Lavoro e professione
Coronavirus: la riorganizzazione di hospice e cure palliative fa scuola in Europa
di Alessandra Ferretti
24 Esclusivo per Sanità24
Il modello di riorganizzazione delle unità ospedaliere di cure palliative e degli hospice italiani in piena emergenza Covid-19 fa scuola in Europa. In assenza di linee guida ufficiali, il settore ha puntato sulla propria capacità di autogestione e, seppure con strategie diverse tarate ciascuno sulla propria realtà, le strutture sono riuscite a limitare il danno che, se pensiamo al caso delle RSA, sarebbe potuto essere devastante. Lo testimonia l'articolo scientifico italo-britannico pubblicato il 20 marzo su Palliative Medicine, Response and role of palliative care during the COVID-19 pandemic: A national telephone survey of hospices in Italy, firmato da Massimo Costantini, Katherine E Sleeman, Carlo Peruselli e Irene J Higginson.
"Come le RSA, anche gli hospice si caratterizzano per la presenza di pazienti fragili, per cure e procedure con molti contatti fisici e per la presenza quasi costante di familiari nella struttura", precisa Massimo Costantini, oncologo e palliativista e Direttore scientifico dell'IRCCS di Reggio Emilia. "Da entrambe le ricerche è emerso che sia nelle unità di cura ospedaliere che negli hospice si è avuta una forte percezione del rischio fin dal principio. Sebbene nessun ente istituzionale avesse impartito loro indicazioni o raccomandazioni da seguire, queste strutture hanno riorganizzato da sé gli accessi, la gestione dei protocolli individuali, i criteri gestionali e le cure post-decesso. L'esperienza è diventata un modello per il cambiamento, tanto che il King's College di Londra ha portato l'esempio italiano da emulare per far fronte all'emergenza in Europa. Dalla Gran Bretagna il modello è passato all'osservazione di Germania, Svezia, Belgio".
Questa emergenza ha rimesso in discussione l'intero modello organizzativo delle cure palliative. Gli autori dello studio hanno intervistato già nei primi giorni della diffusione della pandemia 16 hospice sparsi in tutta Italia, da Trento a Trapani, appartenenti ad aree cosiddette "a rischio maggiore, intermedio e basso". "Dal punto di vista delle procedure – prosegue Costantini – le indicazioni seguite sono state quelle generaliste proprie dell'ospedale o del ministero della Salute. Nella maggior parte dei casi, i dispositivi di protezione individuali non erano disponibili e gli operatori sanitari hanno lavorato con quelli che avevano. Le politiche di accesso dei familiari o dei caregiver sono state molto eterogenee: in alcuni casi l'accesso è stato consentito ad un parente per volta, in alcuni casi negato a tutti e in altri ancora consentito solo se la persona permaneva in struttura di notte e di giorno. Certe strutture hanno deciso di accogliere anche pazienti Covid positivi, dedicando loro uno spazio specifico e riservato. Ancora, per quanto riguarda le cure post mortem, alcune strutture non hanno ammesso nessun familiare in camera ardente, altre lo hanno ammesso uno alla volta, altre hanno consentito un saluto da dietro un vetro separatore. Nel complesso ai funerali non sono stati consentiti accessi di parenti. In una parola, a guidare le soluzioni dall'inizio della pandemia, in assenza di indicazioni specifiche, a parte alcuni suggerimenti pervenuti dalle società scientifiche del settore, è stato il buon senso".
Se un domani ci faremo trovare più pronti? "Certamente", risponde Carlo Peruselli, past President della Società italiana di Cure palliative (SICP) ed ex responsabile della Rete di cure palliative dell'azienda sanitaria di Biella. "Gli hospice e le unità di cura ospedaliere hanno operato uno sforzo enorme per riadattare il loro lavoro in una situazione di emergenza. Anzitutto per essere diventati operatori di prima linea in hospice-Covid, quindi per aver instaurato un nuovo tipo di rapporto con i familiari di persone a fine vita e, non ultimo, per aver fornito supporto di formazione, comunicazione e di scelte eticamente accettabili ad altri operatori, sia specialisti (vedi operatori dei reparti di malattie infettive, ad esempio), che medici di medicina generale".
"Il risultato – conclude Peruselli – è stata una dimostrazione della capacità di rispondere anche in contesti non familiari da parte degli hospice e delle unità di cure palliative ospedaliere".
Queste ultime, di fronte all'emergenza, si sono suddivise in due categorie: quelle che hanno mantenuto il loro compito di interventi intraospedalieri per il fine vita e quelle che hanno demandato i casi oncologici per dedicarsi ai pazienti Covid (ventilati o meno, anche non in fine vita). Silvia Tanzi, responsabile dell'Unità di Cure palliative dell'Ausl Irccs di Reggio Emilia, appartiene a questa seconda realtà. "Per trattare i pazienti Covid ci siamo dovuti, per così dire, inventare delle cure palliative "nuove", rispondenti cioè ai bisogni immediati dell'emergenza, come, ad esempio, delirio o agitazione". In questa situazione abbiamo sperimentato due nuove relazioni, l'una con i colleghi professionisti, l'altra coi pazienti. Mai come in questi mesi abbiamo dovuto mettere insieme tutto il know how di colleghi anche di diverse specialità, unendo conoscenze, mezze intuizioni, impressioni. In questa situazione, infatti, eravamo tutti quanti "un po' meno competenti" del solito, e abbiamo dovuto fare un passo in più per trovare soluzioni efficaci e condivise".
"La medesima situazione – prosegue Tanzi – ci ha fatto conoscere una nuova relazione terapeutica col paziente. È venuta improvvisamente a scomparire l'asimmetria che tipicamente si crea tra medico e paziente, dal momento che anche noi correvamo lo stesso rischio di ammalarci. Questo il paziente lo sapeva e tale consapevolezza ha aiutato entrambe le figure a stabilire un contatto umano che prima tipicamente non si verificava".
Sul tema sono in uscita due articoli scientifici, l'uno sulla collaborazione di palliativisti e infettivologi, in via di pubblicazione su "Palliative Medicine", e l'altro sulla dignità del malato e il rapporto coi pazienti a prescindere dal farmaco, che apparirà sull'"American Journal of Hospice & Palliative Medicine".
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