Lavoro e professione
Orario di lavoro Ue, Ipasvi: «Servono 18mila infermieri in più»
Per evitare gravi carenze nelle strutture sanitarie legate all’applicazione dell’orario di lavoro Ue scattata il 25 novembre scorso servirebbero 17-18mila infermieri in più (in media 6,3 per mille abitanti: oggi ce ne sono 6 per mille) . Che diventerebbero circa 30mila (6,5 circa per mille abitanti) se oltre ai turni di lavoro si vuole applicare il nuovo modello di assistenza integrata ospedale-territorio scritto anche nel Patto per la salute.
A fornire la stima è l'Ipasvi, la Federazione nazionale dei Collegi degli infermieri, che sottolinea come la carenza legata all'applicazione della direttiva Ue sui turni di riposo dei professionisti della Sanità coinvolga in prima persona anche gli infermieri. Una carenza che in realtà sarebbe ben più pesante confrontando gli organici nazionali con le medie Ocse.
Anche in considerazione della libera circolazione dei professionisti e, comunque, di un'organizzazione che tenga il passo internazionale. La media per mille abitanti nei Paesi Ocse supera infatti di poco i 9 infermieri. Ma per la diversità della raccolta dati e per quella dei sistemi di assistenza si può utilizzare come confronto il valore di 7 infermieri per mille abitanti. Oggi l'Italia ne ha sei, il che si traduce negli ormai fatidici 60mila infermieri in meno.
Restando tuttavia nell'ambito del Servizio sanitario nazionale i numeri e le esigenze parlano chiaro. E si basano sui dati ufficiali del Conto annuale per quanto riguarda la numerosità degli organici e il calcolo delle unità da considerare a tempo pieno, sulle regole per i turni di lavoro e sulla popolazione pesata utilizzata anche per il riparto del fondo sanitario per non dimenticare l'effetto dell'età.
E parlano chiaro, sempre per gli infermieri, anche le situazioni create da cinque anni di blocco del turnover, soprattutto nelle Regioni in piano di rientro: i disoccupati sono attualmente circa 16mila, i precari a vario titolo non meno di 11mila, di cui poco meno di 9mila (circa 8.700) sono la categoria del tempo determinato, la prima che dovrebbe essere stabilizzata.
«Sono cifre alte. Che nascono – sottolinea Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione Ipasvi - da una stasi di aggiornamento degli organici di almeno cinque anni e da un'organizzazione che sconta ancora vecchi modelli in cui non si tiene conto né della trasversalità dell'assistenza che non può più basarsi solo su singole specialità, né dell'aumento dell'età, e nemmeno di quello delle cronicità, che, secondo tutti i maggiori studi nazionali e internazionali attuali, si possono affrontare al meglio esclusivamente se dopo l'eventuale acuzie c'è un'assistenza infermieristica efficace e organizzata h24».
Le cifre nazionali tuttavia non rendono l'idea reale della gravità della situazione a livello di alcune Regioni. Quelle in piano di rientro soprattutto. Così ad esempio, nelle Regioni a statuto speciale che non sono sottoposte ai blocchi di turnover assoluti come le altre – anche se assumere meno personale possibile è stato comunque fonte di risparmio - la situazione è di sostanziale equilibrio o di carenze relativamente gestibili con facilità nel breve periodo.
La provincia autonoma di Trento, ad esempio, ha già provveduto con una sua delibera a finanziare (con 9 milioni di euro) le assunzioni di tutti gli operatori necessari, infermieri e non. Nelle altre Regioni si hanno carenze che si concentrano per il 53% circa nelle Regioni in piano di rientro e per il 40% circa in quelle a statuto ordinario con i conti in salute. Il restante 7% tocca a quattro Regioni a statuto speciale, Sicilia esclusa in quanto sottoposta a piano di rientro.
Nel Lazio, ad esempio, gli infermieri che mancano assorbono il 12,1% della carenza nazionale (tra le regioni senza piano di rientro una situazione analoga è in Lombardia), in Campania si sfiora il 10%, in Sicilia l'8,4%, in Piemonte l'8%: quasi il 40% in sole quattro Regioni quindi.
In base al rapporto per mille abitanti, invece, servono 0,3 infermieri in più per coprire l'esigenza immediata legata all'orario di lavoro e 0,5 in più, sempre in media, per raggiungere l'organico necessario a ottimizzare i servizi. In questo senso però, ne bastano ad esempio 0,2 per mille abitanti in più in Veneto, ma ne servono almeno 0,5 per mille abitanti in più in Molise, solo per coprire i turni di lavoro.
Dal punto di vista dei costi, per i circa 18mila infermieri necessari a risolvere il problema dell'orario di lavoro, se dovessero essere tutti assunti ex novo , servirebbero, sempre secondo le cifre del Conto annuale, circa 547 milioni, compresi gli oneri sociali per le aziende (circa 30mila euro di costi annui pro capite in prima assunzione).
«Garantire un'assistenza continua ed efficace h24 ai pazienti ricoverati e poter assicurare a quelli a domicilio, soprattutto anziani e malati cronici una continuità altrettanto efficace – conclude Mangiacavalli – non ha prezzo. Lo sanno gli operatori che realmente lavorano ogni giorno in prima linea a contatto con i pazienti. Lo ha affermato a più riprese l'Organizzazione mondiale della Sanità e la stessa Ocse. Lo ribadiscono gli studi di epidemiologi ed economisti, sottolineando che ogni euro speso in un'assistenza efficace eviterà poi di spenderne almeno tre in cure ripetute. E l'assistenza è efficace solo se è continua e garantita da professionisti capaci e preparati dal punto di vista clinico, ma anche da quello del rapporto umano con gli assistiti. Per questo ogni ritardo, ogni deroga, non è solo a danno dei professionisti, ma dei cittadini e mette a rischio l'Italia di multe milionarie da parte dell'Ue per non aver rispettato i tempi della direttiva. Regioni e Governo devono trovare una soluzione senza aspettare».
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