe portare qualche beneficio. Parto dalla rilevazione che, in conseguenza delle sospensioni adottate, le aziende sanitarie hanno "risparmiato" numerosi stipendi avendo in tal modo realizzato risorse finanziarie che potrebbero provocatoriamente essere definite lucro crescente. Queste risorse, a bocce ferme, costituiscono una economia di bilancio e vanno a incidere positivamente sulla rilevazione delle spese per il personale che tutte le aziende sono tenute a rispettare fin dal 2009 (1,4 % in meno rispetto allo speso nel 2004).
La proposta è molto semplice: perché gli importi che derivano dal mancato pagamento degli stipendi del personale sospeso non vengono posti a incremento dei rispettivi fondi contrattuali destinati alla premialità? Si tratterebbe, ovviamente, di predisporre una norma legislativa specifica ma, in tal senso, sono anni che vediamo costantemente approvare emendamenti che riguardano il personale del Ssn e se molti di essi appaiono giusti nel merito e corretti giuridicamente, altri sono sinceramente irrazionali, bizzarri o addirittura ai limiti dell’indecoroso. Si sta parlando di una somma che – in via del tutto approssimativa - potrebbe aggirarsi sui 300 mln complessivi.
Sono partito dai dati numerici del personale sospeso che – contando solo le due categorie più numerose – secondo i dati di gennaio 2022 sarebbero 1.900 i medici e 3.800 gli infermieri colpiti dalla sospensione dall’Ordine e dal servizio. Ora, considerando che la sospensione con le nuove disposizioni di qualche giorno fa potrebbe durare fino al 31 dicembre 2022, si potrebbe stimare una media di un anno di sospensione per professionista. Se prendiamo a parametro le retribuzioni medie delle due categorie (ho fatto riferimento a quelle utilizzate per il bando Arcuri del dicembre 2020) risulterebbero circa 160 mln per i medici (1.900 X 84.994 = 161.488.600) e circa 152 mln per gli infermieri (3.800 X 40.000 = 152.003.800). Sono, lo ripeto, ipotesi teoriche e di stima ma quello che interessa non è certamente la precisione al centesimo, quanto il principio; ho fatto riferimento solo a medici ed infermieri ma, ovviamente, la proposta vale per tutto il personale sospeso. Utilizzare questi importi per incrementare i fondi della dirigenza sanitaria e del comparto, sarebbe un riconoscimento degli oneri lavorativi che hanno sopportato medici e infermieri “anche” a causa dei colleghi assenti per sospensione. Naturalmente i beneficiari in concreto nonché il vincolo di destinazione alle medesime categorie che hanno generato il risparmio sarebbero aspetti da definire in sede di contrattazione integrativa. L’operazione potrebbe avere cadenza trimestrale ed essere consentita solo previa certificazione degli stipendi non erogati. La norma non ha costi aggiuntivi, è semplice e lineare e sarebbe un minimo riconoscimento, quasi più che simbolico, per lavoratori – è bene non dimenticarlo - il cui contratto collettivo è scaduto da più di tre anni e per i quali non si profila alcuna prospettiva di imminente rinnovo.
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