In parlamento
Riforma Madia, con il via libera del Senato arriva l’«albo nazionale» dei dirigenti sanitari
di Ernesto Diffidenti
Il Senato ha approvato con 144 voti a favore il ddl per il riordino della Pubblica amministrazione. Le opposizioni non hanno partecipato al voto. Il provvedimento, dopo un lungo iter e mille ostacoli, passa ora all’esame della Camera. Soddisfatto il ministro Marianna Madia secondo cui l’approvazione della delega Pa da parte del Senato è «un primo passo verso una pubblica amministrazione più semplice e vicina ai cittadini. Una riforma
per 60 milioni di residenti. Vado alla Camera con l’intento di migliorare ancora il provvedimento».
Soddisfatta anche la ministra della Salute, Beatrice Lorenzin che sul suo profilo Twitter scrive: « Rivoluzione in #Sanità. Manager nominati per capacità e merito
#lavoltabuona». In effetti una delle ultime novità sulla dirigenza pubblica approvate ieri, dopo diversi restyling, dall’Aula del Senato che ha dato l’ok, con più di un ritocco, a tutti gli articoli della delega Pa prevede, tra l’altro, incarichi della durata quadriennale e prorogabili di due anni «per una sola volta».
Selezione ed albo nazionale: così prevale la meritocrazia
Per diventare direttore generale di una azienda sanitaria, inoltre, secondo le norme volute proprio dalla Lorenzin, occorrerà superare una concorso nazionale. La selezione avverrà per titoli di studio, scientifici e di carriera, dinanzi ad una commissione nazionale di esperti. I soggetti selezionati, se in possesso dei necessari titoli di onorabilità, potranno iscriversi ad un elenco tenuto presso il ministero della Salute, aggiornato con cadenza biennale e previa nuova selezione. Potrà essere nominato direttore generale soltanto chi, avendo superato la selezione, è iscritto in tale elenco. «Si realizza cosi - commenta il ministro - una vera e propria rivoluzione per la sanità italiana».
Senza risultati scatta la decadenza
Nel caso in cui il direttore generale non raggiunga gli obiettivi prefissati sia economico finanziari, sia con riferimento ai Livelli essenziali di assistenza e al programma valutazione esiti, o incorra in fatti di mala gestio, sarà soggetto alla decadenza automatica dall'incarico e il suo nominativo verrà cancellato dall'elenco nazionale. Non sarà pertanto più nominabile presso alcuna azienda sanitaria, fatto salvo il superamento di un nuovo concorso.
«Sulla scorta di esperienze passate e di quanto verificato dall'inizio del mio mandato – spiega Lorenzin - ho sempre sostenuto che la sanità funziona dove ci sono bravi manager. Sono loro a rendere efficienti o meno le aziende sanitarie. Non è un caso che registriamo costantemente l'apparente paradosso di una sanità che funziona peggio li dove costa di più. E' per questo che ho voluto un albo nazionale, con regole d'ingresso precise e trasparenti, dal quale potere valutare i migliori, dare alle Regioni la possibilità di scegliere tra chi ha un elevato profilo. A questi manager dovranno essere affidati obiettivi alti. Se non li raggiungono vengono depennati, vanno a casa».
La rivoluzione arriva anche per direttori sanitari e amministrativi
Anche per questi la nomina sarà possibile soltanto all'esito di un una selezione per titoli di studio, scientifici e di carriera su base regionale e previa iscrizione in un apposito albo. Se il direttore sanitario o amministrativo non raggiungerà gli obiettivi contrattuali prefissati ovvero incorrerà in fatti di mala gestio anche per lui scatterà la decadenza automatica dall'incarico e la cancellazione dall’albo.
Sindacati sul piede di guerra
Il provvedimento sulla Pa approvato da Palazzo Madama, invece, è bocciato dai sindacati. Rossana Dettori, Giovanni Faverin, Giovanni Torluccio e Benedetto Attili (segretari generali di Fp-Cgil Cisl-Fp Uil-Fpl e Uil-Pa) parlano di una «staffetta truffa, dirigenti ricattabili e arretramento dal territorio. Ridicolo chiamare riforma un provvedimento che, ad ogni passaggio parlamentare, si fa più striminzito rispetto agli annunci e più dannoso rispetto agli effetti». Per i sindacati il provvedimento non è un passo avanti verso un’Italia più semplice quanto «un passo falso» sia perché non garantisce «la staffetta generazionale» sia perché «rende ricattabili i dirigenti che sono già licenziabili, ma un conto è licenziare chi non fa il suo lavoro, un altro è licenziare chi non è gradito alla politica».
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