Imprese e mercato
L'enigma dei prezzi dei farmaci: tempo di risolverlo con budget di spesa?
di Livio Garattini *, Bruno Finazzi *
24 Esclusivo per Sanità24
Un concetto basilare nell’ambito dell’economia è che un prezzo scaturisce dall’intersezione fra le curve di domanda e offerta in qualsiasi mercato aperto alla concorrenza. Tuttavia, vi sono mercati nei quali i consumatori non pagano i beni di tasca propria, come accade in sanità, e i farmaci rimborsabili con ricetta (c.d. farmaci etici) sono un ben noto esempio in tal senso. I farmaci etici sono in gran parte prescritti dai medici ai pazienti e finanziati tramite la spesa pubblica nei Paesi più sviluppati, come quelli dell’Europa occidentale, caratterizzati da sistemi consolidati di welfare. Di conseguenza, gli schemi di regolamentazione dei prezzi sono stati a lungo una strategia di politica sanitaria per il controllo della spesa farmaceutica pubblica. Dal lato dell’offerta, la negoziazione di prezzi elevati è considerata un fattore critico di successo in tutto il mondo per l’industria farmaceutica, oggigiorno prevalentemente multinazionale, cruciale per massimizzare i profitti e spingere verso l’alto il valore dei propri titoli in borsa.
In questa sede viene dapprima riassunto lo sviluppo storico della fissazione dei prezzi dei farmaci nei Paesi Europei occidentali, in seguito discussi i problemi principali attualmente dibattuti e infine ipotizzato uno scenario radicalmente alternativo, orientato al controllo complessivo della spesa farmaceutica.
La regolamentazione dei prezzi dei farmaci vanta una lunga tradizione nell’ambito dei Paesi Europei occidentali e nei decenni recenti sono state sperimentate varie soluzioni.
• Agli inizi, i prezzi nelle nazioni più grandi (come Francia, Italia e Spagna) venivano fissati in base alle principali voci di costo sostenute dall’industria farmaceutica (ricerca, produzione e commercializzazione). Questi schemi sono stati progressivamente abbandonati, soprattutto perché le stime nazionali di costo erano diventate troppo incerte con l’avvento delle multinazionali. La delocalizzazione e la globalizzazione sono anche le cause principali della crisi dello schema inglese, denominato fino al 2018 Pharmaceutical Price Regulation Scheme (PPRS), che (a dispetto dell’acronimo) interviene sui livelli nazionali di profitto di ogni azienda farmaceutica senza fissare i prezzi dei singoli farmaci.
• L’approccio del “prezzo di riferimento”, basato sul raggruppamento di farmaci simili, è stato introdotto in Germania nel corso degli anni novanta, successivamente adottato in Olanda e attualmente applicato in svariate forme in molti Paesi Europei (Italia inclusa). Tale approccio consiste nella fissazione dello stesso prezzo per il rimborso di prodotti considerati equivalenti dal punto di vista terapeutico, che viene calcolato sui prezzi nazionali e/o esteri dei prodotti già presenti sul mercato. Al di là della decisione (non sempre agevole) di dove “tirare la linea” di demarcazione di un gruppo di riferimento per principi attivi differenti, la strategia (condivisibile) di raggruppare i prodotti di efficacia simile sotto lo stesso prezzo soffre di due limiti oggettivi per un’applicazione generalizzata. Il primo è implicito nel concetto stesso, dal momento che richiede la disponibilità dei prezzi nazionali e/o esteri dei farmaci simili già in commercio; il secondo è una conseguenza concreta della scarsa trasparenza attuale di molti prezzi sia a livello nazionale che internazionale (vedi più sotto).
• Un terzo approccio (complementare ai precedenti) per fissare i prezzi dei farmaci nuovi è quello della “monetizzazione del valore aggiunto terapeutico” sulla base di modelli economici popolati da dati di efficacia di breve periodo e stime di costi di lungo periodo. Annunciato (ma poi non adottato) alcuni anni fa nel Regno Unito, tale approccio è una sorta di estensione dei criteri di rimborsabilità improntati alla valutazione multidisciplinare delle tecnologie sanitarie (Hta), con la variabile prezzo come incognita del modello economico. Risente quindi di tutti i limiti intrinseci del HTA, ulteriormente evidenziati dalla necessità di utilizzare molte stime e assunzioni incerte per i nuovi farmaci all’atto della loro prima commercializzazione; in definitiva, appare più un’arte che una scienza.
• Infine, le gare competitive sono un approccio molto diretto per cercare di sfruttare al massimo il potere d’acquisto delle autorità sanitarie. Recentemente estese in alcuni Paesi (ad es. Germania, Italia e Olanda) dai farmaci ospedalieri a quelli territoriali, le aste devono essere disegnate in modo tale da indurre una reale concorrenza sui prezzi. Di conseguenza, molte aziende devono essere messe nelle condizioni di partecipare alle aste e i lotti devono includere molti prodotti. Al di là del problema già menzionato per il prezzo di riferimento sul dove tracciare la linea dei farmaci simili, due ulteriori problematiche possono sorgere nell’utilizzo delle gare. Innanzitutto, poche grandi aziende possono decidere di tagliare drasticamente i propri prezzi, in modo tale da escludere a priori dal mercato la maggioranza dei concorrenti, così conseguendo una posizione dominante tale da consentire in prospettiva dei (re)incrementi dei prezzi nel lungo periodo. Inoltre, è molto probabile che le aziende non aggiudicatarie ricorrano a vie legali quando sono messi in gara grandi lotti e il fatturato in gioco è rilevante. Questo è anche il motivo per cui le aste pubbliche sono tuttora limitate principalmente ai farmaci a brevetto scaduto nella maggior parte dei Paesi europei.
Attualmente la tendenza dominante nella definizione dei prezzi in Europa è la negoziazione diretta con le aziende farmaceutiche. Molte autorità nazionali si sforzano di ottenere risparmi tramite limiti di prezzi, tetti di spesa, payback e sconti confidenziali. Alcune nazioni (ad esempio Belgio, Lussemburgo e Olanda) hanno anche cercato di aumentare il proprio potere di acquisto unendosi per negoziare prezzi più vantaggiosi con l’industria farmaceutica. Tutte queste strategie sono comunque onerose dal punto di vista amministrativo, con costi che paradossalmente possono arrivare a più che compensare i risparmi conseguiti. Inoltre, dal momento che qualsiasi negoziazione commerciale implica un certo livello di confidenzialità per essere efficace, mancano per definizione di trasparenza e risulta difficile valutare se le nazioni riescano a sfruttare al meglio il proprio potere di acquisto.
La spesa farmaceutica, come qualsiasi altro tipo di spesa, è il prodotto di due variabili: prezzi e volumi. Mentre oggigiorno questi ultimi sono più semplici da monitorare per le autorità sanitarie grazie ai moderni database, i primi sembrano essere sempre più fuori controllo in una situazione di fallimento del mercato come quello farmaceutico. I prezzi sono la variabile indicata per fare incrociare domanda e offerta solo quando c’è spazio per la concorrenza. Diversamente, quando i prezzi vengono fissati con decisioni (inevitabilmente) arbitrarie, il risultato finale è una distorsione di tutti i prezzi relativi dei vari prodotti e quindi un’allocazione irrazionale delle risorse finanziarie. È ciò che (purtroppo) accade attualmente in Europa per la spesa farmaceutica.
Dal lato della domanda, l’obiettivo principale delle autorità sanitarie nei Paesi sviluppati è l’accesso universale ai farmaci essenziali e possibilmente l’accesso immediato a quelli innovativi. Dal lato dell’offerta, l’obiettivo (scontato) dell’industria farmaceutica è quello di massimizzare i propri profitti tramite il fatturato, al fine di garantire ritorni elevati sugli investimenti. I sostenitori dell’industria farmaceutica sottolineano la necessità di ottenere prezzi elevati per supportare la consistente spesa in ricerca e sviluppo per i nuovi farmaci, Al contrario, i critici sostengono che gli attuali profitti sono troppo elevati e oramai ingiustificati anche nelle nazioni più ricche. In effetti, gli argomenti a favore dell’industria appaiono più difficilmente giustificabili alla luce del crescente passaggio da parte delle grandi aziende dallo sviluppo interno di nuovi farmaci all’acquisto di start-up. In ultima analisi, ciò trasferisce in modo significativo il rischio dell’innovazione dall’industria ai governi e agli investitori che supportano la ricerca di base.
I farmaci antitumorali possono essere considerati un esempio emblematico di prezzi oramai insostenibili. A causa delle reazioni emotive indotte dalle diagnosi di neoplasie nella popolazione, le autorità sanitarie faticano a resistere alle richieste di rimborsabilità di questi nuovi farmaci anche quando la loro efficacia incrementale è assai modesta. Così, le aziende farmaceutiche hanno un incentivo evidente a investire in questo settore e le autorità sanitarie spendono una quota sempre crescente di spesa farmaceutica in trattamenti di fine vita molto costosi. La strategia di marketing attualmente più diffusa per il lancio dei farmaci antiblastici è quella di posizionarli negli ultimi stadi delle neoplasie, investendo in trials poco ambiziosi e assai brevi, per poi estendere le indicazioni agli stadi pregressi. Inoltre, visto che queste terapie sono spesso più efficaci in combinazione, la maggior parte dei nuovi farmaci inducono un costo incrementale molto elevato.
Alla luce di quanto fin qui esposto, ipotizziamo uno scenario radicalmente diverso per risolvere la problematica dei prezzi dei farmaci nei Paesi europei, mirato a ristabilire un equilibrio accettabile fra interessi pubblici e privati. Crediamo infatti che la politica farmaceutica necessiti di cambiamenti drastici fin dall’inizio del ciclo di vita dei prodotti. Innanzitutto, i compiti regolatori dell’Agenzia Europea dei Farmaci (Ema) dovrebbero essere estesi ben al di là di quelli attuali, limitati alla valutazione preliminare di efficacia e sicurezza dei nuovi farmaci, ampliandoli al loro valore aggiunto terapeutico rispetto a quelli già esistenti prima dell’autorizzazione di mercato, così contribuendo a rendere le politiche nazionali di rimborsabilità più razionali e omogenee.
Dopo avere deciso quali farmaci siano rimborsabili sulla base della loro efficacia assoluta e relativa, la definizione dei prezzi potrebbe essere drasticamente semplificata a livello nazionale, calcolando dei costi unitari per tutti i farmaci prescritti attraverso un processo riassumibile in quattro fasi.
1.I farmaci rimborsabili potrebbero essere riclassificati in un numero limitato di classi terapeutiche in base alle loro indicazioni e il primo anno la sommatoria dei budget di ciascuna classe terapeutica potrebbe coincidere con la spesa farmaceutica totale dell’anno precedente, onde evitare qualsiasi shock finanziario iniziale.
2.Negli anni successivi cambiamenti ai budget per classe terapeutica potrebbero essere apportati sulla base di variazioni generali a livello economico (e.g. tassi di inflazione/deflazione) o specifiche in ambito epidemiologico.
3.I farmaci rimborsabili potrebbero essere ulteriormente classificati in relazione alla protezione brevettuale (a brevetto scaduto e non), per differenziare in qualche misura i valori dei costi unitari rimborsati nell'ambito di ciascuna classe terapeutica (più bassi per i primi e più alti per i secondi).
4.Le autorità nazionali potrebbero rimborsare alle aziende farmaceutiche i costi medi unitari delle dosi prescritte per classe terapeutica, calcolati come rapporto fra i budget annuali e le DDD (Defined Daily Doses) dell’anno precedente per ciascuna classe; al fine di rispettare i budget iniziali, tali costi unitari dovrebbero essere modificati nel corso dell’anno qualora i volumi per classe terapeutica variassero in modo significativo rispetto a quelli dell’anno precedente.
Concludendo, la definizione dei prezzi dei farmaci è diventata una sfida sempre più complessa anche nei Paesi europei a reddito elevato. Mentre l’industria farmaceutica è sempre efficiente nell’adattarsi rapidamente a nuovi scenari di mercato, le autorità sanitarie incontrano ancora difficoltà a svolgere in modo efficace il proprio ruolo di “terzi paganti”. Diversamente da altri autori, riteniamo che strategie comunque ragionevoli come i prezzi di riferimento e le gare di acquisto non siano più sufficienti per invertire la tendenza in atto, mentre strategie più recenti (quali la definizione di prezzi basati sul valore aggiunto terapeutico e gli accordi basati sui risultati clinici) hanno già dimostrato tutti i loro limiti intrinseci. In ultima analisi, siccome la piena trasparenza dei costi dei farmaci non è perseguibile e quella dei prezzi è di per sé irrilevante, siamo convinti che, per ristabilire il fragile equilibrio fra gli obiettivi pubblici delle autorità sanitarie e gli incentivi privati dell’industria farmaceutica, l’enigma della fissazione dei prezzi vada urgentemente risolto con soluzioni radicali, ma anche sensate e di facile gestione. Assumendo che tutti i farmaci rimborsabili siano parimenti essenziali per la salute della popolazione, perché non concentrarsi sulla fissazione di budget razionali al posto di insistere con quella di prezzi irrazionali?
* Istituto Mario Negri Irccs
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