Imprese e mercato
Malattie orfane, la carta del «drug repurposing»
di Maria Pia Abbracchio (presidente dell'Osservatorio per la ricerca di ateneo, professore ordinario di farmacologia Dipartimento di Scienze farmacologiche e biomolecolari)
“Riposizionamento” di farmaci già in commercio, o in disuso, per l'impiego in nuove malattie (in inglese, “ drug repurposing”): ecco la nuova frontiera della ricerca medica traslazionale, per assicurare terapie a malattie ancora “orfane” preservando risorse e investimenti, e per ridurre drasticamente costi e tempi del processo di drug discovery.
Proprio nei giorni scorsi si è svolto a Napoli il 37simo Congresso Nazionale della Società Italiana di Farmacologia, al quale hanno partecipato più di 1.500 tra farmacologi italiani e stranieri interessati ai nuovi orizzonti della ricerca farmacologica, tra scienza ed etica. Durante il secondo giorno del convegno, è stato presentato un esempio significativo di “drug repurposing”. Nello studio, pubblicato poche ore prima sulla rivista Nature Communications, si dimostra che montelukast, farmaco già in commercio da anni per la cura dell'asma e caratterizzato da un alto profilo di sicurezza e bassa incidenza di effetti collaterali, è in grado di revertire l'invecchiamento cerebrale e la perdita delle funzioni cognitive in animali anziani, ai quali il farmaco è stato somministrato per 6 settimane a dosaggi compatibili con quelli già in uso nell'uomo.
Lo studio, che ha coinvolto diversi gruppi di ricerca in Europa - fra cui quello della sottoscritta all'Università Statale di Milano - e che è stato coordinato da Ludwig Aigner, professore di Medicina Molecolare Rigenerativa all'Università Medica Paracelsus di Salisburgo, apre prospettive concrete per la cura e prevenzione delle malattie neurodegenerative associate all'invecchiamento e caratterizzate da deterioramento cognitivo e, nei casi peggiori, demenza.
Già nei prossimi mesi verrà strutturato uno studio clinico ad hoc, nel quale le proprietà di montelukast saranno valutate in alcune popolazioni selezionate di soggetti con difetti cognitivi.
Da questo esempio emerge chiaramente uno dei vantaggi dell'approccio di repurposing: poter fronteggiare l'emergenza crescente di malattie neurodegenerative quali Parkinson e Alzheimer, che hanno costi sanitari, sociali ed economici enormi, usando molecole sicure poiché già ampiamente sperimentate nell'uomo.
Già negli anni scorsi si era scoperto quasi per caso che farmaci in uso per una malattia potevano efficacemente correggerne anche altre. Dei farmaci già utilizzati nell'uomo, conosciamo il profilo di sicurezza e tollerabilità, i percorsi e le trasformazioni che subiscono quando somministrati ai pazienti, e abbiamo casistiche molto ampie relative al loro impiego. Inoltre, l'approvazione della nuova indicazione terapeutica richiede costi più bassi rispetto allo sviluppo di una molecola nuova.
Casi precedenti di riposizionamento di successo includono gabapentin, farmaco inizialmente sviluppato come anti-convulsivante e poi dimostrato attivo anche nel dolore neuropatico; duloxetina, antidepressivo approvato per il trattamento della fibromialgia (dolore muscolare cronico diffuso); e, più recentemente, pioglitazone, farmaco antidiabetico, proposto per il riposizionamento per il trattamento della leucemia mieloide cronica, uno dei più diffusi e mortali cancri del sangue (studio pubblicato su Nature nello scorso settembre).
Condizione indispensabile per proporre il riposizionamento di un farmaco è la conoscenza dei meccanismi biologici e patogenetici alla base della malattia nella quale lo si vuole applicare, e dimostrare che il farmaco “vecchio” funziona in modelli sperimentali predittivi della nuova patologia. Un'ulteriore dimostrazione di come la ricerca di base davvero innovativa possa contribuire a migliorare le terapie per i pazienti.
Va detto che, in alcuni casi, è anche possibile fin da subito assumere il farmaco “off label”, cioè al di fuori delle indicazioni terapeutiche per le quali era stato originariamente approvato, saltando completamente tutte le fasi di validazione clinica (si veda oltre).
Tuttavia, questo uso ha significative implicazioni etiche, perché non si può stabilire a priori con sicurezza che un farmaco ben tollerato in una tipologia di pazienti lo sia anche in pazienti affetti da una malattia diversa. Inoltre, l'uso off label va adottato con cautela per non incoraggiare l'impiego non giustificato del farmaco, va effettuato secondo “scienza e coscienza” da parte del medico, informando opportunamente il paziente, ed è sottoposto a regolamentazione specifica.
Sviluppare una nuova medicina richiede mediamente 14 anni e costi elevatissimi (secondo l'Office of Health Economics inglese, anche più di 600-800 milioni di dollari) senza alcuna garanzia di successo, dato che circa il 90% dei farmaci cade durante le fasi di sviluppo clinico, che sono le più costose. Con il riposizionamento, tempi e costi si riducono significativamente.
Innanzitutto, i costi pre-clinici sono quasi azzerati. Poi, la cosiddetta fase clinica 1, quella in cui si saggia la sicurezza e tollerabilità nel volontario sano, non è necessaria, perché già disponibile dalla documentazione di registrazione originale del farmaco. Gli studi di fase clinica 2, finalizzati a verificare la sicurezza (e, in parte, l'efficacia) del farmaco nella popolazione di pazienti alla quale sarà somministrato, sono comunque facilitati, perché già conosciamo i dosaggi di farmaco da impiegare e i tempi di somministrazione. Infine, la fase clinica 3, che serve a confermare la sicurezza e l'efficacia del vecchio farmaco in una più ampia popolazione di pazienti, va comunque effettuata, ma il disegno dello studio clinico (e quindi il suo successo) è notevolmente avvantaggiato dall'ampia casistica di pazienti a cui il farmaco e' gia' stato prescritto nella sua storia precedente.
Il repurposing è quindi un modo importante per rivitalizzare farmaci già in uso o in disuso indirizzandoli verso nuove patalogie. L'approccio è già stato di successo e ci si aspetta un sempre maggiore impiego nel futuro.
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