Imprese e mercato
Il ddl concorrenza riprende il suo iter, le sfide che attendono le farmacie
di Federico Jorio (avvocato Ph.D.)
Il Ddl concorrenza riprende il cammino in Senato dopo l'approdo in Parlamento avvenuto oltre 22 mesi fa. E porterà una grossa novità nel sistema delle farmacie. Lo farà radicalmente, atteso che consentirà la titolarità delle medesime alle società di capitali. Una modifica epocale, seconda solo a quella che ha consentito nel 1991 l'ingresso delle società di persone, purché costituite tra farmacisti.
Con esso è stato fatto fronte al tentativo di liberalizzare i farmaci di fascia C con obbligo di ricetta medica, nel senso di renderli commerciabili al di fuori delle farmacie, rendendo così vana l'aspettativa di appropriarsi di un tale segmento da parte di chi ha interesse mercantile a promuovere tout court la vendita di medicinali (oggi da banco). Un’interdizione nei confronti delle istanze della grande distribuzione incurante della tutela della collettività rispetto al pericolo dell'uso smoderato dei farmaci. Quell'eccessivo ricorso che si fa ai medicinali, senza obbligo di ricetta medica, che ha fatto negli anni dell'Aspirina un campione assoluto delle cause delle lesioni gastriche.
Nell'ipotesi legislativa, al vaglio senatoriale, verrebbero sanciti tre importanti principi:
a) la titolarità delle farmacie verrebbero assunte anche da società di capitali (Srl, Spa e Sapa, a questo punto anche da Scarl);
b) la possibilità per ogni società di essere titolare di più esercizi, con la consequenziale espunzione dell'attuale limite fissato in quattro farmacie;
c) la previsione di un numero massimo di farmacie in una regione fissata nell'ordine del 20% del totale.
Vediamo di capire l'impatto che siffatte modifiche avranno sia in termini di tutela di un sistema che funziona che di accesso al mercato relativo.
Per intanto, il provvedimento - non facendo proprie le innaturali istanze di liberalizzazione dell'esercizio - conferma la salvaguardia della natura concessoria della farmacia che attribuisce la titolarità del servizio allo Stato (oggi alle Regioni). Un servizio che l'Autorità pubblica realizza attraverso le farmacie comunali e private: dignitosamente, ovunque e da oltre un secolo (bastino le farmacie comunali bolognesi, piuttosto che quelle toscane). Una caratteristica che impone la presenza di almeno una farmacia per ogni comune, ricorrendo in seconda battuta all'esercizio del relativo livello di assistenza in capo al privato-concessionario. Una prerogativa che rappresenta una certezza assistenziale reale, specie in quelle piccolissime realtà municipali, quasi sempre segnatamente montane. In quanto tale il legislatore si rende ulteriormente garante di un servizio pubblico che costituisce il fiore all'occhiello della sanità goduta, ritenuto indiscutibilmente tale anche al di fuori dei confini nazionali.
La soluzione societaria, peraltro aperta anche ai «laici», intendendo per tali anche la partecipazione societaria ai non farmacisti, offre una occasione sino ad oggi interdetta. Il riferimento va in relazione ai giovani farmacisti che - non in possesso dei mezzi finanziari sufficienti al rilievo di una farmacia, ma anche alla sua apertura a seguito di conseguimento della titolarità relativa a conclusione di concorsi pubblici che costa tanti quattrini - avranno così l'opportunità di mettersi insieme ad eventuali soci capitalisti e, quindi, di esercitare da “comproprietari” ciò che sarebbe altrimenti impossibile.
Un'altra opportunità, prodotta indirettamente dal provvedimento de quo, è quella di tutelare l'azienda-farmacia in quanto tale, in un mercato che ne sta espellendo ogni anno a decine (con il verosimile rischio che diventino centinaia), quelle divenute più deboli a seguito di cattive gestioni ma anche quelle che non hanno saputo reggere alla concorrenza, spesso praticata con metodologie non propriamente corrette.
Attraverso le società di capitale potranno, infatti, offrirsi alle farmacie sofferenti forme di tutela nei confronti dei frequentissimi default, per esempio attraverso nuovi investimenti ovvero impiego di capitale fresco indispensabili per superare, rispettivamente, la fase di predecozione e il rischio di fallimento, con tanti corvi al seguito che stanno facendo incetta soprattutto, nelle grandi città (Roma in primis), di aziende-farmacia attraverso aste, spesso a vantaggio dei “soliti noti”.
© RIPRODUZIONE RISERVATA