In parlamento
Risk, ripartire dalla sicurezza del paziente
di Riccardo Tartaglia (direttore del Centro gestione Rischio clinico e sicurezza del paziente della Regione Toscana)
In Senato la sicurezza delle cure è stata inserita nel titolo del Ddl sulla Responsabilità professionale che diventa: «Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie». Non si è trattato di una modifica formale, per migliorare l’estetica della norma, ma sostanziale. Non poteva, una legge così importante, non tener conto in primo luogo di una raccomandazione del Consiglio d’Europa (2009/C 151/01) e delle indicazioni della stessa Organizzazione mondiale della Sanità, che pongono la questione sicurezza delle cure prioritaria in tutti i servizi sanitari.
Del resto anche il primo articolo del Ddl era sulla «sicurezza delle cure in sanità» e sembrava strano che i termini non fossero inclusi nel titolo, limitandolo invece alla responsabilità professionale. Non sono facilmente comprensibili le ragioni per cui il dibattito si sia concentrato nel nostro Paese essenzialmente sugli aspetti giuridici, in particolare sugli ultimi articoli, dal sesto in poi del Ddl. È su questi articoli che avvocati, assicuratori, magistrati si stanno confrontando da tempo con interessi molto diversi tra loro e pareri e opinioni non sempre basate sulle evidenze, almeno come si intende in ambito scientifico. Eppure la dimensione del problema contenzioso penale e risarcimenti è piccola cosa rispetto all’enormità del problema sicurezza del paziente che, nonostante i numeri, in un Paese leguleio come l’Italia non sembra appassionare.
La vera sfida, che il Ddl accetta per i prossimi anni, è contenere e ridurre il rischio clinico. Il rapporto “To err is human” del 1999 dell’autorevole Institute of Medicine che fu il punto di partenza di un vero e proprio movimento internazionale per migliorare i livelli di sicurezza delle cure, partiva proprio dalla constatazione, portando i risultati di importanti ricerche, che la medicina non è una scienza esatta, i medici non sono infallibili (errare è umano) e l’organizzazione è spesso causa di eventi avversi. I primi cinque articoli del Ddl stabiliscono alcuni principi importanti per l’organizzazione delle attività per la sicurezza del paziente in sanità, includendo nella versione approvata dalla Commissione Igiene e Sanità anche le strutture socio-sanitarie. Sempre nei primi articoli sono attribuite alle Regioni funzioni di coordinamento con la costituzione dei Centri per la gestione del rischio, e promosse raccomandazioni per il controllo e contenimento del rischio (buone pratiche clinico assistenziali e raccomandazioni).
Ma anche l’articolo 16 del Ddl è di fondamentale importanza tutelando la documentazione prodotta dai sistemi di segnalazione e apprendimento dall’uso a fini giudiziari, seguendo le indicazioni del Consiglio d’Europa e dell’Organizzazione mondiale della Sanità. Dobbiamo veramente augurarci che non subisca modifiche, con il pericolo che sia invalidato uno degli strumenti considerati oggi più importanti per la sicurezza delle cure. Se gli operatori sanitari non potranno più segnalare e analizzare gli eventi avversi per il timore delle conseguenze giudiziarie, la qualità e scurezza delle cure non potrà che peggiorare.
I dati parlano chiaro: secondo l’Organizzazione mondiale della Sanità (2016), circa 1000 persone su 10.000 che entrano in ospedale (10%) vanno incontro a un evento avverso, prevenibile nella metà dei casi. Non si tratta ovviamente sempre di casi che configurano una responsabilità professionale, ma sicuramente di eventi conseguenti a criticità sulle quali si sarebbe potuto intervenire se alcune pratiche della sicurezza fossero state applicate. Secondo i dati sulla sinistrosità delle regioni, circa 10 pazienti su 10.000 chiedono un risarcimento (0,1%) per lesioni personali o morte ma solo la metà (circa solo 5 su 10.000 ricoverati) l’otterranno (0,05%) (dato Grc 2015).
Il contenzioso penale, riferito a malpractice (vere o presunte), ammonta nelle nostre Regioni a un numero veramente limitato di casi, in Toscana (dato Centro Grc) meno di 30 casi l’anno che si concluderanno nella quasi totalità con l’assoluzione o archiviazione dei professionisti coinvolti. Anche la stessa Corte dei conti è intervenuta di rado, sempre in Toscana. Si tratta di numeri in dieci anni veramente piccoli. Nonostante ciò la questione che appassiona di più in Italia pare essere il contenzioso e i convegni sulla responsabilità professionale si sprecano. Credo che siamo di fronte a una paura dalle chiare implicazioni psicologiche. Spesso storie rare e incredibili di malpractice sono riportate come se fossero la norma nei nostri ospedali, aumentando l’ansia e soprattutto la medicina difensiva. La stampa fa eco. In tre giorni di un meeting a Firenze tenuto dall’Oms per definire le strategie sulla sicurezza del paziente per i prossimi anni, i termini contenzioso, risarcimento non sono mai stati usati. L’interesse dei maggiori esperti al mondo di qualità e sicurezza delle cure era come evitare di causare danni ai pazienti e dare lavoro ad avvocati, magistrati e assicuratori. Da noi è avvenuto il contrario, tant’è vero che la legge in prima stesura era stata intitolata «disposizioni in materia di responsabilità professionale». Grazie a un emendamento di una senatrice toscana è stato cambiato, riportando la questione sul giusto binario.
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