Lavoro e professione

Donna medico è bello, ma a vincere è l’integrazione tra le competenze

di Annarita Frullini (medico donna)

È in corso un nuovo dibattito sui vantaggi dell’avere un curante donna come medico. Credo sarebbe più utile impegnarsi perché uomini e donne possano integrarsi al meglio, con diverse capacità e competenze, per una ottimale presa in carico del paziente persona.
Il dibattito segue lostudio osservazionale realizzato all'Harvard Medical School di Boston e pubblicato sul Journal of American Medical Association nel dicembre 2016 . Lo studio ha sdoganato, qualora ce ne fosse ancora bisogno, la validità del genere femminile nella professione medica.
Articolata e complessa la ricerca segue un elevato numero di anziani ospedalizzati dal 2011 al 2014 , affetti da patologie mediche, tiene conto di possibile fattori confondenti, con buona metodologia e assenza di conflitti di interesse.
Ai grandi numeri dei pazienti e dei medici coinvolti nell'indagine (58.344 medici, per il 32,1% donne) corrispondono differenze statisticamente significative, sia come intervallo di confidenza sia come valore p, per i differenti risultati osservati fra medici uomini e donna. Lo studio evidenzia anche un generale miglioramento della qualità dovuta ad innovazioni e investimenti.
Riconoscere alle donne medico l'essere “un pochino più brave” - statisticamente significativo - è rassicurante per il sistema e gli utenti? Può essere un riconoscimento gratificante per le donne medico?
Il genere può essere davvero un marcatore assoluto di differenze nella pratica clinica?
La ricerca americana, che non può essere estesa a pratiche chirurgiche o a cure ambulatoriali, ipotizza una maggiore aderenza femminile alle linee guida cliniche e alle evidenze scientifiche. Tiene anche conto del tipo di formazione medica, allopatica versus ostepatica. La pratica osteopatica fondata in America da Andrew Taylor Still, nel tardo ottocento può essere ben compresa grazie a una frase dello stesso Still: «Compito del medico è ricercare la salute. Tutti sanno trovare la malattia».
I medici di Harvard evidenziano come i medici donna, più giovani per età ( 42 verso 47 aa), avevano una maggiore probabilità di aver ricevuto una formazione osteopatica, e trattavano un minor numero di pazienti. Sono quindi Introdotte oltre il genere altre variabili: il nodo della formazione e quello del tempo. La ricerca non indaga su come i colleghi percepiscano il loro lavoro.

Un piccolo studio, rivolto a specialisti in chirurgia sul ruolo della donna chirurgo, presentato a Roma nel settembre 2016 al Congresso Congiunto delle Società Scientifiche Italiane di Chirurgia, realizzato dall’Associatione Women in Surgery Italia (associazione aperta a tutti i chirurghi, uomini e donne) dà una raffigurazione della donna chirurgo e dei suoi vissuti. Il questionario ha un tasso di risposta del 10 %, età media dei rispondenti di 39 anni, una partecipazione di 2/3 di donne e 1/3 di uomini. Dalla ricerca condotta da Isabella Frigerio e Gaya Spolverato emerge che il 20.4% delle donne chirurgo non rifarebbe la stessa scelta nonostante la passione verso un lavoro unico, gratificante e impegnativo. Secondo il 64,2% delle donne rispondenti, l'appartenenza al genere femminile e il desiderio di avere figli sono ostacoli alla realizzazione del lavoro e alla progressione della carriera, anche se il genere di appartenenza, oggi non dovrebbe essere una limitazione. Ci si concede la possibilità di avere un figlio dopo la strutturazione, spesso con il ricorso a cure per la fertilità (12.9%). Oltre il 60% delle donne rinuncia, per motivi professionali, al desiderio di più figli. La metà delle donne rientra al lavoro dopo i tre mesi di astensione e il 75.7% non riduce la propria attività dopo la nascita del figlio. I modelli di riferimento dei chirurghi sono prevalentemente maschili. Tanto che WIS scrive nel suo sito “Se cerchi il tuo mentore o vuoi proporti come tale scrivici.” http://www.womeninsurgeryitalia.com/WIS/WIS.html
In altri contesti, argomentando sulla medicina di genere, avevamo da tempo percepito quanto non si possa prescindere dalla relazionalità nel percorso di cura e quanto sia necessario considerare sia l'osservato/a sia la popolazione medica, perché la compliance rispetto alle indicazioni terapeutiche è funzione del rapporto con i medici e al loro genere.
È convinzione diffusa che in ogni contesto la presenza di forza lavoro diversificata per sesso, età e origini sia un elemento di crescita. Sarebbe auspicabile non il continuare ad evidenziare le differenze che sappiamo esserci e non rigidamente attribuibili al solo genere, non continuare in una competizione fra uomini e donne ma migliorare la collaborazione fra medici all'interno di una equipe . Perché si possono apprendere e usare quelle che sembrano essere caratteristiche innate. Con l'ingresso in occupazioni, un tempo solo maschili, le donne in tutti i campi lo hanno ampiamente dimostrato.
La pratica del “modellamento”, una forma di apprendimento che avviene osservando modelli di comportamento efficaci e funzionali, è nata nel mondo anglosassone da quasi cinquanta anni . Può essere usata per creare, in gruppi di lavoro, un “modellamento “ di quelle differenze che potrebbero aiutare a migliorare la qualità delle cure per tutti i pazienti, indipendentemente dal sesso del medico che le esegue.
Ciascun individuo è dotato di una varietà di intelligenze interdipendenti e sviluppate in dosi diverse. Saperi e comportamenti negli adulti sono legati alla complessità della storia personale, alle aspettative e alle prospettive di significato. Nel corso della vita ciascun adulto può vivere, con beneficio, un apprendimento trasformativo, casualmente o intenzionalmente partecipando a processi formativi. Con le carenze di organico, che caratterizzano la nostra sanità, ipotizzare nel pubblico gruppi di lavoro per confrontarsi, sia su analogie sia su diversità, nella pratica medica e chirurgica a beneficio dei pazienti può sembrare superfluo.
Tuttavia è necessario nella costruzione di una buona relazione di cura, che la “persona paziente” sia concretamente al centro del lavoro dell'équipe professionale, con un gruppo per la presa in carico e l'agire terapeutico, capace di un buon “ clima” con la capacità di interagire, fidarsi degli altri e affidarsi. Certo il beneficio in un investimento in corsi di team working o team building, che prevedano anche integrazione su analogie e diversità, legate al genere alle età e alla cultura, sarebbe elevato.
Non si rischierebbe che le maggiori capacità comunicative e relazionali delle donne possono essere causa di segregazione orizzontale, e potremmo ai grandi studi americani affiancare piccole sperimentazioni perché il vantaggio legato a quello che ciascun genere sa fare “un pochino meglio dell'altro” sia appreso da tutti a vantaggio della nostra sanità.


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