Europa e mondo

Rapporto Alzheimer: l’85% delle persone con demenza rischia di non ricevere le cure adeguate dopo la diagnosi

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24 Esclusivo per Sanità24

L’85% degli oltre 55 milioni di persone che nel mondo vivono con una forma di demenza potrebbero non ricevere le cure adeguate dopo aver ricevuto la diagnosi. E' il drammatico dato che emerge dal Rapporto mondiale Alzheimer 2022, intitolato "La vita dopo la diagnosi: trattamento, cura e supporto", in occasione della Giornata dedicata all'Alzheimer che si celebra in tutto il mondo il 21 settembre. Il Rapporto, redatto in collaborazione con la McGill University di Montreal in Canada e presentato da Federazione Alzheimer Italia, rappresentante per il nostro Paese di ADI - Alzheimer’s Disease International, si concentra dunque sulla necessità di potenziare e rendere accessibili tutti quei servizi essenziali di trattamento, cura e supporto in grado di migliorare la qualità della vita delle persone con demenza, compresi i trattamenti farmacologici e non farmacologici, il caregiving, il supporto per le attività della vita quotidiana, l’assistenza domiciliare e tutte quelle attività di inclusione sociale.

"La diagnosi di demenza è, per chi la riceve e la sua famiglia, un momento estremamente drammatico - sottolinea Gabriella Porro, presidente di Federazione Alzheimer Italia - ma è fondamentale dire che la vita non finisce con quella diagnosi e non è la malattia a definire la persona anzi, è proprio da quel momento che deve necessariamente iniziare un percorso di cura e inclusione. Noi ci battiamo da anni perché ogni persona con demenza veda riconosciuti i propri diritti, primo tra tutti avere accesso a cure adeguate".

I dati sono allarmanti. Solo in Italia sono oltre 1.480mila le persone che vivono con la demenza. "Il nostro compito - aggiunge Porro - è sensibilizzare le Istituzioni sull’importanza di non lasciarle sole e intervenire tempestivamente con investimenti, progetti concreti e campagne di informazione rivolte ai cittadini".

Ma le cifre dei malati italiani - ricorda lo studio - sono destinate ad aumentare del 56% entro il 2050, quando saranno 2.316.951. Per far fronte a questa emergenza nel nostro Paese, la Federazione Alzheimer Italia sottolinea la necessità di avviare una serie di interventi urgenti e concreti, a partire dallo sviluppo di Piani regionali sulle demenze. Un altro intervento necessario è l’attivazione di Pdta (Percorsi diagnostici terapeutici assistenziali) con indicazioni chiare e uniformi, che integrino gli aspetti socio-sanitari e assistenziali con l’obiettivo di creare una rete di supporto efficiente (dal farmacista al terapista occupazionale, dal neurologo all'associazione di volontariato sul territorio al medico di medicina generale e alle Comunità Amiche).

Inoltre, la Federazione Alzheimer Italia auspica lo sviluppo di interventi di telemedicina che garantiscano alla persona con demenza continuità assistenziale; la stabilizzazione e l'implementazione da parte di tutte le Regioni dei flussi informativi centralizzati (dalle Regioni verso il ministero della Salute) sui dati epidemiologici e sugli accessi ai servizi per permettere una programmazione migliore degli interventi; il potenziamento degli strumenti di diagnosi precoce. "La pandemia e la conseguente pressione sui sistemi sanitari globali - sottolinea lo studio - ha ulteriormente esacerbato la capacità degli operatori sanitari di fornire un adeguato trattamento, assistenza e supporto post-diagnosi per le persone con demenza".

Una delle richieste di Alzheimer Disease International (Adi) è che l’assistenza post-diagnosi sia riconosciuta come un diritto umano, esortando i Governi di tutto il mondo a incorporarla. "Quando una persona riceve la diagnosi di tumore non viene messo in dubbio che abbia bisogno di cure - afferma Paola Barbarino, Ceo di Adi - allora perché spesso non vengono offerte cure adeguate alle persone che ricevono una diagnosi di demenza? Insieme al miglioramento della diagnosi precoce, la cura della demenza post-diagnosi deve essere riconosciuta come un diritto umano. Se è vero che non esiste ancora una terapia medica in grado di modificare la malattia, ci sono prove evidenti che dimostrano come trattamento, cura e supporto post-diagnosi adeguati migliorino significativamente la qualità della vita e la capacità di una vita autonoma di chi vive con questa malattia".



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