Imprese e mercato
Dolore benigno, Ims Health: «L’uso di oppioidi sale (+6,3%) ma l’Italia resta fanalino di coda»
di Rosanna Magnano
Italia in coda tra i Paesi top 5 europei per consumo di farmaci destinati al trattamento del dolore cronico benigno, che colpisce il 20% della popolazione e riguarda soprattutto artropatie e dorsopatie. E il trend dell'impiego di antidolorifici negli ultimi tre anni è in leggera flessione (-0,6%). L'unica classe terapeutica in crescita è quella degli oppioidi forti, che guadagnano terreno (+6,3% nel 2014-16 per le standard units e +6,5% sui fatturati) «a testimonianza del lento ma progressivo sdoganamento del loro utilizzo a scopo antalgico», ma la base di partenza resta ridotta in valore assoluto e l'Italia è l'ultimo Paese tra i top 5 per consumo e valore complessivo. Al primo posto per volumi si colloca il Regno Unito, seguito da Germania, Francia, Spagna. L'Italia resta invece terza per consumo di Fans. Sono questi alcuni dati sulla terapia del dolore benigno in Italia, Ue e Usa illustrati dall'ad di Ims Health Sergio Liberatore nel corso del recente appuntamento di Impact proactive a Firenze.
«Dalla Legge 38/2010 si registra un significativo aumento - spiega Liberatore - dei consumi degli oppioidi soprattutto forti, tuttavia la crescita ha rallentato negli ultimi tre anni. L'Italia resta agli ultimi posti in Europa nel trattamento del dolore e perdura un significativo ricorso ai Fans».
Rischio abusi e dipendenza: il caso Usa
Paure e pregiudizi legati all'uso degli oppioidi restano quindi ancora in parte ben radicati e il timore di fenomeni di abuso e dipendenza - negli States gli effetti collaterali legati a questi antidolorifici sono tra le prime cause di morte per farmaci - rischiano di frenare il cammino graduale verso un uso appropriato. «L'appropriatezza è dovuta - spiega l'ad Ims Health - ma va anche ricordato che negli Usa le modalità di prescrizione ed erogazione, oltre al livello dei consumi sono completamente diversi rispetto all'Italia». Il peso degli oppioidi forti negli Usa è infatti il doppio di quello Uk e le maglie sono decisamente più larghe: «Gli oppioidi negli Stati Uniti sono soggetti a obbligo di prescrizione - continua Liberatore - ma si possono trovare in tutti i drugstore e corner della grande distribuzione. Le ricette possono restare valide fino a sei mesi (in California), le prescrizioni in alcuni casi possono essere fatte anche da infermieri e solo in pochi Stati l'identità del paziente viene verificata».
Un quadro “liberista” che già dal 2013 i decisori politici stanno tentando di cambiare introducendo misure restrittive: «Programmi di controllo per combattere illegalità ed abuso - spiega Liberatore - sono stati ampiamente attivati anche grazie alla ricettazione elettronica e praticamente ovunque sono attivi programmi con vari livelli di condivisione fra stati e stakeholder (farmacisti, medici, enti governativi) e per il 2016 è stato stanziato un budget di 133 milioni di dollari per supportare attività di controllo e di formazione dei medici». Dal 2013 al 2015 negli Usa si è infatti registrato il primo calo di prescrizioni pro capite negli utlimi 20 anni (-22%) ma le vendite a volumi sono diminuite solo del 7 per cento.
Oppioidi in corsia
ma non sul territorio
Al di là del caso americano, l'Italia resta indietro e sul territorio il consumo di oppioidi è decisamente limitato. Tra i top 5 più Usa, in Italia Ims Health rileva infatti la maggiore concentrazione distributiva ospedaliera (22,7% contro il 77,3% del canale retail). «Un dato che potrebbe essere spiegato da una perdurante diffidenza nell'utilizzo di tali farmaci nel trattamento del dolore cronico non oncologico. I Fans invece hanno una maggiore distribuzione territoriale in tutti i paesi in analisi, l'Italia è seconda solo alla Spagna».
Uno stretto controllo ospedaliero, quindi, che lascia pensare a un uso prevalentemente post operatorio degli oppioidi. «Ciò da un lato previene gli abusi - spiega l'ad Ims Health - ma potrebbe alimentare la tendenza, da parte dai pazienti non ospedalizzati, all'autoprescrizione e all'autogestione di antinfiammatori, con una possibile sottostima degli effetti collaterali».
Diclofenac, Ibuprofene e Paracetamolo sono i tre principi attivi che, tra i farmaci di automedicazione, hanno registrato la più alta spesa nell'ultimo anno mobile (171, 130 e 80 milioni di euro). E da una ricerca Fimmg risulta che i Fans sono gli antidolorifici più prescritti (41%) in caso di dolore cronico benigno mentre si ricorre agli oppioidi solo nel 19% dei casi. I segnali di cambiamento tuttavia non mancano: «Negli ultimi anni - conclude Liberatore - restando preponderante la scelta del Fans, si sono manifestati i segnali di una maggiore apertura alla prescrizione di oppioidi, anche per il trattamento di dolore non oncologico, sia da parte dello specialista, sia del Mmg».
© RIPRODUZIONE RISERVATA