In parlamento

Ddl Bilancio: solo briciole per contrastare la ludopatia, il business resta in mano al croupier

di Ettore Jorio

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24 Esclusivo per Sanità24

Fare le nozze con i fichi secchi. E’ questa l’idea del Governo di trattamento ideale del contrasto alla dipendenza da “Disturbo di gioco d’azzardo”.
La legge di bilancio 2025 ne traccia la terapia nell’art. 66 dal titolo “Prevenzione, cura e riabilitazione delle patologie da dipendenze”, da finanziarsi con soli 50 milioni annui a decorrere dal 2025. Si badi bene, attraverso le modalità di erogazione delle prestazioni relative da definirsi con decreti ministeriali, in quanto tali con il rinvio dei principi e finalità di riparto sui quali al Parlamento non è dato mettere lingua in corso di approvazione della legge di bilancio medesima.

Il solito disinteresse oppure un errore di ipotesi?

Questo è quanto utile a dimostrare che con appena 50 milioni annui si ritiene di affrontare il problema grave, in assoluta crescita, del gioco d’azzardo che produce incassi tra i 135 e i 150 miliardi l’anno ai gestori, in gran parte espressione della cultura malavitosa. Una volontà che tutta dimostrativa di non combattere la ludopatia, che ha rovinato e continuerà a rovinare famiglie, sino ad impedire loro di affrontare il quotidiano.

Al di là dell’inefficiente economico il legislatore si è occupato anche dell’inefficace generazione di strumenti di supporto al risultato. Ha previsto la futura istituzione, per il tramite del solito decreto interministeriale, di un Osservatorio di esperti, tenuti ad impegnarsi gratuitamente, per monitorare le dipendenze patologiche e l’efficacia delle azioni di cura. Un organismo che andrà a sostituire quello, in procinto di coeva abrogazione, reinsediato nell’ordinamento – per volontà dall’allora ministro Balduzzi insediato nell’ordinamento con il decreto interministeriale 12 agosto 2019 – per contrastare la diffusione del gioco d’azzardo e il fenomeno della dipendenza grave.

A pensar male qualche volte ci si indovina

Fatte queste considerazioni, me ne viene in mente un’altra, forse più preoccupante. Trae origine da due elementi di fondo: l’altissimo saldo degli incassi del gioco d’azzardo che rintraccia nei 135/150 miliardi la percentuale compartecipativa dello Stato; l’impegno del Ssn ad intervenire per determinare un consistente decremento, osteggiato dal sistema gestorio, dunque, da quello compartecipativo statale. Ciò senza contale l’indispensabilità dell’intervento preventivo, curativo e riabilitativo, avente una ricaduta sociale sui dipendenti dal gioco, sulle loro famiglie e sui costi assistenziali, sia di carattere psicologico che materiali.

Nel mentre, la ludopatia fa festa

A ben vedere, nella contrapposizione dell’interesse ideale dell’Autorità statale con quello economico, e dalla prevalenza netta del primo sul secondo si perverrebbe alla sconfitta della ludopatia. Altrimenti, lasciata in mano al croupier, che è cosa terribile solo a pensarla. Specie se il ruolo del biscazziere è svolto con la cointeressenza dello Stato ed esercitato, non infrequentemente, da imprenditori borderline.

Nella proposta del Governo si evince il pericolo di della cancellazione delle misure strutturali. Lo fa con l’art. 66, attraverso il quale si diminuiscono le risorse e si mantengono inalterate le utilità economiche di chi gestisce il gioco, spesso retto da lobby contigue al malaffare, per valori di incasso che vanno oltre i 135 miliardi di euro all’anno (2022), pari a cinque leggi di bilancio. Quindi, due guai in pochi righi: soppressione del fondo vincolato per gli interventi di prevenzione, cura e riabilitazione dalle patologie del gioco d’azzardo; abrogazione della la norma costitutiva dell’organismo “Osservatorio per il contrasto al gioco d’azzardo e alla dipendenza grave”, quale “organismo consultivo del ministro della Salute”; riedizione del medesimo, ma con caratteristiche che, di certo, lasceranno nudo il ministro Schillaci ad affrontare il gravissimo problema. A valle, la ludopatia incrementerà i propri eserciti e sarà più propensa a fare più vittime, giocatori e famiglie.

I lavori in Commissione fanno di peggio

Tra i 4.562 emendamenti presentati in Commissione Bilancio, Tesoro e Programmazione della Camera dei deputati, alcuni riguardanti anche l’art. 66, che suscita tanta ilare irresponsabilità nella precisazione che lo stesso “non comporta nuovi o maggiori oneri”. Per l’esattezza sei. Tra questi, due intesi a sostituirlo e quattro ad integrarlo. Tutti non affatto implementativi delle garanzie, sia economico-finanziarie che organizzative, compiutamente funzionali a contribuire alla soluzione del problema. Un po’ come rilevabile nella regolazione generale - recata nel Cap II alla voce “Misure in materia di lotta alle droghe e alle dipendenze”, - che ha stimolato sui suoi quattro articoli (39-42) un valore equivalente di emendamenti dall’effetto, per molti versi, accomodante, così come avvenuto relativamente all’art 14 (Proroghe delle concessioni di gioco in scadenza) che è stato oggetto di ben quattordici emendamenti dal contenuto assai benevolo per i concessionari in vigenza. Il tema della dipendenza – da analizzarsi dalla parte che determina la regolazione, dalle famiglie che se ne devono difendere, dagli affetti dalle specifiche patologie, dallo Stato che ci guadagna in termini di cointeressenza ma che registra, unitamente alle Regioni, un saldo negativo sia in spesa economica, per ciò che spende in rispettiva assistenza alla salute, che in perdita sociale, nel danno di fare assist alle mafie che su ciò puntano il loro jolly – è l’argomento principale da trattare, con leggi giuste e finanziamenti adeguati, in difesa dello Stato di diritto.

Il deputato è il megafono dei bisogni sociali non già degli interessi di taluni

Di conseguenza, sono inammissibili gli emendamenti di facciata, che tendono ad alzate il finanziamento di qualche cifra, o peggio ancora di lasciare intravedere dei tocchi di palla ai gestori dei giochi funzionali a consentire la continuità degli attuali “privilegi”.E ’ indispensabile, e non più rinviabile, capire che la materia è scritta nei vocabolari culturali. Quelli che sono consultati dai pochi sensibili al tema e dagli specialisti. Certamente, mai toccati da chi scrive le leggi, e soprattutto da chi fa a gara di presentare emendamenti palesemente pretesi dalle lobby che incassano miliardi di euro con il gioco e le rovine dei giocatori.


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