In parlamento

Decreto vaccini, tutto ciò che non va

di Nerina Dirindin (senatrice, commissione Igiene e Sanità)

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24 Esclusivo per Sanità24

In queste settimane si discute molto di vaccinazioni e rischi per la salute pubblica. Il dibattito si è sviluppato a partire da posizioni estreme, a favore o contro i vaccini, a prescindere dai dati e dalle evidenze scientifiche e a dispetto della complessità e delicatezza del tema. Evitare errori tecnici e azioni inefficaci è comunque necessario, a maggior ragione quando si tratta della salute dei minori.
Concorrenza politico elettorale e aspirazione a specifici benefici
Confesso che mi sono chiesta più volte se era opportuno scrivere un altro pezzo sulla questione vaccini: da un lato il tema è oggettivamente difficile da trattare e dall'altro si corre il rischio di contribuire ad alimentare la sfiducia nelle istituzioni.
Ma il rischio che un decreto legge, che contiene importanti errori tecnici e adotta strumenti privi di adeguate evidenze scientifiche, venga convertito in legge e produca effetti sulla credibilità della prevenzione delle malattie infettive e sull'adesione alle vaccinazioni sicure ed efficaci mi induce a offrire ancora una volta qualche elemento di approfondimento. In attesa di risposte nel merito e a costo di essere accomunata ai tanti che gridano e disorientano i cittadini.
Per quanto capisco, il tema sembra attenere più a questioni di concorrenza politico-elettorale (ricerca di consenso e di finanziamenti), di compiacenza nei confronti di alcuni poteri (economici e politici) e di aspirazioni a specifici benefici (remunerazione per prestazioni aggiuntive, risorse per cattedre universitarie, nuovi ruoli per alcuni professionisti): gli aspetti inerenti la protezione contro le malattie infettive prevenibili con vaccinazione sembrano essere, ma mi auguro di potermi ricredere, il mezzo anziché il fine.

La diffusa (salvo autorevoli voci inascoltate) adesione acritica a un decreto legge a mio giudizio inadeguato è il segno del nostro tempo: ci si accontenta di generalizzazioni (tutti i vaccini e tutte le malattie infettive sono uguali: 12 vaccini obbligatori per tutti, da 0 a 16 anni), si interviene con strumenti di “polizia sanitaria” che stridono con la moderna cultura della promozione della salute (fino a evocare la sospensione della responsabilità genitoriale), si scaricano sui cittadini una montagna di adempimenti burocratici (anche quando i certificati di avvenuta vaccinazione potrebbero essere acquisiti d'ufficio), si liquidano i problemi applicativi e le difficoltà organizzative con semplici rinvii a responsabilità di altri soggetti (come se le difficoltà delle aziende sanitarie e delle istituzioni scolastiche fossero irrilevanti), si rinuncia a qualunque analisi dei fattori che hanno portato all'aumento della esitazione vaccinale , si interviene con durezza imponendo l'obbligatorietà quasi a punire chi si permette di chiedere più informazione e servizi vaccinali più disponibili. Il tutto alimentando un allarme che purtroppo rischia di accrescere anziché risolvere i problemi.
Nel frattempo, ci si accontenta di relazioni sommarie e di dichiarazioni sbrigative, mentre ci sarebbe un gran bisogno di ricostituire un rapporto di fiducia fra cittadini, scienza e politica.

Sulla scientificità del dibattito
La crescita del rifiuto delle vaccinazioni testimonia una crisi di credibilità delle nostre istituzioni sanitarie. Il fenomeno non è nuovo e pensare si affrontarlo “silenziando” il dissenso con la coercizione è miope e pericoloso.

Vanno affrontate le ragioni del rifiuto e quelle della crisi di autorevolezza. Non contribuiscono certamente a migliorare il clima i comportamenti dei massimi responsabili sanitari del Paese. L'affermazione che tutte le decisioni riguardanti gli obblighi vaccinali derivano dall'applicazione di rigorosi criteri scientifici contrasta, almeno in parte, con le informazioni messe a disposizione dalle istituzioni sanitarie, con il comportamento mediatico dei vertici e con le stesse affermazioni del ministro.
Sarebbe auspicabile che le massime autorità sanitarie del nostro Paese fossero i portatori delle migliori informazioni disponibili. Dovrebbero svolgere un ruolo di riferimento equilibrato e documentato. Dovrebbero essere arbitri della contesa, aiutando il Governo e il Parlamento a compiere la scelta più appropriata.
Invece si comportano apertamente come tifosi, sostenitori a priori delle proprie tesi e denigratori delle persone che espongono argomenti critici, anziché contro-argomentare con dati ed evidenze. Il metodo scientifico si fregia di essere, innanzitutto, verificabile. Le sue conclusioni sono solo provvisorie e il progresso delle conoscenze si nutre sia delle prove a sostegno sia di quelle contrarie.

Gli spazi per migliorare il decreto legge
La relazione che accompagna il DL e che dovrebbe sostenerne le scelte non è certo un esempio di rigore scientifico. I contenuti omettono in alcuni casi informazioni essenziali per il decisore. Facciamo alcuni esempi.
1. Per l'Haemophilus influenzae B la relazione riporta i dati di incidenza di tutti i casi di malattia invasiva (140 nel 2016) e non solo di quelli dovuti al ceppo batterico «prevenibile con la vaccinazione», cioè il sierotipo B (12 casi nel 2016); eppure i dati sono disponibili online a cura dell'Istituto Superiore di Sanità . L'obbligatorietà della vaccinazione fino all'età di 16 anni è stata inoltre messa in discussione perché utile solo nei primissimi anni di vita, tanto è vero che non si dispone di un vaccino autorizzato per età superiori ai 5 anni .

2. Per le meningiti batteriche non si commentano i dati rispetto alla media europea (in questo caso favorevoli al nostro paese) e non si indica il livello critico sufficiente a garantire l'immunità di gregge. L'obbligatorietà per il meningococco B e C fino ai 16 anni è stata comunque messa in discussione «in attesa di dati più sicuri sulla reale durata nel tempo dell'effetto immunitario e considerando la bassa contagiosità del meningococco e la bassa prevalenza di portatori sani in età infantil»” .

3. Per la poliomielite si afferma che “se le coperture vaccinali continueranno a scendere sarà inevitabile il ritorno della malattia anche nel nostro Paese”. Questa è una circostanza che non si può escludere a priori ma la relazione non fornisce dati a sostegno di un cambiamento così importante. Lo stato “Polio free” del nostro Paese è stato regolarmente certificato dall'OMS anche per il 2016 . Non vengono documentati segni di presenza virale sul nostro territorio né su altri territori della regione Europea. In compenso viene ricordata «la notizia, in attesa di conferma da fonti ufficiali, ma molto attendibile, relativa alla ricomparsa della polio in Siria».

4. Per la difterite si afferma che la malattia non è presente sul nostro territorio ma è ancora endemica in alcune aree del mondo e potrebbe essere importata. Se si tratta di una malattia da importazione sarebbe utile vaccinare i viaggiatori internazionali e verificare il rispetto delle norme di profilassi internazionale. La vaccinazione dei minori in età scolastica non è, ovviamente, priva di utilità ma un rigoroso approccio scientifico avrebbe dovuto suggerire un trattamento diverso rispetto, ad esempio, a quello adottato per la vaccinazione antimorbillosa.

5. L'infezione tetanica, si dice, è molto rara grazie alle elevate coperture vaccinali mantenute per anni. Si segnala che il rischio è in diminuzione ma ancora relativamente elevato rispetto alla media europea. Si afferma: «maggiormente interessati dalla malattia» sono «i soggetti di età superiore ai 64 anni (per lo più donne mai vaccinate)»: ma allora non sarebbe stato il caso di considerare prioritariamente il richiamo della popolazione adulta, più che concentrare l'obbligatorietà sui giovani fino a 16 anni.

6. Anche per la vaccinazione antiepatite B il rischio attuale e potenziale sembra essere presente in classi di età non interessate dal provvedimento.

7. Per la pertosse si sottolinea la probabile sottostima dei casi presenti (fenomeno che affligge molte malattie, non solo la pertosse) ma si omette di ricordare l'inadeguatezza del vaccino utilizzato correntemente nel garantire la tanto agognata immunità di gregge. Se il rischio attuale è rappresentato dal morto di Bologna del 2015 (come richiamato nella relazione del ministero) forse sarebbe necessario suggerire una diversa strategia vaccinale (donne in gravidanza, genitori e nucleo famigliare) in grado di proteggere i bimbi a maggior rischio e non altrimenti proteggibili.

Infine, sul morbillo, l'unico vero motivo di preoccupazione da tutti riconosciuto, non viene fatto cenno alla durata e alla natura dell'epidemia in corso. Uno sguardo ai dati avrebbe consentito di apprezzare che la soglia critica non è mai stata raggiunta (se c'è, il rischio attuale persiste almeno da 20 anni), che l'epidemia è iniziata 10 anni fa (attualmente è in regressione) e che una politica vaccinale efficacie suggerirebbe di vaccinare anche i giovani adulti e, soprattutto, gli operatori sanitari.
Per non parlare delle questioni applicative, sulle quali si stanno pronunciando le regioni, che non possono essere trascurate se si intende intervenire seriamente e in modo ordinato.
Le lacune e le imprecisioni lasciano purtroppo aperti tutti i quesiti sul perché dell'accanimento inflessibile. Nessuno sottovaluta l'importanza delle vaccinazioni; nessuno vuole istituzioni indifferenti alle epidemie. Ma la gestione dei rischi richiede capacità di analisi e di intervento, altrimenti si crea solo allarme e si alimentano le esitazioni delle tante giovani mamme che chiedono trasparenza e completezza delle informazioni. E ciò può produrre effetti boomerang molto pesanti.
Insomma: se questo è il rigore scientifico su cui si basano le indicazioni credo ci siano ampi spazi per discuterne e per migliorare le strategie. Se questa è la serietà dei vertici sanitari del Paese non stupisce che cresca la sfiducia dei cittadini verso le istituzioni. Sono peraltro certa che il Parlamento lavorerà per garantire maggiore solidità ed efficacia al provvedimento.


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