Lavoro e professione

Farmacie e società di capitale, Cossolo (Federfarma): «Più aggregazione e dialogo con il terzo pagante»

di Rosanna Magnano

Lo statuto di Federfarma cambia per tentare di includere nella rappresentanza sindacale le società di capitale che grazie alla legge sulla concorrenza possono ora affacciarsi sul settore. La «Rete delle reti» prova a creare un modello aggregante che consenta alle farmacie indipendenti italiane di rafforzare le posizioni. E intanto la farmacia dei servizi gioca la sfida della cronicità sul territorio. Insomma in un momento di transizione importante per il sistema delle cure pubbliche, in cui la farmacia è inserita a pieno titolo, l’arrivo dei big del capitale tra i possibili titolari di farmacia fa paura o può essere una chance? Lo abbiamo chiesto al presidente di Federfarma Marco Cossolo.

«La parola crisi in cinese vuol dire cambiamento - spiega Cossolo - ed è l’unione di due ideogrammi, pericolo e opportunità. È questo il punto di vista giusto: la presenza di un’iniezione di capitali nel settore, per alcune storture che sono state fatte, è un bisogno reale. Ma come ogni altro cambiamento, anche l’arrivo delle grandi società va governato. Noi lavoriamo perché questa norma sia un’opportunità e lavoreremo perché non stravolga la natura del servizio farmaceutico.

E perché non si traduca in una cannibalizzazione..
Esatto. Perfetto.

Come procede il progetto della «Rete delle reti»?
Abbiamo affidato a una società di consulenza, la Focus managemente, una sorta di censimento, sia dal punto di vista delle cooperative, dei network e delle singole farmacie. Una volta conosciuto il quadro generale, vorremmo creare un modello di rete di farmacie indipendenti, anche collegato alle nostre cooperative e ai distributori, con l’obiettivo di arrivare a un vademecum di best practice da mettere a fattor comune. Un modello rispetto al quale fare poi una brandizzazione.

Quali sono i punti di forza rispetto alle grandi catene?
Senza dubbio il forte rapporto che la farmacia ha con il suo bacino di utenza e con i cittadini. Un rapporto personale fatto anche di conoscenza e difficilmente replicabile in un’ottica di standardizzazione di catena.

E le debolezze?
Tutto l’aspetto di back office, che le grandi catene riescono a mettere in campo e noi dobbiamo recuperare questo gap. E poi le farmacie in catena riusciranno a sfruttare molto bene gli aspetti e la forza del branding. Noi dobbiamo lavorare su questo. Poi mettendo a sistema le best practice dei network esistenti dobbiamo creare un lavoro di back office che possa avere un’efficienza simile o anche superiore a quella delle catene.

Ci sono già trattative in corso o acquisizioni?
Sono notizie di corridoio. Un’attenzione c’è ma le notizie sono così frammentarie che non mi sento di esprimere giudizi. Ci aspettiamo l’arrivo di fondi di investimento anche se da un’analisi della redditività delle farmacie io non credo che poi l’investimento sia così attrattivo. Dietro le farmacie c’è un po’ di mitologia...l’idea che rendano e facciano guadagnare.

E non è vero?
Questo poteva essere vero dieci anni fa ma ora molto meno. Siccome un fondo deve rientrare dal proprio investimento in cinque-sette anni io non credo che la marginalità delle farmacie oggi lo consenta. Quindi dopo una prima analisi non saranno così attrattive, se non per motivi strategici. Sicuramente ci sarà attenzione dalle multinazionali che hanno già sperimentato grandi catene in altri Paesi, questo sì.

Negli Usa c’è stata recentemente la maxi fusione tra due colossi, farmacie Cvs e assicurazioni mediche Aetna. Che ne pensa?
Eh sì. Questo è un pericolo concreto. Nel momento in cui in Italia siamo coscienti che abbiamo 39 miliardi di spesa out of pocket, pensare che questa venga lasciata al singolo cittadino senza che ci siano forme collettive che vogliano intercettare questo fabbisogno è utopistico. Quindi è possibile che le catene una volta costituite facciano questo tipo di attività. Ma anche noi stiamo dialogando con soggetti del terzo pagante per vedere di riuscire a fare convenzioni sfruttando in questo momento la posizione di leadership che Federfarma ha nell’iscrizione delle farmacie.

Insomma non state con le mani in mano?
Il tentativo è in quella direzione. Molte assicurazioni rimborsano farmaci di fascia C o Sop e Otc al cittadino iscritto. Il tentativo è di trasformare questo rimborso, questa forma di mutualità indiretta in mutualità diretta. E noi dobbiamo intercettare questo passaggio fintanto che abbiamo la possibilità di convenzionare un numero rilevante di farmacie. Federfarma rappresenta il 90% delle farmacie.

In manovra sono stati raggiunti alcuni obiettivi, cosa manca?

Stiamo lavorando per verificare la fattibilità di un finanziamento sulla farmacia dei servizi cognitivi, per lo meno a livello sperimentale nelle maggiori Regioni italiane.

C’è un po’ di ostilità politica?
Se ci sono, sono personali, le forze politiche tutte individuano nella farmacia dei servizi una grande risorsa per la gestione del paziente cronico sul territorio.

È uno snodo importante?
Per me è la mamma di tutte le battaglie, quella di inserire la farmacia nella gestione della cronicità. È utile sia per il Servizio sanitario nazionale sia nel caso di inserimento di un eventuale terzo pagante.

Il Ddl lorenzin - ancora in bilico per il calendario affollato di fine legislatura - ha lasciato aperto il problema parafarmacie. Ci state lavorando?
Sì ci stiamo lavorando ma la premessa è che si mettano d’accordo fra loro e individuino un unico soggetto con cui interloquire. Io ora ho tre soggetti che hanno una visione diversa. Come faccio? Secondo me si tratta di un’esperienza che non ha dato risultati. Nei fatti, non è l’opinione di Marco Cossolo. La guardo da un punto meramente di mercato. Un’esperienza come quella della liberalizzazione dei Sop e Otc che porta all’uscita dai canali alternativi di meno del 10 per cento del fatturato che ragione economica ha? Il comitato anti crisi delle parafarmacie italiane è la rappresentazione plastica del fallimento.

Ma come si fa con i giovani farmacisti che hanno investito? Che cosa si immagina?
Bisogna chiedere a chi il danno l’ha fatto e a chi questi colleghi li ha illusi. Io nella mia esperienza amministrativa quando ho creato un problema ho cercato di risolverlo. Non sono il legislatore. Dovrebbe essere un’etica della politica. E poi bisogna guardarsi intorno. Le parafarmacie non esistono in nessun posto in Europa.

Però un problema di accesso alla professione c’era...
Le parafarmacie sono state la risposta sbagliata a un problema reale. Quello dell’accesso dei giovani farmacisti alla professione in farmacia. Per una serie di motivi, i concorsi non si facevano, erano in ritardo e c’era un accesso secondo me sperequato. Questo non ho difficoltà ad ammetterlo. Ma questa soluzione delle parafarmacie, come direbbero i veneti, Xe pèso el tacòn del buso (è peggio la toppa del buco ndr). Allora a mio avviso occorre superare questa esperienza e rivalutare l’accesso alla professione secondo criteri che conservino le caratteristiche del servizio farmaceutico attuale. Secondo il criterio proporzionale, demografico e topografico, ovvero la pianta organica, creando metodi di accesso che garantiscano ai giovani meritevoli di accedere all’apertura della farmacia, dove è necessaria. Perché la farmacia non è un soggetto che risponde a dei bisogni occupazionali. È un concessionario del servizio pubblico che risponde alle esigenze dell’utenza. Non faccio gli ospedali perché ci sono i medici. Nel resto d’Europa le farmacie sono di meno. Ci sono più abitanti per farmacia, anche dove c’è stata la liberalizzazione selvaggia. Il problema è che la farmacia deve servire i cittadini. Poi l’accesso alla professione, che svolge questo ruolo succedaneo del servizio pubblico, deve essere regolato secondo criteri di equità. Studiamo questo tema.

Come sta andando la convenzione?
Siamo alle battute iniziali abbiamo individuato i tre temi: la remunerazione della spesa convenzionata, un’omogeneizzazione della Dpc sul territorio nazionale e lo sviluppo della farmacia dei servizi intesa come farmacia dei servizi cognitivi, ovvero finalizzati alla presa in carico del paziente cronico. Ci siamo visti tre volte. Ora la nostra proposta è al vaglio della Sisac.


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