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Pubblicità sanitaria/ Bruxelles: troppi eccessi, la legge italiana non viola la concorrenza ma protegge i cittadini
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La pubblicità promozionale dei servizi e dei prodotti sanitari è vietata dalla legge quando inganna o suggestiona i pazienti e al contempo calpesta la dignità professionale dei medici. Lo dice la legge italiana (il comma 525 della L. 145 del 2018), lo ha ribadito in questi giorni il Commissario europeo al mercato interno, Thierry Breton, rispondendo per iscritto al quesito della deputata boema, Katerina Konecna. Questo parere mette la parola fine ai numerosi tentativi di smontare la legge italiana con la scusa della presunta violazione delle normative europee sul libero mercato. Una presa di posizione attesa, auspicata a condivisa dall’Ordine dei Medici e degli Odontoiatri di Milano (Omceomi) che da tempo aveva posto il problema a livello istituzionale.
“In Italia la questione assume una particolare rilevanza perché periodicamente assistiamo a tentativi di smontare il comma 525. In realtà, quanto prescritto dalla normativa italiana, che abbiamo fortemente contribuito a proporre, insieme alla Commissione Albo Odontoiatri (CAO) Nazionale e alle principali associazioni di categoria, Associazione Nazionale Dentisti Italiani (ANDI) in particolare, non ledono il diritto alla concorrenza e men che meno vietano la pubblicità sanitaria ma pongono solo dei limiti ben precisi alla pubblicità propagandistica, irrealistica e suggestiva”, spiega il presidente Omceomi Roberto Carlo Rossi, uno dei maggiori fautori del testo dell’emendamento presentato dall’On. Rossana Boldi all’interno della Legge di Bilancio 2018, diventato poi legge.
“Periodicamente – prosegue Andrea Senna, vicepresidente Omceomi - ci ritroviamo di fronte a emendamenti che cercano di eliminare questo divieto introdotto per evitare che il cittadino/paziente venga condizionato nella sua libera e ragionata scelta su ciò che è bene per la sua salute dalle logiche del libero mercato senza regole. Soprattutto in campo odontoiatrico – prosegue Senna – ben prima che entrasse in vigore la legge abbiamo assistito a forme di pubblicità improprie che proponevano messaggi commerciali stile discount, con sconti sulle prestazioni e offerte 3 x 2”.
Nel dettaglio, il Commissario Breton ha fissato i paletti delle legislazioni dei singoli Stati in materia di pubblicità promozionale. Anzitutto ha richiamato il principio di libera concorrenza con riferimento al giudizio della Corte di Giustizia, quando ha affermato che “un divieto nella legislazione nazionale di pubblicità promozionale restringe la libertà di fornire servizi” ma aggiunge che “può essere permesso solo laddove persegua un obiettivo di pubblico interesse, sia appropriato per l'ottenimento di quell’obiettivo e non vada oltre ciò che è necessario per ottenerlo”.
Ma allora, come si coniuga il diritto alla concorrenza con il pubblico interesse? Lo spiega sempre il Commissario Breton: la legislazione nazionale che vieta la pubblicità propagandistica, irrealistica e suggestiva in campo sanitario, autorizzando al contempo quella informativa è compatibile con il diritto comunitario proprio perché persegue un obiettivo generale di pubblico interesse, quale è la salute. Infatti, consentendo la pubblicità informativa a professionisti e studi medici non si configura “Un divieto assoluto e generale di ogni tipo di pubblicità, se di fatto non restringe la possibilità per le persone di portare avanti la loro attività, facendosi conoscere a potenziali nuovi clienti e promuovendo i servizi offerti”.
Il Commissario europeo, infine, si preoccupa di difendere il diritto alla salute dei pazienti e la dignità dei professionisti che esercitano la professione, secondo i principi della deontologia. “La pubblicità promozionale di prodotti sanitari che inganna i pazienti promuovendo trattamenti non adatti e o non necessari può mettere a rischio la protezione della salute e compromettere la dignità dei professionisti sanitari, obiettivi questi ultimi di pubblico interesse”.
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