In parlamento
Nuovi Lea: grande traguardo politico a rischio di illusione collettiva?
di Nino Cartabellotta (presidente Fondazione Gimbe)
Con la firma del Premier Gentiloni il Ministro Lorenzin è riuscita nella titanica impresa in cui avevano fallito i suoi predecessori Turco e Balduzzi: dopo oltre 15 anni sono stati aggiornati i livelli essenziali di assistenza (Lea), che ora attendono solo il visto della Corte dei Conti per essere pubblicati in Gazzetta Ufficiale. Una grande enfasi mediatica ha celebrato il traguardo enfatizzando tutte le nuove prestazioni offerte ai cittadini: nuovo piano vaccini, screening neonatali per sordità e cataratta congenita, procreazione medicalmente assistita, prestazioni di genetica, adroterapia, radioterapia stereotassica, enteroscopia con microcamera ingeribile; novità per le protesi (comunicazione e attrezzature domotiche, carrozzine speciali); ingresso di 110 malattie rare e 6 nuove malattie croniche; nuovi percorsi di diagnosi e cura per i disturbi dello spettro autistico e tanto altro ancora.
Indipendentemente dall'espansione del “paniere” delle prestazioni, numerosi i “meriti” del Dpcm sui nuovi Lea che ridefinisce la loro articolazione con maggior dettaglio nella descrizione delle prestazioni, aggiorna i nomenclatori delle prestazioni di specialistica ambulatoriale e di assistenza protesica, definisce in dettaglio programmi e prestazioni di assistenza socio-sanitaria, ridefinisce i criteri di appropriatezza per tutti i regimi di ricovero, introduce misure per migliorare l'appropriatezza professionale sulle prestazioni di specialistica ambulatoriale, in particolare l'obbligo per il medico prescrittore di riportare sulla ricetta la diagnosi o il sospetto diagnostico e l'individuazione di criteri di appropriatezza prescrittiva e condizioni di erogabilità per 98 prestazioni.
Tuttavia, lungi dal voler smorzare il legittimo entusiasmo politico, professionale e sociale, sminuire la determinazione del Ministro Lorenzin, o sottovalutare l'impegno della politica e dei tecnici, non sarebbe corretto ignorare le criticità relative agli aspetti metodologici per definire e aggiornare gli elenchi delle prestazioni.
•Il Dpcm sui “nuovi Lea” non prevede alcuna metodologia esplicita per inserire/escludere le prestazioni, tanto che molte di quelle inserite ex-novo sono state “sdoganate” in assenza di prove di efficacia solo per la loro elevata domanda sociale e/o professionale. Di conseguenza, se per garantire la sostenibilità del servizio sanitario il denaro pubblico dovrebbe finanziare solo interventi sanitari efficaci, appropriati e dall'elevato value, bisogna essere consapevoli che con i nuovi Lea saranno rimborsate anche prestazioni dal value basso o addirittura negativo e, al tempo stesso, escluse prestazioni dall'elevato value. Tra gli innumerevoli esempi, dentro l'adroterapia per il trattamento dei tumori pediatrici in assenza di prove di efficacia, fuori la telemedicina per il monitoraggio domiciliare dei pazienti con scompenso cardiaco (oltre che affetti da altre patologie croniche), nonostante le robuste evidenze a supporto e il fatto che sia esplicitamente prevista dal Piano Nazionale della Cronicità.
•Tranne poche eccezioni, i nuovi Lea non prevedono “liste negative” di prestazioni: alla Commissione Nazionale Lea, nominata dopo la pubblicazione dello schema di Dpcm, viene affidato l'onere di effettuare la manutenzione di elenchi di prestazioni oggi espansi oltre ogni limite per ottenere il consenso di tutte le categorie professionali e dei cittadini-pazienti, senza la certezza di un'adeguata copertura finanziaria.
•A fronte di numerose prestazioni sanitarie per le quali non esistono adeguate evidenze, il SSN preferisce rimanere un “acquirente disinformato” piuttosto che investire in una strategia di ricerca e sviluppo. Infatti, di fronte a una Commissione Nazionale Lea che dovrebbe individuare “procedure per l'esecuzione di studi osservazionali per la valutazione comparativa di efficacia degli interventi di prevenzione, diagnosi e cura, anche avvalendosi dei canali di finanziamento della ricerca sanitaria” emergono due perplessità: da un lato la ricerca comparativa è innanzitutto sperimentale, dall'altro i fondi della ricerca sanitaria corrente sono destinati agli Irccs, poco avvezzi alla ricerca comparativa, e quelli della ricerca finalizzata (ad eccezione dei programmi di rete) finanziano prevalentemente ricerca di base. In pratica oggi la ricerca comparativa potrebbe disporre al massimo di qualche milione di euro.
•Gli 800 milioni di euro stanziati non sono sufficienti, tanto che le Regioni hanno già chiesto un'introduzione graduale dei nuovi Lea, oltre che una verifica dei costi alla Commissione Nazionale Lea. Verosimilmente infatti i costi aggiuntivi risultano sottostimati, perché una percentuale imprevedibile delle nuove prestazioni saranno prescritte/erogate in maniera inappropriata, mentre sono stati sovrastimati i potenziali risparmi, in parte dipendenti da setting o da misure inapplicabili in alcune aree del Paese. Guardando alla spesa out-of-pocket, è previsto un incremento di ticket per oltre € 18 milioni, conseguenti al passaggio di alcune prestazioni dal regime di day hospital/day surgey a quello ambulatoriale; inoltre è stato ridotto il pacchetto di prestazioni per l'ipertensione senza danno d'organo e i costi a carico delle famiglie per le prestazioni socio-sanitarie non sono ben chiari.
In un generale contesto di riduzione del finanziamento pubblico che fa scricchiolare anche le performance delle Regioni più virtuose e nella consapevolezza che quelle “dissennate” non riescono neppure ad adempiere all'erogazione dei “vecchi Lea”, la variabile interazione di queste criticità rischia di trasformare un grande traguardo politico in una illusione collettiva con gravi effetti collaterali: allungamento delle liste d'attesa, aumento della spesa out-of-pocket, sino alla rinuncia alle cure. Ecco perché la Commissione Nazionale Lea non può limitarsi al delisting delle prestazioni obsolete (solo una piccola percentuale di quelle dal value basso o negativo), ma deve rivalutare complessivamente tutte quelle inserite nei Lea, facendo esplicito riferimento a un metodo rigoroso basato sulle evidenze e sul value, come già sottolineato dalla relazione della Commissione Igiene e Sanità del Senato. In altre parole, osando una metafora idraulica, se non è possibile espandere adeguatamente la capienza del contenitore (aumentare il finanziamento pubblico), con un rubinetto sempre aperto (continua immissione sul mercato di innovazioni, vere o false che siano), solo uno scarico adeguato (disinvestimento da prestazioni dal basso value) potrà evitare di far traboccare l'acqua (non sostenibilità dei nuovi Lea).
La storia ci ha insegnato che definire i Lea a livello centrale permettendo alle Regioni di ribaltare, a cascata, le responsabilità sulle aziende sanitarie sino ai medici prescrittori e agli altri professionisti sanitari, rende evanescente il ruolo della Repubblica nel tutelare la salute delle persone. Anche perchè l'occasione di restituire allo Stato la possibilità di “riprendere” le Regioni non adempienti sui Lea è ormai persa per sempre.
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