Imprese e mercato

Imaging al banco del futuro, miliardi di megabyte al servizio della salute

di Federico Lega (Università Bocconi) e Claudio Caccia (presidente Aisist)

Probabilmente solo un esperto informatico sa cosa sia un petabyte. Tecnicamente un miliardo di megabyte. Sostanzialmente, una nuova unità di misura che sottolinea la crescente informatizzazione della vita moderna. E della sanità. In particolare delle immagini cliniche, le quali, stanti le possibilità offerte dalla nuova tecnologia, stanno crescendo in maniera significativa. Alcuni recenti studi riportano aumenti in 5 anni di oltre il 30% di immagini diagnostiche.

E del resto, quale album fotografico digitale personale non ha visto in questi anni una crescita esponenziale di immagini? Perché la sanità dovrebbe sottrarsi a questo fenomeno, quando le immagini sono una componente essenziale dei processi di prevenzione, diagnosi e cura? Questa “esplosione” di immagini offre quindi grandi potenzialità per la sanità moderna, ma al contempo pone delle sfide gestionali altrettanto importanti, che sono state oggetto di analisi di un recente workshop, tenutosi a Milano, dal titolo “Non c’è sanità senza immagini”.

Immaginiamo una sanità futura, e forse già presente per tanti versi, in cui parleremo in video telefonata con il medico curante, trasferiremo immagini sui telefoni cellulari e sui tablet, prenderemo foto (ad es. apps “Mowa” per ios/android) e le manderemo ad analizzare in laboratorio o dallo specialista, filmeremo i nostri bambini malati o li faremo osservare via video dal pediatra.

Una sanità in cui aumenteranno di molto le bio-immagini, che combineranno video, suoni, segnali vitali ecc. Una sanità in cui “ci auto-monitoreremo” i parametri di salute, e trasferiremo tutti i dati dove vorremo. Una sanità in cui potremmo disporre di un archivio di tutti i nostri dati clinici, immagini, bio-segnali, facilmente accessibili da ogni parte del mondo, strutturato in modo intelligente per permettere il recupero selezionato del dato clinico o dell’immagine desiderata o necessaria in quel momento. Cosa che tecnicamente consentono le piattaforme di servizi denominate Personal health record, che solo in minima parte sono riconducibili al fantomatico Fascicolo sanitario elettronico.

Una sanità in cui la condivisione di dati e immagini permetterà una maggiore e vera integrazione tra paziente e professionisti, tra medici curanti e specialisti, tra caregiver e medici. Il tutto basato su logiche di gestione delle patologie per “processo”, attraverso i percorsi diagnostico-terapeutici assistenziali a cui si collegano la rilevazione e il monitoraggio di dati e immagini, gestiti in modo proattivo dal cittadino o dal suo caregiver, favorendo la co-produzione e la co-gestione di un percorso di cura, frequentemente di tipo cronico, condiviso dallo stesso paziente e dal team multidisciplinare che dovrà “ruotare” intorno a lui.

Tutte queste possibilità e potenzialità rischiano però di essere vanificate senza un’opportuna strategia aziendale di sviluppo dei propri sistemi di gestione dell’imaging e delle bio-informazioni in generale. Le scelte di come costruire il sistema di archiviazione, di interrogazione per il recupero, di accessibilità e trasferibilità, sono scelte che seguono la visione su come si intendono organizzare i processi di cura e assistenza. Il sistema deve certamente garantire la sicurezza del dato, il rispetto della privacy, la certificazione del dato stesso, ma soprattutto deve garantirne la fruibilità di immagini e altre bio-informazioni in relazione alle necessità organizzative che l’azienda e il sistema sanitario mettono in evidenza. Come strutturare la raccolta delle immagini e informazioni, con quali elementi rendere “interrogabile” l’archivio, come renderne compatibile la trasferibilità e portabilità, come assicurare privacy e sicurezza, sono solo alcune delle domande fondamentali che sottostanno la definizione di un sistema che deve rispondere alle necessità strategiche poste dalle modalità con cui sono organizzati i processi di cura ed assistenziali, nonché quelli della ricerca. Necessità che ovviamente si collegano alla volontà di favorire un lavoro sempre più multidisciplinare, con accesso anche in remoto a competenze specialistiche, con circolazione delle bio-informazioni ed immagini per evitare ripetizioni inutili, costose e, in alcuni casi, persino dannose.

E dato che gli investimenti in sistemi di gestione delle immagini e bio-informazioni sono scelte significative e a bassa reversibilità per l’impegno economico e di risorse umane e tempo, è arrivato il momento per cui il sistema sanitario e le singole aziende affrontino con la dovuta attenzione e urgenza questo tema.

Una possibile risposta si basa sull’utilizzo di Vna (Vendor neutral archive) che consentono alle strutture sanitarie, pubbliche o private, la gestione complessiva di immagini e dati digitali, anche di tipologia eterogenea (come alternativa alla acquisizione di singoli specifici ma molteplici sistemi di gestione del dato clinico/multimedia-media specialistico), consentendo quindi economie e facilità gestionale, nonchè dalla contemporanea adozione di architetture - vedi modello dell’ecosistema E015 (vedi link ) - che facilitano l’interoperabilità di questi dati tra aziende, professionisti e cittadini.

Architetture di integrazione che grazie al potenziamento dei cosiddetti servizi di back-end (i dati che sono gestiti dalle strutture sanitarie) e di tutti i servizi infrastrutturali di cooperazione tra applicazioni digitali e di gestione del front end (per esempio, sul modello del nuovo sistema pubblico per l’identità digitale, Spid), se lasciate sviluppare con la produttività/fantasia/concorrenza del libero mercato, potrebbero consentire di rendere disponibili, in modo semplice, sostenibile e veloce, questi dati a tutti gli stakeholder interessati, cittadini compresi.

Federico Lega

© RIPRODUZIONE RISERVATA