Lavoro e professione
Abolizione del numero chiuso a medicina, la proposta delle Regioni è da bocciare
di Anaao Assomed
24 Esclusivo per Sanità24
L’Anaao Assomed respinge al mittente la richiesta delle Regioni di abolire il numero chiuso delle Università di medicina, considerato “un tappo vero e proprio alla programmazione delle nuove assunzioni sanitarie”. Non si sa se l’ignoranza dei numeri è superiore o meno alla faccia tosta di chi tenta con tutti i mezzi di nascondere il proprio fallimento politico nella tutela della salute dei loro cittadini abbarbicandosi a soluzioni futuristiche semplici quanto sbagliate.
Nell’anno accademico 2021-2022 le iscrizioni al Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia sono state portate a 14.000. In un gioco degli equivoci le Regioni dichiarano “mancano medici”, come se per l’accesso al Ssn non fosse richiesto il titolo di specialista e per la Medicina Generale il corso triennale di formazione. La verità è che oggi c’è carenza di “specialisti” e non di “medici”, ma c’è da chiedersi se le Regioni siano a conoscenza delle criticità attuali e delle esigenze future del Ssn.
Questi i numeri per chiarire meglio la situazione.
Gli studenti iscritti nell’anno accademico 2021/2022 saranno pronti per il mondo del lavoro solo nel 2031-2032, dopo un lungo percorso di studio e di formazione.
Alla laurea arriveranno quasi in 13.000, dei quali 2000 seguiranno il Corso di formazione per la Medicina Generale e 11.000 acquisiranno il titolo di specialista, essendo finalmente disponibile un numero adeguato di contratti di formazione post laurea.
Quindi, non mancano e non mancheranno medici, cioè laureati in Medicina e Chirurgia, visto che tra il 2021 e il 2030 ne formeremo circa 117.000. A fronte dei quali avremo quasi 100.000 specialisti, mentre il fabbisogno per garantire il turnover nel Ssn ammonterà a 3000/anno dopo il 2030 e 2000 nel 2034. Al netto delle uscite aggiuntive (3000 nel solo 2019) indotte dal peggioramento delle condizioni di lavoro negli ospedali pubblici.
Anche considerando che una parte di loro non resisterà alle sirene del privato, per almeno 6.000 specialisti sarà problematico trovare sbocchi lavorativi in Italia. In 5 anni saranno 30.000. Uno spreco di risorse quantificabile intorno a 6,5 miliardi in 5 anni.
Una condizione eccezionale richiede risposte eccezionali. Che non consistono nell’incrementare gli iscritti a Medicina e Chirurgia, soluzione temporalmente sfasata rispetto alla criticità grave e attuale, e foriera di disastri futuri, quanto nella riforma del sistema di formazione e nel miglioramento delle condizioni di lavoro e dei livelli retributivi dei medici in servizio per arginare la loro fuga nel privato o nel settore convenzionato.
Non abbiamo più molto tempo, e sicuramente non un decennio, per disinnescare la bomba professionale, generazionale e sociale innescata dal flop della programmazione ministeriale, dal fallimento del sistema formativo abbarbicato al monopolio universitario, dal definanziamento della sanità pubblica con il corollario della falcidia di posti letto, pre-requisito di una determinazione al ribasso delle dotazioni organiche, dalla gestione delle Regioni, ormai il vero nemico del Ssn. Non servono banalità e sprechi, ma investimenti sul personale. Le assicurazioni aspettano il passaggio del cadavere della sanità pubblica sulle rive del fiume.
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