Lavoro e professione

Formazione dei medici post laurea, chi ha paura della concorrenza?

di Francesco Medici (consigliere nazionale Anaao Assomed)

«Vedi Francesco, funziona così: se un direttore deve scegliere un suo fiduciario che poi lo sostituirà in cattedra, lo sceglierà un po’ meno bravo e intelligente, in modo che non gli faccia ombra. Otterrà così di poter rimanere, almeno in quell'ateneo, il migliore, il punto di riferimento indiscusso. Al suo pensionamento il suo fiduciario un po' meno intelligente, cercherà tra i suoi assistenti un fiduciario ancora un po' meno capace di lui, allontanando tutti gli altri e così via la storia si ripete fino a quando non salirà in cattedra uno tanto poco intelligente da sceglierne uno bravo e la storia ricomincerà».

Questo mi insegnò un mio professore, cui ero e sono rimasto molto affezionato, per spiegarmi come si svolgono i concorsi per diventare professore all'Università. Tanto mi convinse, che mi rifugiai subito fuori dall'Università, vincendo un concorso in ospedale e tagliando ogni ponte con gli Atenei.

Una bella storiella e null’altro, direte. Anni dopo sentii una seconda storia, se volete peggiore della prima. Durante una cena un caro amico rimasto all'università e diventato professore associato, raccontò di aver chiesto al suo riferimento di cattedra come mai insieme a lui (persona che ritengo valida sotto il profilo didattico e scientifico, oltre che umano) erano stati promossi altri professori, dai dubbi meriti. La risposta fu: «Devi essermi grato, chi è stato promosso senza meriti lo sa e non farà nulla per intralciarti la strada».

Mi direte che che tali meccanismi abitano sicuramente anche negli ospedali. Vero. Conosco anche nel mio stesso ospedale colleghi messi all'angolo non appena emergono per evitare che possano offuscare il primario soprattutto nelle discipline chirurgiche, ma sono l'eccezione e non la regola. Inoltre le selezioni per i concorsi ospedalieri sono molto più libere da condizionamenti e soprattutto sono molte di più. Ecco perché oggi i migliori professionisti li troviamo negli ospedali e non più nelle Università.

Non voglio entrare nel dibattito su come sono fatte le selezioni, sul clientelismo, su parentopoli o altro, non scoprirei nulla e aggiungerei qualunquismo a qualunquismo.
Quello che risulta chiaro è che non è vero neanche lontanamente che i migliori, quelli più adatti a formare, quelli con maggiori titoli scientifici siano solo nelle Università. Li troveremo ovunque (spesso purtroppo anche all'estero).

Diventiamo quindi più realisti del re. Indipendentemente da come sono entrati in cattedra o a dirigere un reparto, sappiamo tutti chi vale e chi no. Chi è in grado di trasmettere sapere e chi non lo può trasmettere per il semplice motivo che ne è sprovvisto….

Se dobbiamo affidare nostro figlio o nostra madre alle cure di un medico non sceglieremo certo sulla base di titoli altisonanti. Saranno invece il “mercato” e la fiducia che riponiamo in quel determinato professionista, a fare la differenza.

Ma se esiste la possibilità di scegliere il professionista da cui farsi curare, magari anche in privato, perché non permettere una scelta, una vera e sana competizione anche per la formazione? Perché il laureato in medicina e chirurgia non deve avere la possibilità di scegliere la migliore struttura dove ricevere la formazione ? Perché non offrire una scelta, la più ampia possibile?

La chiave della competizione tra strutture
La proposta è quella di permettere a tutte le strutture di maggiore prestigio in Italia, universitarie o ospedaliere, di proporsi quali centri di formazione post laurea. Verificati da una commissione terza i requisisti minimi e le capacità di garantire formazione e tutoraggio la struttura entra “nel mercato”, per formare quei determinati professionisti nel numero massimo determinato dalla commissione stessa. La struttura deve garantire ai medici specializzandi spazi di lavoro, tutor preparati motivati e disponibili, nonché un numero minimo di interventi/prestazioni documentabili, previsti da un iter formativo identico in tutta Italia. Badate bene, nulla di nuovo, anche oggi sulla carta è così; ma nessuno controlla e i libretti dei medici specializzandi sono per lo più poco veritieri, per il principale motivo che tutta la formazione si concentra in poche strutture, impossibilitate a garantire una vera preparazione, anche pratica. Nasce quindi il sospetto che avere l’esclusiva sugli specializzandi serva solo per usufruire di manodopera, «bassa» manovalanza medica, per far funzionare i servizi universitari.

Viceversa se si potessero scegliere anche strutture di prestigio ospedaliere, in una sana concorrenza formativa, sarebbe lo stesso medico in formazione a decretare nei fatti una classifica delle miglior strutture. Quello che avviene in America e in Europa dove c'è grande competizione per entrare nelle strutture più qualificate, più professionalizzanti e che determinano, una volta raggiunto il titolo, un curriculum più prestigioso nonché un lavoro sicuro e meglio remunerato. La concorrenza tra strutture farebbe identificare nel medico specializzando il fiore all'occhiello da tutelare, valorizzare e formare, non il servo della gleba cui affidar i lavori più scomodi.

Solo le strutture scelte dai medici in formazione indicheranno uno o più docenti per la scuola di specializzazione disponibili anche alla attività didattica. La didattica e la ricerca entrerebbero negli ospedali facendoci fare un vero passo avanti.

Una programmazione su base regionale
Ogni anno, non il Miur ma le sole regioni programmerebbero il numero delle borse di studio per ciascuna disciplina. Tale numero terrà conto principalmente dei pensionamenti previsti per ogni singola Asl/Ao e per ogni singola specialità nei successivi 5 anni, sia negli ospedali che negli ambulatori territoriali. Tali valori saranno integrati o decurtati da eventuali piani regionali che volessero potenziare o depotenziare questo e quel servizio.

Le regioni presentando il piano, dovranno garantire quel numero minimo di concorsi alla fine dei 5 anni. A coloro che avranno partecipato al concorso regionale per quell'anno e risultati in posizione utile nella graduatoria finale, verrà inviata una scheda per scegliere tra tutte le strutture formative universitarie e ospedaliere in competizione, illustrando cosa offrono e le caratteristiche di quella struttura, il numero di tutor e i loro curriculum.

Gli studenti scelgono
A questo punto se la rete formativa prevede la possibilità di formare 10.000 medici ma le borse di studio sulla base delle esigenze regionali sono 5.000 appare evidente che un certo numero di strutture universitarie o ospedaliere rimarranno senza studenti e che per quell'anno usciranno fuori dalla rete formativa.

A fine percorso i neo specialisti compileranno una scheda sulla reale formazione accademica e pratica acquisita, scheda che sarà valutata dalla commissione che stabilirà quali strutture potranno essere adibite alla formazione negli anni successivi.

Ma così facendo bisogna riscrivere una nuova legge? Sarebbe ora visto che l'ultima legge sulla formazione è datata 1999 e peraltro mai applicata a pieno. Ma in realtà l’attuale legge già prevede la gran parte delle cose illustrate, bisognerebbe solo modificarla in due parti: in quella che assegna, unica in Europa, la formazione specialistica solo all'università e in quella che identifica le modalità di selezione. In altre parole si chiede al Ministro e Parlamento la modifica di due righe per risolvere un problema e fare una grande riforma.

Nella mia storia personale, da segretario dell' Aiss (associazione medici specialisti in formazione) ho contribuito assieme a tanti colleghi prima a far approvare la legge 256 che recepiva la normativa comunitaria, poi nel 1999 a riscrivere la legge correggendo gli errori e le iniquità presenti nella prima. Oggi dopo 17 anni è il momento di reintervenire.

L'articolo che va implementato è il n. 18 comma 2 del Decreto Legislativo 17 agosto 1999, n. 368 (Titolo III sulla “Formazione”, capo I sulle “Condizioni di formazione dei medici chirurghi” ), così modificato: «La formazione di cui al comma l comprende un percorso formativo di durata minima di sei anni o un minimo di 5.500 ore di insegnamento teoriche e pratiche impartite in una università o, in piena autonomia, negli ospedali identificati quali sedi di formazione dalla commissione di cui all'articolo 43 della presente legge». Non mi sembra difficile.

Il professor Andrea Lenzi (presidente del Consiglio universitario nazionale - Cun - e della Conferenza permanente dei presidenti di corso in medicina e chirurgia) preoccupato che si crei un accesso negli ospedali in assenza di titolo, così come proposto dalle Regioni dichiara: «Perché non lasciare che l'Osservatorio della Medicina specialistica determini rapidamente requisiti, standard di docenza, di struttura e di casistica e, soprattutto, indicatori di performance che consentano di identificare le sedi universitarie meritevoli di rimanere attive e i reparti del Ssn adeguati per la rete formativa, perché si spinge per l'uscita degli specializzandi dal circuito universitario dove si acquisiscono le “conoscenze e abilità manuali”, ma anche la “capacità critica” per affrontare 40 anni di professione in un mondo in continua evoluzione, perché per essere realmente innovativi, e non timorosi della valutazione, non si propone invece un esame finale nazionale per ogni specialità secondo le migliori best practice internazionali, che metta a confronto le varie Scuole?».
Bene, sia conseguente alle sue riflessioni. Appoggi la riforma della legge.


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