Lavoro e professione
Covid/ Farmacisti collaboratori: lavoro extra per le Regioni, il Governo ci riconosca "professionisti"
di Roberto Faben
24 Esclusivo per Sanità24
In questo secondo, duro inverno di epidemia globale, contraddistinto dell’aumento esponenziale della domanda di essere sottoposti a tampone, le farmacie italiane sono intasate di lavoro straordinario, che si affianca a quello, per gli esercizi aderenti, di esecuzione dei vaccini, accanto all’operato degli hub vaccinali. Per i circa 30mila farmacisti collaboratori italiani, la mole di lavoro è visibilmente aumentata, accanto alla necessità di garantire lo spettro, piuttosto ampio, di servizi ordinari essenziali, dalla vendita e dispensazione di farmaci alla telemedicina, dalla diagnostica di base alla verifica dei piani terapeutici degli assistiti. Da ricordare è anche il servizio, offerto da molte farmacie, di stampa gratuita del green pass ai cittadini che si siano vaccinati in qualsiasi centro abilitato.
Dal novembre 2021 sono entrati in vigore i ritocchi alle condizioni contrattuali per i professionisti collaboratori di farmacia, previsti dal rinnovo del loro contratto nazionale stipulato tra Federfarma e le principali sigle sindacali, Cgil-Filcams, Cisl-Fisascat e Uil-Ucs, che hanno introdotto modifiche migliorative rispetto a quelle del contratto scaduto a fine gennaio 2013. Tuttavia, anche in funzione della situazione straordinaria esistente, gli oltre 6mila iscritti al Movimento italiano farmacisti collaboratori, ribadiscono «la grave insufficienza di tali modifiche» e continuano il percorso autonomo di pressione e confronto con le istituzioni che ha già fornito alcuni risultati interlocutori, ossia l’interessamento della 12ª Commissione Igiene e Sanità del Senato, della Commissione Affari Sociali della Camera dei deputati e il parere positivo del sottosegretario del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali Rossella Accoto, che ha definito le sollecitazioni del Mifc «legittime e accettabili».
Nello specifico, i farmacisti collaboratori portano al centro dell’attenzione il tema degli oneri e dei rischi per la salute legati all’esecuzione non solo dei vaccini, per i quali devono assumersi la responsabilità di firmare l’anamnesi dei pazienti, ma soprattutto dei tamponi. «Dal 6 gennaio 2022 – spiega Michele Scopelliti, presidente del Mifc – i farmacisti che effettuano i tamponi hanno il compito di gestire coloro che risultano positivi al tampone, fornendo loro le informazioni e le linee guida dettate dal Governo e quindi spiegare qual è l’iter da seguire dal momento del tampone positivo o solamente se sono venuti in contatto con un positivo. Quindi mettere in quarantena i positivi e liberarli dalla quarantena emettendo il certificato di guarigione, in collaborazione con Asp e Asl». «Per intenderci funziona così», specifica. «Il paziente viene in farmacia a fare il tampone e, se risulta positivo, s’inserisce il referto con esito positivo in piattaforma e si danno le dovute indicazioni al paziente, a seconda delle dosi di vaccino effettuate, su quando iniziare la quarantena e quando ritornare in farmacia a ripetere il test. Il paziente, una volta ritornato in farmacia, ripete il tampone e, qualora negativo, inseriamo il referto in piattaforma e si genera il certificato di guarigione».
Il Mifc rileva che il ministero della Salute ha invitato i farmacisti, non solo titolari di farmacia, ma anche collaboratori, a ottenere l’abilitazione al vaccino frequentando gli appositi corsi e che le Regioni abbiano diffuso circolari invitandoli ad affiancare i centri di Asp e Asl dove si eseguono tamponi per alleggerirli dai carichi di lavoro e a passar sopra alla richiesta di ferie. «Collaboriamo fattivamente con il settore pubblico – osserva il Mifc – e l’abbiamo dimostrato visibilmente nel corso della pandemia. Siamo ancor più un punto di riferimento nel territorio per cittadini e pazienti, raccordandoci con la sanità pubblica e la medicina di base e fornendo servizi essenziali, ordinari e straordinari. Per questo chiediamo che quell’adeguata integrazione del nostro compenso arrivata in minima parte dal rinnovo del contratto con Federfarma, ci giunga dal Servizio sanitario nazionale, attraverso un percorso che porti alla sua formalizzazione e finalmente ci riconosca operatori professionisti a servizio della sanità pubblica e non, anacronisticamente, come semplici venditori di farmaci».
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