In parlamento

Sperimentazioni cliniche, arriva la Carta di Napoli: «No al depotenziamento dei comitati etici»

di Rosanna Magnano

Priorità inderogabile «rispetto ad ogni altro interesse» alla tutela del paziente incluso negli studi clinici e della sua dignità, intesa come diritto all’autodeterminazione, alla sicurezza, al benessere e alla riservatezza. Per ritrovare questo baricentro perduto è stata elaborata la «Carta di Napoli per la tutela della persona nelle sperimentazioni cliniche», un documento presentato oggi al Senato su iniziativa del senatore Lucio Romano, vicepresidente della Commissione Politiche Ue e Commissione Igiene e Sanità. «Si tratta di uno strumento di supporto operativo agli sperimentatori - spiega Romano - per un’effettiva tutela della persona inclusa nei procedimenti sperimentali». Tutela attualmente affidata a organismi «indipendenti e imparziali», ovvero i comitati etici territoriali. Sempre più spesso sotto attacco da parte di «correnti di pensiero che sulla base di una distorta interpretazione del regolamento Ue sulla sperimentazione clinica di medicinali a uso umano (N. 536/2014) ipotizzano il depotenziamento dei Comitati etici territoriali o addirittura la loro soppressione con la sostituzione di un unico Comitato etico nazionale».

Comitati etici territoriali sotto attacco
Sull’altro piatto della bilancia c’è una pur apprezzabile domanda di sburocratizzazione della ricerca, che ha l’obiettivo di incrementare la competitività dell’Italia e la sua attrattività rispetto alle sperimentazioni cliniche di rilievo internazionale. «La Carta di Napoli è uno strumento opportuno - sottolinea la presidente della Igiene e Sanità del Senato Emilia Grazia De Biasi (Pd) - in un momento in cui alla Camera si sta discutendo del Ddl Lorenzin, che contiene una delega al Governo per il riassetto e la riforma della normativa in materia di sperimentazioni cliniche. E su trial e comitati etici va espressa una linea di indirizzo. Anche per contrapporsi a eventi drammatici come il caso di Parma, con l’utilizzo su pazienti ignari di farmaci contro il dolore non autorizzati. Ribadendo la centralità dell’etica, di una gestione trasparente e della piena consapevolezza del paziente che liberamente si sottopone a una sperimentazione. E sulla questione dei comitati etici voglio esprimere una posizione netta: no al Comitato unico nazionale. Va certamente trovato un punto di equilibrio sulla distribuzione territoriale dei comitati ma la materia deve restare di competenza dell’Aifa. Il problema delle relazioni con l’industria del farmaco esiste e avere un unico centro di garanzia non può che generare opacità. Va corretto il tiro della diffusione ma salverei la pluralità. Partirei proprio da qui per ricostruire il rapporto di fiducia tra pazienti e istituzioni , ripristinando il legame tra scienza, politica e diritti dei cittadini».

E si esprime contro il depotenziamento dei comitati etici anche il senatore Vannino Chiti presidente della Commissione Politiche Ue: «La ricerca scientifica deve essere libera - sottolinea il parlamentare del Pd - ma il rispetto della dignità del paziente nei trial va monitorato e verificato attraverso i comitati territoriali. Anche per salvaguardare particolari categorie di pazienti, come gli stranieri, che hanno una cultura e una consapevolezza diverse. Se non garantiamo la loro tutela, avremo delle persone su cui la sperimentazione avrà le mani libere».

Sulla stessa linea Mario Marazziti (Scelta civica) presidente della Commissione Affari sociali della Camera: «Non credo che il Ddl Lorenzin sarà stravolto e gli interventi che modificano il testo alla Camera sono preventivamente concordati con il Senato con l’obiettivo di consentire l’approvazione del disegno di legge entro questa legislatura. Riguardo il numero dei comitati etici, molti ambienti spingono verso una riduzione. Per aumentare efficienza, omogeneità, standardizzazione e migliorare i tempi di autorizzazione dei progetti di ricerca in Italia. Non si può accettare che per la stessa molecola il disco verde arrivi in una settimana da Palermo e in tre mesi da una regione virtuosa come la Toscana. Ma l’ipotesi di un comitato unico sarebbe un eccesso di centralizzazione. Bisogna quindi da un lato evitare di creare imbuti che fanno migrare le sperimentazioni fuori dall’Italia. Dall’altro bisogna a livello centrale standardizzare tempi, costi e processi per favorire la ricerca. Tutelando i pazienti e prevedendo una contrattualistica che garantisca i medici che partecipano alle sperimentazioni».

Particolare attenzione viene dedicata dalla Carta di Napoli alla tutela delle persone «vulnerabili» negli studi clinici. Fari puntati quindi sui trial pediatrici, che andrebbero incrementati per offrire ai curanti una serie di medicinali approvati sulla base di sperimentazioni condotte su popolazioni distinte in base ai diversi stadi di sviluppo riducendo così i rischi connessi all’impiego nella pratica clinica di farmaci off label. Ma anche sugli adolescenti con disturbi mentali, sulle donne in età fertile o in gravidanza, su persone anziane, affette da malattie rare o in situazioni di emergenza.

Consenso informato in cerca di chiarezza
Tra i problemi sul tavolo anche la manacata chiarezza nella comunicazioni con il paziente. A partire dal consenso informato. Problema affrontato dal Comitato etico dell'Università Federico II di Napoli che ha messo a confronto protocolli sperimentali di tipo profit e quelli di natura no profit su un campione di poco meno di 1.600 clinical trials nell'arco temporale 2011-2015. «Dal monitoraggio - spiega Claudio Buccelli, ordinario di Medicina legale all’Università degli studi di Napoli e tra i curatori della Carta - emergono sostanziali differenze con particolare riferimento alle informazioni rese ai pazienti inclusi nei protocolli sperimentali ai fini dell'acquisizione del loro consenso». Le diversità riguardano fondamentalmente l'ampiezza dell'informazione e l'esasperato tecnicismo del linguaggio adottato che condizionano inevitabilmente la lunghezza e la comprensibilità della scheda informativa fornita ad una persona di media cultura, per di più gravata da importanti patologie. «Infatti, pur con differenze a seconda delle aree cliniche - continua Buccelli - in cui avviene la sperimentazione (ad esempio, oncologia, neurologia, pediatria, cardiologia), ricorre costantemente il dato che negli studi profit le informazioni date sono molto più dettagliate e improntate a terminologie specifiche non infrequentemente di scarsa comprensibilità rispetto a quelle degli studi no-profit. Valutazione, questa, di importante rilievo perché la prolissità dei moduli di informazione (che talvolta superano anche le 40 pagine) e l'oscurità lessicale contraddicono quel messaggio di chiarezza su cui deve strutturarsi una consapevole adesione alla proposta di esperienza sperimentale che viene espressa attraverso il consenso solo formalmente “informato”».

«Il predetto confronto suggerisce, pertanto - conclude l’esperto - che negli studi profit prevalgono negativi aspetti di medicina difensiva rispetto a quelli no-profit (che rappresentano le sperimentazioni più genuinamente di libera impostazione da parte dello stesso sperimentatore). Su questi aspetti il Comitato Etico dell'Università Federico II è intervenuto ripetutamente suggerendo correttivi di sintesi e di chiarezza lessicale (anche al fine di evitare espressioni suggestive che potessero inficiare la piena consapevolezza del consenso) per ricondurre l'informazione in termini di maggiore e migliore comprensibilità, a tutto vantaggio di una elaborazione conoscitiva da parte del paziente per una sua libera e veramente condivisa accettazione della sperimentazione. Si tratta di un'azione capillare e costante svolta dai Comitati Etici Territoriali nei confronti delle informative fornite ai pazienti per evitare che un carico eccessivo di dati e una modalità di espressione, non sempre di chiara ed immediata intelligibilità, rendano di fatto inefficace sul piano etico e giuridico il consenso del paziente, con offesa alla sua dignità di persona e libertà di sottoporsi ad esperienze farmacologiche nuove che, tuttavia, possono esporlo a pericoli e danni».

La Carta di Napoli, che sarà presentata anche a livello internazionale, è stata redatta da Alfredo Anzani, professore a contratto di Bioetica all'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano; Claudio Buccelli, ordinario di Medicina Legale e direttore del Dipartimento di Scienze Biomediche Avanzate all'Università di Napoli Federico II; Carmine Donisi, emerito di Diritto Civile all'Università di Napoli Federico II; Silvio Garattini, Direttore IRCCS – Istituto di Ricerche Farmacologiche “Mario Negri”; Maurizio Mori, ordinario di Bioetica all'Università di Torino; Antonio G. Spagnolo, ordinario di Medicina Legale all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma; dal senatore Lucio Romano, vicepresidente della Commissione Politiche dell'UE e componente della Commissione Igiene e Sanità


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