Imprese e mercato
Janssen global: «La nuova cura è la prevenzione»
di Rosanna Magnano
Rispondere alle emergenze sanitarie ancora prive di soluzioni puntando sulla carta dei vaccini innovativi. Contro l’influenza, con un vaccino universale che entro dieci anni potrebbe coprire tutte le mutazioni genetiche del virus; contro importanti infezioni respiratorie che colpiscono soprattutto bambini e over 65, come il virus respiratorio sinciziale (che infetta 64 milioni di persone causando 3,4 mln di ricoveri), contro l’Hiv e contro l’Ebola, che in Africa ha contagiato oltre 28mila persone uccidendone più di 11mila. E con l’obiettivo generale di aggirare lo scoglio della antibiotico resistenza. Sono questi gli assi nella manica nel settore prevenzione dell’azienda farmaceutica Janssen, del gruppo americano Johnson&Johnson, presente anche in Italia con le due sedi di Cologno Monzese (Milano) e di Borgo San Michele (Latina) dove sorge un sito produttivo d’avanguardia, con un sistema 4.0 di automazione industriale robotizzata. Il punto sulle novità in cantiere è stato fatto ieri nel corso di un convegno al Leiden Bio Science Park, in Olanda, dove hanno sede i tre centri Janssen - Biologics, Prevention e Vaccines - che stanno conducendo 56 trial clinici con un investimento di 318 mln di euro.
«La popolazione globale aumenta e invecchia - spiega Johan Van Hoof, general manager di Janssen Vaccines and Prevention - e aumentando la domanda di cure, l’enfasi sulle terapie piuttosto che sulla prevenzione diventerà sempre più insostenibile. Quindi il nostro obiettivo è intervenire prima che la malattia si manifesti, attraverso i vaccini. Mirando alle fasce di popolazione più esposte, ovvero i bambini e gli anziani. Una sfida anche culturale che implica una corretta informazione e il coinvolgimento del paziente, dal momento che dovrebbe decidere di sottoporsi a un trattamento quando è sano. Le epidemie che purtroppo si verificano quando si abbassa la guardia sulla prevenzione vaccinale sono occasioni per i governi per rafforzare la consapevolezza dell’importanza di questo strumento. Un’azione che va fatta a livello europeo con la certezza che c’è una chiara convenienza costi-benefici per gli Stati. Soprattutto per la fascia di popolazione più anziana, in cui malattie respiratorie e influenza hanno un impatto pesante in termini di ospedalizzazioni. La nostra sfida è di arrivare al vaccino universale per l’influenza, che contiamo di sviluppare in una decina d’anni e che consentirà di non reinvestire ogni anno energie e risorse per fronteggiare le nuove mutazioni del virus».
Un’attività di ricerca che comporta sempre più spesso partnership e alleanze. Come per l’Hiv, per cui Janssen ha in via di sviluppo due vaccini. « Il primo, in fase di studio avanzata, preventivo - spiega Maria Grazia Pau, senior director Area Malattie Infettive e Vaccini; Ricerca e sviluppo, Janssen Vaccines - mentre il secondo, agli esordi clinici, terapeutico. Si tratta di un programma, iniziato più di dieci anni fa, esempio di importanti partnership tra la nostra azienda e altri enti. La fase di discovery, ad esempio, è stata portata avanti in collaborazione con l'Università di Harvard a Boston. È grazie alla collaborazione con questi esperti che abbiamo pubblicato numerosi studi preclinici, ottenuto grant importanti e borse di studio pari a milioni di dollari. Siamo così riusciti a testare i prototipi dei vaccini sui modelli animali e poi sui volontari. In seguito, grazie a investimenti significativi della Janssen e contributi da parte di numerosi partner abbiamo potuto procedere con la fase di sviluppo clinico del vaccino preventivo».
Innovazione e investimenti
Il Gruppo Johnson&Johnson nel 2016 ha investito in ricerca il 13% del fatturato globale, pari a 9 miliardi di dollari.Una fetta che diventa del 20,8% per il giro d’affari pharma. Focus sull’innovazione che posiziona il gruppo nella top ten 2016 dell’Eu Industrial R&D Investment Scoreboard della Commissione europea.
Cinque le aree terapeutiche su cui si concentrano i ricercatori Janssen: malattie cardio-metaboliche, immunologia, malattie infettive, neuroscienze e onco ematologia. Aree che attraversano una fase di passaggio delicatissima, in cui l’industria sta cambiando il modello di business, «dal pharma 2.0 al pharma 3.0». Un ponte difficile da attraversare dalle vecchie «pillole» alle «soluzioni» più innovative e alla medicina personalizzata, con i costi della ricerca che lievitano e i prezzi pure, aumentando la pressione sui Sistemi sanitari nazionali e ponendo il problema dell’accesso alle terapie. «Noi crediamo che la soluzione sia in ogni caso l’innovazione - sottolinea Richard Mason, vertice di Johnson&Johnson innovation Emea - anche per risolvere il problema dell’accesso alle cure. Perché non va calcolato solo il costo del trattamento ma il costo complessivo della patologia, in termini di sofferenza e di perdite di produzione. Da un punto di vista sociale, costa di più non trattare certe malattie. La ricerca costa e l’unica via è puntare sulle partnership e la condivisione di expertise per evitare di inventare la ruota due volte».
Nel 2016 il gruppo ha totalizzato un fatturato complessivo di 71.9 miliardi di dollari, in crescita soprattutto con la farmaceutica in capo a Janssen, a quota 33,5 mld, che mette a segno l’aumento più rilevante, pari a +6,5%; in salita anche il segmento consumer con 13.3 mld di dollari (+1,5%). Stabili i dispositivi medici a 25.1 miliardi.
Medical device e la sfida della chirurgia digitale
Anche sul fronte dei medical device, con la Johnson &Johnson medical Ltd, l’investimento in ricerca è centrale. Nel 2016 la divisione ha destinato all’innovazione 1,54 miliardi di dollari, pari al 6,2% del fatturato di settore. Con una serie di aree prioritarie: cardiovascolare, chirurgia oncologica, obesità, osteoartrite, osteoporosi, oculistica, diabete, tecnologia stampa 3D, digital surgery.
Robotica, visualizzazione aumentata, strumentazione avanzata, analisi dei dati e connettività sono i cinque pilastri della chirurgia digitale, che ha importanti applicazioni in oncologia e salute degli occhi. Un modello che prevede un uso congiunto dell'informazione e della tecnologia per creare “informazioni azionabili” che possano aiutare i chirurghi ad ottenere risultati migliori, non solo meccanicamente ma anche cognitivamente. L'obiettivo è quello di consentire il miglioramento degli esiti e l'aumento dell'efficienza.
Anche qui le partnership e le acquisizioni mirate rappresentano la via maestra. «Un esempio è dato dalla nostra partnership con Verily (ex Google) ed Ethicon, una Società di Johnson & Johnson, su Verb Surgical - spiega Simon Sinclair, Chief medical officer dell’area Emea - che introduce la chirurgia digitale. Una tecnica che fa leva sul patrimonio della chirurgia aperta, laparoscopica e robot assistita per ispirare la progettazione e lo sviluppo dell’approccio chirurgico del futuro. J&J/Ethico si sta occupando dello sviluppo di tutti gli strumenti utilizzati sulla piattaforma mentre Verily opera sulla visualizzazione avanzata e sull'analisi dei dati».
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