Lavoro e professione

«Operatori, vaccinatevi per prevenire le malattie infettive»

di Pier Luigi Lopalco (docente di Igiene all’Università di Pisa, già responsabile del Programma malattie prevenibili con vaccino del Centro europeo per il controllo delle malattie di Stoccolma-ECDC)

Willi Sutton era un famoso, quasi mitico, rapinatore americano. Si racconta che, interrogato sul perché rapinasse le banche, rispose: “Perché è lì che sono i soldi”. Parafrasando la battuta, si potrebbe dire che bisogna vaccinare soprattutto in ospedale, perché è lì che sono le malattie. Quel che sta accadendo in questi giorni in alcune Regioni italiane lo conferma. In media circa il 10% dei casi di morbillo notificati tra la fine del 2016 e l'inizio del 2017 hanno riguardato personale sanitario o persone a loro vicine. La percentuale ha raggiunto il 50% a Pisa e Firenze, dove i 6 bambini finora colpiti dalla malattia sono figli di professionisti che hanno contratto il morbillo in ospedale. In Piemonte, su 23 operatori sanitari ammalati, soltanto due risultavano vaccinati per il morbillo, e con una sola dose che, come sappiamo, non è sufficiente a garantire una sufficiente protezione.
Eppure, chi lavora nel mondo della sanità non sembra consapevole del pericolo. Ritiene infatti che il proprio rischio di contrarre una malattia prevenibile con vaccino sia basso il 44% dei partecipanti a una survey online indetta in vista della Conferenza nazionale Medice, cura te ipsum, in corso a Pisa. All’indagine, su base volontaria, che ovviamente non ha valore di significatività statistica ma getta solo uno sguardo sulla realtà della sanità italiana, hanno finora partecipato 2.250 tra medici, infermieri e altri operatori. È comunque ancora possibile dare il proprio contributo, entro il 15 aprile, collegandosi al link https://it.surveymonkey.com/r/Vaccinaz_2017 .
Finora hanno partecipato soprattutto infermieri (il 42,4%), prevalentemente donne (il 72,8%), per lo più con un'anzianità di servizio superiore ai 15 anni (il 64,1%) e un'attività di tipo ospedaliero. I partecipanti erano in qualche modo vicini alle società di medicina e prevenzione che hanno sostenuto il Convegno, e ci si poteva quindi aspettare che fossero potenzialmente più propensi alle vaccinazioni rispetto alla media dei professionisti che operano in altri ambiti della salute. Invece, i risultati finora raccolti non sono molto confortanti. Quasi uno su tre degli intervistati, infatti, (circa il 30%) è in disaccordo con l'affermazione secondo cui i benefici dei vaccini sono certi, e teme la possibilità di effetti avversi gravi (vedi Fig1).
Oltre il 40% degli intervistati non si è sottoposto al richiamo per il tetano negli ultimi 10 anni. Il 13% non è vaccinato contro epatite B e morbillo, e il 6% è consapevole di essere suscettibile per non aver neanche mai contratto queste malattie.
Solo il 31,4% in media dichiara di essersi sottoposto alla vaccinazione antinfluenzale nella stagione appena conclusa: la metà dei medici intervistati e meno di uno su quattro tra infermieri e altri operatori.
La scarsa attitudine degli operatori nei confronti delle vaccinazioni, e in particolare di quella antinfluenzale, non è una questione che riguarda solo il nostro Paese. Dati altrettanto deludenti emergono dalle statistiche internazionali, presentate al congresso da Darina O'Flanagan, già Direttrice del centro nazionale di sorveglianza malattie infettive e del programma vaccinazioni irlandese, oltre che consulente per il Centro europeo per il controllo delle malattie (ECDC) di Stoccolma.
Come rispondere a questa situazione, che mette a rischio professionisti e pazienti, ma anche il sistema sanitario, indebolito proprio nei momenti di maggiori richieste, come durante le epidemie stagionali di influenza? Alcuni Paesi hanno adottato la strategia indicata dall'acronimo VOM: Vaccinazione o Mascherina. Se un operatore rifiuta l'antinfluenzale, è tenuto a indossare altri tipi di protezione a tutela dei pazienti che assiste. In parallelo si sta però cominciando a discutere anche di inserire, come requisito per l'idoneità a certe mansioni, l'obbligo di vaccinazione nei confronti di malattie diffuse e potenzialmente gravi come influenza e morbillo.
Se vogliamo superare questa situazione, occorre però per cominciare che, almeno per le malattie in cui la trasmissione ospedaliera è più rilevante, la vaccinazione sia offerta in maniera attiva e gratuita a tutto il personale direttamente all'interno di ogni struttura, rimuovendo ogni forma di intralcio che possa scoraggiare anche chi non è in linea di principio contrario a farsi vaccinare. In molti contesti sanitari persistono infatti vincoli burocratici e difficoltà pratiche che ostacolano, o comunque non facilitano la vaccinazione degli operatori.
Il convegno di Pisa è comunque solo un punto di partenza, che, anche grazie all'impegno di SIMPIOS (Società Italiana Multidisciplinare per la Prevenzione delle Infezioni nelle Organizzazioni Sanitarie), ha permesso di instaurare un confronto e un dialogo interdisciplinare su questo tema. Comincia qui un percorso di dialogo e formazione tramite cui arrivare a un documento di consenso tra le società scientifiche coinvolte, che possa segnare la svolta. Avremo così medici e infermieri più protetti, che non rappresentino un rischio di infezione per chi entra in ospedale e siano i primi, e più autorevoli, testimonial del valore delle vaccinazioni.


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