Lavoro e professione

Medicina universitaria: una Sanità parallela che va integrata tra diritti e doveri

di Claudio Testuzza

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24 Esclusivo per Sanità24

Il collegamento fra le università e le attività di assistenza ospedaliera è stato inizialmente previsto dalla legge 132/1968, la riforma ospedaliera detta "Mariotti" (già ministro della Sanità), con cui è stato introdotto lo strumento della convenzione tra università ed enti ospedalieri stabilendo che l'ordinamento interno delle cliniche e degli istituti universitari devesse essere adeguato all'ordinamento interno degli ospedali ed avere un'analoga organizzazione. Affinché le Regioni e le Università realizzassero un idoneo coordinamento delle rispettive funzioni istituzionali, l'articolo 39 della legge 833/1978, riforma sanitaria, ha riconfermato, transitoriamente, fino alla riforma dell'ordinamento universitario e delle facoltà di medicina, lo strumento della convenzione. In tal senso le convenzioni fanno parte dei piani sanitari regionali poiché disciplinano l'apporto delle facoltà di medicina alla realizzazione degli obiettivi della programmazione sanitaria regionale. Successivamente è intervenuto l'articolo 6, comma 13, della legge 240/2010, in vigore dal 10 febbraio 2012, che prevede che il Miur, di concerto con il ministero della salute, d'intesa con la Conferenza Stato-regioni, sentita la Conferenza dei presidi delle facoltà di medicina e chirurgia, predisponga lo schema-tipo delle convenzioni al quale devono attenersi le università e le regioni per regolare i rapporti in materia di attività sanitarie svolte per conto del Ssn. I rapporti in attuazione di tali intese sono regolati con appositi accordi tra Università e Aziende ospedaliere, unità sanitarie locali e Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico. La titolarità dei corsi di insegnamento universitari è affidata a dirigenti delle strutture presso le quali si svolge la formazione stessa, in conformità ai protocolli di intesa che, fra l'altro, sanciscono che la formazione del personale avvenga in sede ospedaliera. Risultava, pertanto, chiara la volontà del legislatore di non considerare più in capo al solo medico universitario il compito di prestare servizio ai fini assistenziali, didattici e di ricerca. Anche al medico ospedaliero competono infatti funzioni e prerogative, oltre all'attività assistenziale, relative alle attività didattiche e di ricerca, intimamente collegate alla peculiarità del percorso formativo del personale medico.
Partiamo dall’inizio: in Italia vi sono 98 università, divise tra 67 pubbliche e 31 private. Ogni regione dispone di almeno un ateneo, con Lazio e Lombardia ne contano più di dieci a testa: queste due regioni messe insieme risultano avere infatti ben 14 atenei pubblici e 20 privati. Solo per dare qualche numero nell'anno accademico 2019/2020 si registrano nell'intero sistema universitario 339.707 laureati, di cui 162.321 al Nord, 78.756 al Centro e 98.630 al Sud-Isole.
Attualmente le Facoltà di medicina in Italia sono 48 di cui 5 private, con ben 84 sedi.
Gli iscritti alle Facoltà mediche, a numero chiuso, sono circa 64.000. Le scuole per la formazione specialistica post-laurea sono 50 con un numero di iscritti di circa 40 mila , di cui solamente per il 2021 18.847, in netto incremento rispetto al passato I professori nelle università italiane, tra ordinari, associati e ricercatori, sono oltre 57.000: di questi, 53.500 sono in servizio presso gli atenei pubblici e 4.100 presso quelli privati. In totale in Italia vi sono 14.800 ordinari, 18.800 ricercatori, 23.500 associati e 400 professori straordinari. Le scienze mediche, con 9.166 professori, sono l’area disciplinare con il maggior numero di accademici (dati Cineca).
Il D.Lgs. 517/1999, tuttora vigente, che norma i rapporti tra Ssn e università stabilisce che l'attività assistenziale, necessaria per lo svolgimento dei compiti istituzionali delle università, è determinata nel quadro della programmazione nazionale e regionale in modo da assicurarne la funzionalità e la coerenza con le esigenze della didattica e della ricerca, secondo specifici protocolli d'intesa stipulati dalla Regione con le università ubicate nel proprio territorio.
A fronte di tutti questi propositi e soprattutto dell’ampia forza professionale rappresentata dal numero dei medici interessati e dalla vastità di "potere" esercitato, il settore medico universitario costituisce, però, quasi un corpo a parte del servizio sanitario nazionale. Un punto di forte distinzione è rappresentato dalla tariffazione aggiuntiva, a carico del Ssn per i Drg, che in alcuni casi, come in Lombardia, prevede un incremento di oltre il 25 per cento.
Vero è che l’alta complessità dei processi clinici richiede maggiori investimenti ma è anche vero che debbano essere governati in modo partecipato, diffuso e decentrato anche attraverso il coinvolgimento delle professioni e delle discipline mediche/ospedaliere come parte fondamentale della governance di tutto il sistema e non di una sola parte di esso. Un’atra considerazione riguarda la mancata corresponsione dell’indennità previste per i tutor (ex art6, c.1 Ccnl 2016/2018 ) ai medici ospedalieri che svolgono così un ottimo lavoro gratuitamente.
Vi è poi anche, da non sottovalutare che lo stesso Pnrr sta confermando un fenomeno noto da tempo a chi vive dentro la realtà del Ssn: la sostanziale estraneità delle Facoltà di Medicina e Chirurgia ai processi di evoluzione culturale e organizzativa che avvengono all’interno del Ssn ( cfr Claudio Maria Maffei). Gli ospedali universitari meritano tutto il sostegno che le istituzioni, la politica e il territorio possono offrire, in considerazione del ruolo fondamentale che svolgono nella nostra società, ma a loro volta, devono sentirsi protagonisti del cambiamento e gestire con trasparenza e responsabilità i delicati compiti delineati nella loro mission.
Occorre un piano nazionale per la ricerca biomedica, per rilanciare e sviluppare l’attività clinica che viene svolta dai policlinici e dagli ospedali. Per far questo è necessario che anche gli ospedali si riorganizzino e che si aprano all’esterno.
Al centro del futuro della sanità sarà il rapporto dell’ospedale e dell’ospedale universitario con il territorio e la necessità di fare davvero rete per una sanità efficace ed efficiente.


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