Europa e mondo
Tubercolosi: in Europa 7mila morti in più durante la pandemia di Covid
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Nella regione europea dell’Oms in 3 anni di pandemia Covid (dal 2020 al 2022) si sono verificati quasi 7mila decessi in più per tubercolosi, rispetto a quanto gli esperti si aspettavano sulla base delle stime pre-2020. Questo aumento della mortalità è stato un risultato diretto della pandemia e non si sarebbe verificato se la diagnosi di Tbc e gli sforzi terapeutici per curarla non fossero stati interrotti durante la pandemia. A tratteggiare il quadro è l’Oms Europa nel report di sorveglianza e controllo della tubercolosi, realizzato in collaborazione con l’Ecdc (Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie), che viene pubblicato ogni anno in occasione della Giornata mondiale della Tbc che si celebra il 24 marzo.
“Il nostro ultimo rapporto rivela una situazione straziante e del tutto prevenibile - ha affermato Hans Henri P. Kluge, direttore dell’Ufficio regionale europeo dell’Organizzazione mondiale della sanità -: le persone affette da tubercolosi non sono state protette durante la pandemia e 7mila hanno perso la vita inutilmente a causa dell’interruzione dei servizi per la tubercolosi”. Il report evidenzia anche “un’altra tragedia in evoluzione e prevenibile: la prevalenza della tubercolosi resistente ai farmaci continua ad aumentare. Esortiamo le autorità nazionali a rafforzare i programmi di test per la tubercolosi, a diagnosticare tempestivamente e ad applicare le più recenti linee guida dell’Oms”.
Nel 2022, emerge dal rapporto, 38 dei 53 Stati membri dell’Oms Europa hanno segnalato un aumento delle notifiche di tubercolosi. Il numero totale complessivo ha raggiunto più di 170mila casi (da oltre 166mila casi nel 2021), di cui oltre 36mila sono stati segnalati nell’Unione europea/Spazio economico europeo (da oltre 33.500 nel 2021). Un dato che preoccupa è quello della Tbc resistente ai farmaci: “In media, solo 6 trattamenti su 10 che usano farmaci di prima linea hanno avuto successo nel curare l’infezione”. Si tratta dei “tassi più bassi degli ultimi 10 anni, che indicano possibili problemi rispetto al trattamento e probabili lacune nel monitoraggio dei risultati delle terapie”.
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