Imprese e mercato

Coronavirus/ Dopo il Covid-19: spunti per ripensare il procurement sanitario in ottica strategica

di Veronica Vecchi * e Niccolò Cusumano *

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24 Esclusivo per Sanità24

Gli approvvigionamenti del servizio sanitario nazionale (Ssn) rappresentano uno dei punti cruciali per far fronte all’epidemia. La spesa sanitaria procapite nel periodo 2010-2017 è rimasta pressoché stabile, con un tasso di crescita medio annuo reale dello 0,1% (Rapporto Oasi 2019). La centralizzazione degli acquisti ha rappresentato una delle leve utilizzate per il contenimento della spesa. L’aggregazione della domanda avrebbe dovuto garantire, infatti, un aumento del potere di acquisto nei confronti del mercato e quindi migliori condizioni di fornitura. Questa logica, in tempi “normali”, ha sicuramente contribuito a generare una pressione al ribasso nei prezzi di aggiudicazione, e nel corso di un’emergenza ci si sarebbe aspettati potesse garantire una migliore continuità di approvvigionamento. Questo, tuttavia non sempre sta accadendo.
Le ragioni sono da un lato sicuramente di “mercato”. In un momento in cui tutti i paesi stanno facendo contemporaneamente una corsa agli approvvigionamenti e dopo lo shock produttivo generato dal fermo cinese, alcuni beni scarseggiano. Dall’altro, probabilmente, una governance non lineare e anni di mancati investimenti nella capacità amministrativa del pubblico compromettono gli sforzi in atto.
Per quel che concerne il secondo aspetto in Italia abbiamo un’organizzazione degli acquisti basata su reti regionali, che fanno perno sui soggetti aggregatori/centrali di committenza, a cui si affianca, sul piano nazionale, Consip. Nel contesto emergenziale, con la Direttiva 4 marzo 2020 della protezione civile, si deduce che le regioni, in quanto soggetti attuatori, organizzano le «azioni volte ad assicurare la continuità della fornitura dei beni di prima necessità nelle aree interessate», mentre la Protezione civile stessa acquista «materiali utili a fronteggiare l'emergenza, in supporto alle Regioni». Il 2 marzo, in seguito a un’altra ordinanza, Consip si affianca alle regioni quale soggetto attuatore. A questi si aggiunge in commissario straordinario previsto dal DL 18 marzo con il compito (art. 122 c.1) di individuare i fabbisogni, e procedere all'acquisizione e alla distribuzione di farmaci, delle apparecchiature e dei dispositivi medici e di protezione individuale.
Il problema della governance degli acquisti centralizzati, in realtà affonda le sue radici nel tempo. Il processo di centralizzazione degli acquisti non è stato, infatti, accompagnato, in molte realtà, da un adeguato ripensamento dei modelli di coordinamento istituzionale e organizzativi, prima di tutto l’investimento in risorse umane e in sistemi di raccolta strutturata dei fabbisogni e monitoraggio dei contratti.
È indubbio che anche le più sofisticate strutture amministrative sarebbero state colte alla sprovvista dall’emergenza. Tuttavia, questa emergenza ha fatto emergere in modo chiaro che gli acquisti sanitari devono essere gestiti in modo più strategico e che la centralizzazione non deve essere più considerata uno strumento per fare spending review, ma, piuttosto, uno strumento strategico anche in chiave di politica industriale. In questo senso ci si collega al primo aspetto, quello del mercato.
Il tema è certamente complesso da analizzare e in questo momento non possono essere azzardate conclusioni o raccomandazioni definitive che dovranno essere, invece, oggetto di studi in ambito accademico e riflessioni in ambito istituzionale sia a livello regionale, sia a livello nazionale, in primis sul tavolo dei soggetti aggregatori. Tuttavia, è utile avviare alcune riflessioni con alcuni stakeholder del sistema, in linea con quanto fatto qualche settimana fa (Coronavirus: dietro le quinte esiste una macchina pubblico-privato degli acquisti).
Luigi Mazzei, Country Director presso Edwards Lifesciences, società aderente all’Osservatorio Masan di SDA Bocconi/Cergas, commentando sul tema, ha messo in evidenza due questioni rilevanti su cui riflettere. Da un lato il fatto che la centralizzazione degli acquisti sia stata una occasione mancata per avviare un processo di procurement strategico. La centralizzazione ha creato delle super strutture di acquisto, in grado di aggregare svariati miliardi di acquistato (complessivamente nel 2019 la spesa per l’acquisto di beni e servizi ammontava a circa 28 miliardi di euro), che avrebbero potuto non solo razionalizzare gli acquisti ma anche diventare un volano di innovazione (come buyer sofisticati) e uno strumento per alimentare una industria italiana del biomedicale, capace di essere competitiva a livello internazionale. Ormai è evidente a tutti che dietro la capacità di innovazione e di competitività internazionale delle imprese vi è uno stato non solo regolatore ma anche cliente (Mazzucato 2014).
Dall’altro, Mazzei evidenzia il fatto che la competizione basata sul prezzo e quindi l’utilizzo del procurement come mero strumento di spending review di breve termine ha esacerbato l’ottimizzazione dei costi a scapito di strategie risk-adjusted, che hanno portato a una concentrazione produttiva, per esempio in Cina. Prodotti più onerosi perché prodotti in Europa o comunque da parte di aziende che hanno attuato una diversificazione di produzione venivano sistematicamente scartati fino a quando, durante l’emergenza Covid in Cina, quando la catena di fornitura è andata in crisi, sono stati urgentemente richiesti da alcune centrali. Pertanto, l’auspicio è che questa emergenza possa aprire la strada per un public procurement 2.0, in cui i tempi di aggiudicazione siano più rapidi (oggi i tempi delle gare sono mediamente nell’ordine di un anno e talvolta arrivano anche a due anni, complici anche i numerosi ricorsi fatti dal mercato); si sappia meglio interiorizzare la dimensione del rischio nei capitolati di gara e nei criteri di valutazione delle offerte, sia sul piano tecnico che economico e si avviino progettualità innovative basate sulla collaborazione pubblico privata, come nel campo della telemedicina, che in queste settimane avrebbe consentito un maggior presidio dei pazienti cronici costretti a casa.
Infine, seppur gli acquisti in emergenza godano di ampie deroghe anche sulla base dell’ordinanza 3 febbraio della protezione civile (per certi versi ridondante rispetto a quanto già consentito dal Codice dei Contratti stesso), permane ancora un atteggiamento spesso burocratico, volto più alla minimizzazione del rischio per la stazione appaltante e alla compliance fine a se stessa, anziché di raggiungimento del risultato. È auspicabile, tornati alla normalità, che si avvii un confronto serio per valutare l’efficacia del sistema di controlli non solo in chiave anticorruttiva, ma di un’effettiva responsabilizzazione delle amministrazioni verso i risultati, individuando spazi di confronto con il mercato e tutelando quei buyer che si assumono “rischi” di innovazione, anche nei processi di fornitura e non solo di prodotto/servizio.
La necessità di avere una produzione nazionale o comunque europea è stata esaltata dall’emergenza, che ha messo anche in evidenza una straordinaria capacità di reazione del tessuto produttivo italiano. Si pensi all’azienda Intersurgical di Mirandola che con il supporto della Siare, ha velocemente messo i produzione il ventilatore doppio ideato da due medici italiani. Oppure alla straordinaria storia di Flow-Meter di Levate (Bergamo) che, grazie a capacità produttiva e relazioni con i suoi fornitori, tra cui Air Liquide, azienda che aderisce all’Osservatorio Masan, ha incrementato la produzione di impianti ad ossigeno (flussimetri per caschi) e ha supportato l’espansione delle terapie intensive e l’equipaggiamento degli ospedali da campo. Sono storie che evidenziano come la relazione utilizzatore (medico) e aziende di produzione porti a co-innovation, che dovrebbe essere, tra l’altro, il ruolo propulsivo di un buyer pubblico sofisticato, tanto più quando agisce a livello regionale, e non solo in momenti di crisi.
Spunti di riflessione interessanti sul tema arrivano da Fabrizio Redaelli, Global Portfolio Manager di GE Healthcare, anch’ essa parte dell’Osservatorio Masan, esperto del settore dei dispositivi di terapia intensiva e impegnato a livello globale nel loro sviluppo e distribuzione anche per far fronte alle emergenze sanitarie. La continua compressione dei costi di fornitura, dettata da vari fattori, ha imposto una produzione sempre più on-demand, che mal si concilia con la necessità di far fronte a emergenze sanitarie, che seppur improvvise, grazie anche alla sensibilità di manager con una significativa esperienza sul campo e quindi un gut feeling a volte molto utile per interpretare dati e analisi statistiche, potevano essere anticipate, evitando quindi corse contro il tempo per assicurare i necessari approvvigionamenti agli stati più colpiti.
Sul piano degli approvvigionamenti, Redaelli richiama l’attenzione su un tema molto rilevante: ovvero chi deve acquistare in situazioni di emergenza globale di questo tipo. E’ indubbio che per multinazionali che ricevono ordini da ogni parte del mondo è preferibile interfacciarsi con un acquirente per paese, o addirittura per area geografica, come per esempio la Commissione Europea che ha lanciato qualche giorno fa un bando per l’acquisto di circa 14.000 ventilatori. Diversamente, si demanda alla multinazionale la definizione della lista di priorità, che, seppur non è il caso di GE, che è impegnata per missione aziendale a servire i paesi più critici come alta priorità, possono subire influenze da parte di governi nazionali o essere dettate da logiche di prezzo. L’auspicio di Redaelli, rispetto a come reimpostare il procurement sanitario, è la possibilità di valutare la qualità del fornitore durante il ciclo di vita del contratto, ovvero basare la scelta non solo sulle promesse fatte in sede di gara, ma anche rispetto alla perfomance passata, attraverso il cosiddetto vendor rating. L’esperienza e l’affidabilità sono fondamentali sia nell’ordinario sia in tempi di epidemia. In questi giorni stiamo assistendo a riconversioni temporanee delle produzioni, per garantire l’approvvigionamento di mascherine o disinfettanti. Tuttavia, è impensabile riconvertire la Rolls-Royce, come ha chiesto il governo inglese, per la produzione di ventilatori, che sono sistemi sofisticati che richiedono processi lunghi di validazione e verifica. Piuttosto, vanno ripensate le relazioni pubblico-privato per affrontare al meglio l’emergenza. Ma questo implica non strozzare i fornitori e incentivarli a definire sistemi di produzione e di supply chain adeguati a far fronte a emergenze di scala più o meno grande.
In questa corsa globale all’approvvigionamento, pur nella grande difficoltà, l’Italia è arrivata prima e questo ha consentito di avere accesso prioritario alle forniture, come ha evidenziato Daniela Delledonne, amministratore delegato di Becton Dickinson (BD) Italia, anch’essa azienda parte dell’Osservatorio Masan, che si è aggiudicata qualche giorno fa la fornitura di 5000 pompe a infusione nell’ambito della gara Consip, su coordinamento della Protezione Civile, che nel giro di pochissimi giorni sono state inviate a Roma. Anche Delledonne evidenzia la necessità in queste circostanze di avere un unico acquirente nazionale e una supply chain efficiente che, grazie allo stretto dialogo tra protezione civile e regioni, possa assicurare l’invio dei materiali in modo coordinato laddove c’è la maggior esigenza. In una situazione di emergenza come quella in cui stiamo vivendo il coordinamento tra le centrali regionali di acquisto, Consip e Protezione Civile diventa un requisito fondamentale per non creare inefficienza e disordine sul fronte della fornitura e sottoporre a ulteriore stress l’intera filiera. Alla luce di questo, sarebbe auspicabile un coinvolgimento delle centrali di committenza e soggetti aggregatori nella raccolta della domanda e nella gestione della supply chain locale. La raccolta e sistematizzazione del fabbisogno è elemento fondamentale nel processo di acquisto, sia nell’ordinario che nell’emergenza.
Delledonne, infatti, evidenzia, che soprattutto nell’emergenza, sarebbe necessario pensare alla fornitura in una logica “olistica”, ovvero non solo dei principali device per la terapia intensiva, ma anche di tutti i kit necessari al trattamento dei pazienti. Anche Delledonne, rispetto al futuro degli acquisti terminata la fase dell’emergenza, mette in evidenza la necessità di ripensare alla relazione pubblico-privata e la necessità per le centrali di committenza di guardare maggiormente all’affidabilità e alla reputazione dei fornitori. L’emergenza può offrire importanti dati che potrebbero essere utilizzati per avviare un sistema di vendor rating, come per esempio, in positivo, la messa a disposizione di formazione per utilizzare i dispositivi forniti (per esempio BD per assicurare una rapida risposta al fabbisogno ha fornito dispositivi marchio CE e dispositivi prodotti in US che funzionano in modo differente e che richiedono un breve training al personale medico e infermieristico) e i tempi di consegna; e in negativo, eventuali comportamenti di azzardo morale in fase di offerta, quando le basi d’asta sono più generose perché l’obiettivo è soddisfare il fabbisogno costi quel che costi.
Tra le locuzioni che più si leggono in questi giorni sulla stampa finanziaria vi è "lungo termine". C’è molta attesa nel capire come e se le politiche di sostenibilità delle imprese cambieranno per far fronte alla crisi globale post-Covid 19. L’auspicio è che la filantropia d’impresa, che in questi giorni ha fatto arrivare milioni di euro, almeno in Italia, a Regioni, ospedali, associazioni e protezione civile, non rappresenti solo un beau geste di corporate citizenship ma che sia uno dei vari pilastri su cui si deve reggere una responsabilità sociale strategica e di lungo periodo. Se gli investitori più lungimiranti premieranno queste imprese, l’impegno verso una sostenibilità di lungo termine e di capitalismo responsabile deve avvenire anche da parte della pubblica amministrazione, anche attraverso processi di procurement che finalmente stimolino gli operatori a essere partner affidabili nel lungo termine della PA, premiando coloro che sono in grado di generare più valore per la collettività, attraverso la produzione, la supply chain, la gestione del rischio e l’innovazione. Anche perché la complessità che i tempi futuri ci riserveranno impone un reale passaggio a modelli di network governance, in cui la PA è il coordinatore di una rete di attori e non mero erogatore, inviluppato in procedure burocratiche volte a tutelare la forma sulla sostanza. La grande lezione che il Covid-19 ha insegnato, si spera, almeno alla PA italiana, è che senza mercato non si può far fronte all’emergenza. Chiaro è che nessuno si tira indietro di fronte all’emergenza, ma in tempi di pace sarà necessario un forte ripensamento dei processi pubblici di acquisto per evitare che approcci di breve termine creino disastri regolatori e compromettano la capacità di ripresa del sistema e di risposta ai fabbisogni dei cittadini. Come cittadini è questo che dovremmo auspicare da parte dell’attuale e futura classe politica

* Sda Bocconi School of Management


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