In parlamento
Biotestamento, Dirindin (Mdp): legge di civiltà e chi parla di eutanasia è in malafede
di Nerina Dirindin (senatrice, resp. sanità Art 1-Mdp-Liberi e uguali )
Finalmente! finalmente giunge ad approvazione una legge estremamente importante, attesa da tempo e da molte persone; un provvedimento che, come raramente è accaduto in questa legislatura, può essere considerato di elevato livello qualitativo; per due ragioni.
Primo per il tema che tratta, perché qualifica la produzione della XVII legislatura con una norma che interviene su un tema grande e delicato che interessa la società attuale, permettendo così al Parlamento di svolgere al meglio la funzione che le è propria di moderna rappresentanza politica nazionale.
Secondo per la qualità del testo. In un contesto contraddistinto troppo spesso dal proliferare di una produzione legislativa mastodontica, disorganica e non immediatamente comprensibile, questo provvedimento appare chiaro, (per quanto possibile) equilibrato ed essenziale. Molti oppositori di questa norma hanno sostenuto che è scritta male e non potrà essere applicata. Spiace ascoltare affermazioni così poco serie, poco serie perché meramente strumentali, da parte di chi raramente ha sollevato perplessità rispetto a norme ben più complicate e oscure di questa (tanto da richiedere continue modificazioni e integrazioni). La delicatezza del tema avrebbe richiesto un uso più attento delle parole anche in questi giorni di dibattito. E invece abbiamo sentito evocare effetti sinistri, abbiamo ascoltato parole allarmistiche, abbiamo addirittura sentito parlare di “era eutanasica”, come se fosse accettabile che un legislatore si adoperi per far apparire una legge diversa da quella che è. Segno che non si hanno altri argomenti, segno di scarsa onestà intellettuale.
Invece questa norma non si occupa di eutanasia. L'eutanasia è un'altra cosa. Accorciare la vita o procurare la morte è profondamente diverso da accettare i limiti della condizione umana, scegliere di non impedire in certe condizioni la morte. Questa norma tratta del diritto alla «rinuncia… all'utilizzo di procedure mediche sproporzionate e senza ragionevole speranza di esito positivo». Cito testualmente il Compendio Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 471, come dovrebbero sapere coloro che affrontano tale argomento con la fede cattolica.
Questa norma affronta invece un tema oggi non più rinviabile: perché la crescente capacità terapeutica della medicina consente oggi di protrarre la vita anche in condizioni un tempo impensabili. Ciò è sicuramente un bene. Ma, le nuove tecnologie che permettono interventi sempre più efficaci sul corpo umano richiedono, come ebbe a dire un grande uomo, il cardinale Carlo Maria Martini, “un supplemento di saggezza per non prolungare i trattamenti quando ormai non giovano più alla persona”,
Non è facile essere saggi in una legge. L'importante è che si riconosca che non può essere trascurata la volontà del malato. Che si riconosca la possibilità del rifiuto (informato) delle cure, quando ritenute sproporzionate dal paziente. La possibilità, non l'obbligo. Ogni persona resta libera di esercitare o meno, con le modalità che riterrà opportune, il diritto riconosciuto dalla Costituzione di non essere “obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge” e comunque sempre senza “violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.”
Nel merito del provvedimento, mi soffermo rapidamente su alcuni punti.
Vorrei sottolineare la successione dei temi trattati dalla norma. Prima il consenso informato (art 1), poi la terapia del dolore (art 2) poi le disposizioni anticipate di trattamento (art 4) e infine la pianificazione condivisa delle cure (art. 5)
La norma prevede che “nessun trattamento può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato”.
Per questo si disciplina in primo luogo il consenso informato, affinché esso non sia un fatto meramente burocratico, un banale e sterile ricorso indiscriminato al “modulo da riempire”. La letteratura specialistica precisa che la formazione di un autentico consenso informato presuppone sempre la contemporanea presenza di almeno 4 elementi essenziali: l'offerta d'informazione; la comprensione dell'informazione; la libertà decisionale del paziente; la sua capacità decisionale. L'attuazione di questa legge dovrà tener conto di questi elementi, contenuti in vario modo nell'articolato.
Secondo, la terapia del dolore.
Fa parte, credo, dell'esperienza di molti di noi, la difficile prova di conoscere o assistere persone che sentono la profondissima stanchezza, psicologica ed esistenziale, che può derivare da una lunga malattia cronica invalidante, che percepiscono la crescente dipendenza dagli altri come sempre più difficile da sopportare, che temono di dover sopportare altre sofferenze legate alla malattia.
E allora, il primo dovere di un sistema sanitario degno di un paese civile è garantire a tali persone ogni intervento atto ad alleviarne le sofferenze, sempre, anche in caso di rifiuto e revoca del consenso al trattamento, compresa la sedazione profonda che deve essere motivata e annotata in cartella clinica (come prevista dalla norma). Questa è la sfida, che questa legge non evita ma accetta di assumere. Certo mancano risorse, non per i registri, ma per il personale e per l'organizzazione sanitaria. È triste verificare che ci si preoccupare di finanziare una infrastruttura informatica per i registri e non anche la qualificazione e la dotazione del capitale umano che deve dare attuazione alla legge. Affermare (art 1, c. 8) che il “tempo della comunicazione tra medico e paziente costituisce tempo di cura” è una affermazione impegnativa e gravida di importanti conseguenze. Peccato che ancora una volta, quando si parla di sanità, si chieda agli operatori di affrontare i problemi senza ulteriori oneri per la finanza pubblica. Verrà forse un giorno in cui ci vergogneremo di sostenere che tutto, proprio tutto, si può fare a costo zero.
E invece, la scelta della persona potrà dirsi effettivamente libera solo se gli operatori della sanità sapranno e potranno creare un clima di fiducia, se sapranno vivere, come spesso viene fortunatamente effettivamente fatto, l'esperienza della cura non solo dal punto di vista prestazionale e professionale ma anche umano; ma questo richiede formazione, tempo e motivazione, a cui si pensa troppo poco.
Al contrario, in questa aula abbiamo sentito evocare una medicina paternalistica. Personalmente ritengo che dovrebbe far parte del passato, anche se sono consapevole che è ancora molto praticata. Non è il medico che deve scegliere per i paziente, è il paziente che deve chiedere, o comunque avere, dal medico e dagli altri operatori della sanità, tutte le informazioni che lo mettono in condizione di poter scegliere per sé. I medici sono consapevoli che non c'è mai una sola risposta giusta; sono consapevoli dei limiti della medicina e della necessità di condividere tali limiti con i pazienti. Questa è la strada verso la quale si stanno muovendo tutti i paesi moderni. Richiamare la medicina paternalistica è segno di conservazione, non di modernità.
Semmai il problema è far acquisire ai professionisti una mentalità capace di affrontare le incertezze, non negandole ma comunicandole al paziente con professionalità, instaurando così una autentica relazione di cura, che può anche restituire a chi eroga l'assistenza il significato del suo operare.
E stupisce che proprio da chi è sempre pronto a rivendicare la libertà di scelta del consumatore sanitario (termine che non amo ma che riprendo perché utilizzato da molti dei detrattori di questa norma), sia ferocemente contro la libertà della persona di scegliere non solo dove farsi curare (nel pubblico o nel privato) ma se e come farsi trattare! È un'altra occasione persa per mostrare di essere coerenti! È un'altra occasione persa per essere dalla parte delle persone.
La sfida è ora l'attuazione piena e corretta dei principi contenuti nella legge che approveremo oggi. Bisognerà monitorare e sostenere un processo certamente delicato e difficile.
Concludo presidente affermando che nessuna legge è perfetta. Ma questa è una buona legge.
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