Lavoro e professione

Il medico. «Il più umano degli eroi»

di Donatella Lippi *

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24 Esclusivo per Sanità24

Intorno alla fine degli anni Ottanta del 1300, Geoffrey Chaucer iniziò a scrivere I Racconti di Canterbury: nel Prologo Generale, venivano introdotti i trenta pellegrini, che avrebbero raccontato le loro storie sulla via per Canterbury.
Uno dei personaggi è un medico molto dotto, che indossa abiti sontuosi, di stoffe pregiate… ed ecco il gioco di parole: «Il medico teneva ciò che aveva guadagnato durante la pestilenza, perché l’oro in medicina è un cordiale. Per questo amava così tanto l’oro»…
Il nesso oro-pestilenza va molto al di là dell’ironia e dell'interesse di Chaucer per la raffigurazione della società del XIV secolo, offrendo l’opportunità di riflettere sulla figura del medico, in tempo di epidemia: consenso espresso, consenso implicito, addestramento speciale, reciprocità, codici e giuramenti….
Quali sono i presupposti su cui si fondano la teoria morale e il principio che il medico, in tempo di epidemia, abbia il dovere di curare i malati, a costo della propria vita?
Il problema venne sollevato alcuni anni fa in un articolo uscito, nel 2008, su The American Journal of Bioethics (8.8:4-19), a firma di un gruppo di lavoro su etica e pandemie, sostenuto in parte dal Florida Department of Health.
Un lavoro lungimirante, premonitore. Quasi oracolare.
Se -scrivevano gli Autori- la questione era stata sollevata dai pazienti HIV+, il ridimensionamento della situazione aveva naturalmente reso il problema puramente "accademico", ma il dilemma si sarebbe potuto presentare con malattie infettive a rapida diffusione, come la Sars, la malattia da virus Ebola, l’influenza aviaria, la tubercolosi antibiotico-resistente: la velocità di diffusione di una influenza avrebbe potuto mostrare che un virus può avere il potenziale di sopraffare e bloccare un intero sistema sanitario, creando situazioni inedite, in un modo in cui l’Aids non aveva mai fatto.
Era il 2008. Il panorama apocalittico, disegnato come possibile nell’articolo (medici morti, medici ammalati, medici in quarantena, cancellazione di visite specialistiche, di interventi, di screening…), è quello che stiamo vivendo oggi.
«Fortunately, Sars never developed into the global pandemic that was feared…».
Quali misure sono state prese, per esorcizzare le conseguenze di una pandemia, di cui, nel 2003, abbiamo avuto solo un saggio circoscritto?
Apparecchi per la ventilazione, ricerca di vaccini… ma… i medici? I posti nelle Scuole di specializzazione?
Oggi, è il senso di responsabilità, sintetizzato in un passo del Giuramento Professionale FNOMCeO, a sostenere i tanti medici, che hanno promesso, a suo tempo, di «prestare soccorso nei casi d’urgenza e di mettermi a disposizione dell’Autorità competente, in caso di pubblica calamità».
In prospettiva storica, l’epidemia di Covid-19 ha sostanziato queste parole di drammatica consapevolezza.
Quando, nel 163 d.C., scoppiò a Roma la Peste Antonina (vaiolo?), il grande Galeno lasciò la città e tornò a Pergamo e, nel 1665, il celeberrimo Thomas Sydenham, sostenitore del neo-ippocraticismo, abbandonò una Londra devastata dalle peste…
Il medicus physicus, vertice della gerarchia professionale, quando rimaneva in città, inviava il chirurgo, praticante di rango inferiore, a visitare i malati: il chirurgo gli avrebbe descritto i sintomi attraverso la finestra e attraverso la finestra il medicus avrebbe pronunciato il suo verdetto e indicato la terapia...
Ma le epidemie erano frequenti e la medicina restava un monopolio pressoché esclusivo, elitario, difficile da conquistare: per questo, le epidemie diventavano occasione di affermazione professionale e il medico, reclutato in queste occasioni, si configurò, progressivamente, come figura istituzionalizzata.
I governi, che fornivano a questi medici presidi difensivi, come la spongia olfacienda e l’abito trattato con sostanze aromatiche, erano soliti attivare contratti particolarmente allettanti, come quando, nel 1479, la città di Pavia fece ricorso a un giovane professionista, per curare i malati di peste, gratificandolo con un salario molto generoso, aumenti progressivi, rimborso spese, concessione della cittadinanza.
Questa negoziazione tra rischi e benefici è proseguita fino a tempi recenti.
Quando, nel 1793, un’epidemia di febbre gialla imperversò a Filadelfia, Benjamin Rusch continuò la sua opera di medico, visitando fino a 100 pazienti al giorno, finché venne arruolato un medico francese, profugo da santo Domingo, che, nel momento di emergenza, trovò affermazione professionale.
Cinquanta anni dopo, a New Orleans, un’altra epidemia di febbre gialla determinò, da parte della Howard Association, che radunava un gruppo di giovani uomini d’affari, l’assunzione di medici che cercavano fama e lavoro, garantendo loro reputazione e denaro.
Questi modelli di risposta civica e medica alle epidemie sono stati superati, nel corso del tempo, da una nuova organizzazione, diversi metodi di reclutamento, moderni mezzi di prevenzione e di sorveglianza sanitaria.
Le pandemie sembravano un ricordo lontano.
Ancora, nel 1988, Daniel M. Fox, professor of humanities in medicine at the State University of New York, ricordava come i cambiamenti nella storia naturale delle epidemie erano diventati un tema di interesse esclusivamente storico.
La lotta che stiamo combattendo oggi smentisce le sue parole.
E, a fronte del ricorrente richiamo dei nostri giorni alla terminologia della guerra, vale il senso del Monumento al Medico Caduto, inaugurato all’indomani del Primo Conflitto Mondiale, all’interno della Scuola di Sanità Militare di Firenze.
Realizzato con il bronzo dei cannoni austriaci, lo stesso con cui erano state forgiate le medaglie al valore dei soldati, rendeva omaggio a tutti quei medici e aiutanti di sanità, che si erano messi al servizio del Paese, morti nell’adempimento del loro dovere.
Il medico, scriveva l’autore, lo scultore ferrarese Arrigo Minerbi, «il più umano degli Eroi».

* Storia della Medicina e Medical Humanities - Dipartimento di Medicina sperimentale e clinica - Università degli Studi di Firenze


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