Lavoro e professione

I robot nella chirurgia: nuove sfide per diritto e assicurazioni

di Ernesto Macrì (docente Cineas del Master in Hospital risk managemente componente del Tavolo Cineas: Assicurazione e sanità)

All’inizio del 2017, sarà discussa dal Parlamento europeo una relazione della Commissione giuridica che contiene delle raccomandazioni per l’introduzione di norme di diritto civile sulla robotica.

La proposta di risoluzione trova le sue basi nei risultati di un progetto quadro europeo denominato FP7 Robolaw.

Il documento - al di là delle più o meno erudite citazioni letterarie - propone spunti di riflessione molto interessanti, che si muovono lungo alcune delle seguenti direttrici:

il tema della sicurezza, sia sotto l’aspetto sistemico, sia sotto il profilo del rischio di hackeraggio;

le implicazioni culturali ed etico-giuridiche di un impiego sempre più massiccio di cd. robot autonomi;

il problema di costituire un regime di assicurazione obbligatoria;

l’importante questione giuridica di istituire uno status specifico per i robot, come “persona elettronica” (ad es. principio n. 31) correlandolo direttamente alle questioni assicurative.

L’interesse delle istituzioni dell’Ue nei confronti delle applicazioni della robotica e della loro disciplina mostra come i tempi stiano cambiando rapidamente.

L’attuale cornice normativa europea appare inadeguata e carente di fronte alle poliedriche applicazioni potenziali della robotica, dal momento che circoscrive l’uso dei robot e le sue eventuali conseguenze alla disciplina concernente l’immissione dei prodotti sul mercato e la responsabilità per danno da prodotti difettosi, prescindendo dalle peculiari caratteristiche e funzionalità che contraddistinguono le diverse tipologie di robot.

In effetti, la questione è che i robot di ultima generazione sono già dotati di capacità cognitive e in grado di interagire con l’uomo e l’ambiente in cui sono introdotti, una peculiarità che può determinare comportamenti imprevedibili da parte dei robot e tale da prefigurare persino un riconoscimento di un’autonoma personalità giuridica.

Anche le scienze sociali mettono in evidenza lo iato nella cosiddetta “accelerazione sociale” del nostro tempo, tra l’accelerazione tecnologica e la capacità del diritto di tenere il passo di tale accelerazione.

E l’industria assicurativa invoca a sua volta un quadro normativo di riferimento, in cui inscrivere l’impiego in ambiente reale di robot, mitigando l’attuale incertezza e rendendo assicurabile anche la prassi sperimentale.

Si può tuttavia notare, come gli estensori della proposta di risoluzione facciano spesso riferimento al framework esistente nell’ambito della responsabilità civile, in particolare extracontrattuale, ed è curioso constatare come l’esempio più citato sia quello della Rca (principi 29, 30, 32).

È un fatto che, comunque, esista un ambito di riferimento giuridico molto solido, flessibile e capace di modificarsi anche per interpretare la fase di transizione verso altri assetti normativi e giurisprudenziali sull’intelligenza artificiale: Rc prodotti, Rc sanitaria, le tutele contro i rischi informatici e della privacy e - da non trascurare in un mondo globalizzato - le norme di collisione tra sistemi giuridici differenti.

Negli ultimi due anni in particolare c’è stata un’escalation speculativa sulle implicazioni di diritto e assicurative soprattutto attorno al futuro dei veicoli automatici, che ha dato la stura al dibattito sull’evoluzione di sistemi complessi in cui l’automazione, la connessione ubiquitaria (la cosiddetta internet delle cose) e l’intelligenza artificiale giocano un ruolo fondamentale.

Le stesse ipotesi e riflessioni, mutatis mutandis, possono valere anche in campo medico; in fin dei conti la robotizzazione in campo chirurgico o diagnostico non sono che alcuni aspetti particolari di uno sviluppo più generale della digitalizzazione della sanità che vede una formidabile convergenza delle cosiddette scienze della vita e della tecnologia.

In ogni caso è appena cominciata l’era della robotica in campo medico e il periodo di transizione, che va dalla già praticata chirurgia assistita da robot (negli Stati Uniti si contano già centinaia di migliaia di interventi all’anno) alle operazioni condotte in autonomia dalle macchine che si autoistruiscono, sarà lungo.

Uno studio pubblicato quest’anno da ricercatori dell’università dell’Illinois e dal Mit ha analizzato i casi di chirurgia assistita da robot registrati negli archivi della Food and drug administration statunitense nel periodo dal 2000 al 2013, accertando più di 10.000 incidenti con 144 esiti mortali e 1.391 eventi avversi con «significative conseguenze per i pazienti, incluse le lesioni».

Per alcuni di questi casi sono in corso processi sulla validità delle coperture, perché alcune compagnie assicurative hanno negato la sussistenza della garanzia per presunte dichiarazioni reticenti degli assicurati sull’aggravamento del rischio.

Il dibattito, quindi, su chi deve essere chiamato a rispondere è già cominciato, poiché bisogna distinguere la responsabilità del personale medico per malpractice da quella del produttore per malfunzionamento del robot.

Di conseguenza, di un danno scaturito dall’intervento chirurgico chi risponde? L’equipe chirurgica e/o il suo coordinatore? O il costruttore e i responsabili della manutenzione delle macchine? Ovvero gli sviluppatori del software? O, ancora, l’ospedale in cui è stato praticato l’intervento? È praticabile la strada della responsabilità solidale?

La Proposta di risoluzione, sotto questo profilo, raccomanda di introdurre training obbligatori per «un’adeguata formazione e preparazione per i medici e gli assistenti».

E nel frattempo si corre già ai ripari e si suggeriscono rimedi come apposite “scatole nere” nelle sale operatorie per poter ricostruire nei dettagli gli atti operatori e quindi le responsabilità.

Molte questioni che stanno a monte del “rischio robot” devono essere ancora risolte; un esempio tra tanti: la sicurezza rispetto ai cyber risk dei dati personali e sensibili relativi alla salute delle persone, che vengono scambiati tra istituzioni, provider di servizi sanitari e gestori di tecnologie per la salute.

La digitalizzazione della medicina, intesa sia come remotizzazione e automatizzazione di molte prestazioni sanitarie, sia come commercializzazione di apparecchiature medicali per l’autodiagnosi, la somministrazione di farmaci, presenta inoltre una nuova vulnerabilità: il comportamento dei pazienti verso le macchine perché i protocolli richiedono un approccio alla cura con una diversa razionalità.

Tutti problemi che potenzialmente ampliano concetti giuridici come quello del trattamento e del consenso informato e del “contatto sociale”.

In conclusione, è in atto, nel mondo della sanità, una rivoluzione, con dei numeri che devono far riflettere: il governo britannico, ad esempio, ha già stabilito che nel 2020 il 95% dei pazienti del National health service assistiti dai medici di famiglia dovrà avere accesso al consulto elettronico.

Il tasso di crescita annuo previsto per le cure sanitarie veicolate dalle tecnologie mobili fino al 2018, secondo alcuni studi, non sarà inferiore, almeno, al 50 per cento.


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