Europa e mondo
Primo report Oms Europa: «Non c’è salute pubblica senza la salute dei migranti. No alla detenzione».
di Barbara Gobbi
24 Esclusivo per Sanità24
«Oltre 50mila persone hanno perso la vita da inizio degli anni Duemila nel Mar Mediterraneo. Donne, giovani uomini, adolescenti e minori non accompagnati diventano moderni schiavi, con gravi ripercussioni fisiche e mentali”. Parole di fuoco, tanto più davanti alle ennesime tragedie del mare che in questi giorni riaccendono tristemente i riflettori sul “mare nostrum», con il naufragio di 117 persone e con i cento migranti alla deriva, respinti verso Tripoli.
Le parole di fuoco arrivano dall'Organizzazione mondiale per la sanità (Oms), il cui ufficio europeo ha presentato oggi a Ginevra il primo Report mai prodotto sulla salute dei rifugiati e dei migranti nella regione. Con un sottotitolo emblematico: “Non c'è salute pubblica se non c'è salute dei migranti”. E con un dato su tutti: migranti e rifugiati corrono maggiore rischio di sviluppare malattie della popolazione che li ospita.
I dati. «Il primo elemento che salta agli occhi è che non c'è nessuna evidenza di trasmissione di malattie infettive dai migranti alla popolazione residente. Il secondo è che invece l'impatto con stili di vita del tutto differenti aumenta in chi arriva sia il rischio di malattie croniche cardiovascolari, di cancro e di obesità sia l'insorgere di ansia e depressione. Il terzo è che non siamo affatto davanti a un'orda in arrivo, ma piuttosto in presenza di un fenomeno strutturale demografico, da gestire. E dobbiamo gestirlo al meglio, anche dal punto di vista sanitario». Santino Severoni, medico e responsabile per la Regione europea Oms del Programma di salute pubblica e immigrazione, manda inevitabilmente un messaggio politico: dei 920 milioni di persone che vivono nella Regione europea, si stima che circa il 10% siano migranti. Non un'orda quindi, ma una popolazione rispetto alla quale non ci si può voltare dall'altra parte.
Il Rapporto – sviluppato in collaborazione con l'Istituto nazionale per la salute, la migrazione e la povertà (Inmp) di Roma e basato su dati tratti da 13mila documenti - rileva che migranti e rifugiati corrono il rischio di ammalarsi mentre sono in transito o quando sono già arrivati nel Paese di approdo, a causa dei cambiamenti nelle condizioni di vita. E ribadisce che queste persone hanno pari diritti alla salute di qualunque altro essere umano, malgrado «nell'atmosfera febbrile che oggi caratterizza il continente i sistemi politici e sociali a fatica affrontino le sfide delle migrazioni in modo umano e positivo».
Le strategie. Quali raccomandazioni dare ai Paesi europei? La parola-chiave che sottende il Report è integrazione. Che dovrebbe passare per due canali prioritari: la prevenzione, a cominciare dai vaccini per i quali resta l’indicazione di una soglia di copertura al 95%, e la massima inclusione delle persone che arrivano nei servizi di assistenza già esistenti, a partire dalle cure primarie. «Troppo spesso – afferma Severoni – la gestione della prima fase è meramente amministrativa e questo determina un'esclusione dall'accesso alla sanità del Paese. L'Italia è stata una best practice: quando nel 2016 ha ricevuto circa mezzo milione di persone, ha messo in piedi in Sicilia un modello che prevede un doppio livello di screening, sia sulle navi che all'arrivo a terra con eventuale invio a strutture specializzate, se necessario. Questo per dire che lo screening, non imposto ma nel rispetto della persona, è comunque una delle vie da praticare». Poi però, dopo lo sbarco, c'è la vita quotidiana. E qui la raccomandazione che arriva dall'Oms è di potenziare i servizi sanitari, ma anche sociali, già esistenti. Ma servono medici, infermieri, mediatori culturali e in generale personale formato ad hoc, così come va garantito a migranti e rifugiati l'accesso ai farmaci essenziali.
La detenzione nuoce gravemente alla salute. Troppo spesso le strategie già messe in campo dai vari Stati rispondono più a esigenze di sicurezza che di tutela della salute. Tra queste, l'inserimento degli stranieri in piani anti-pandemia e le limitazioni alla mobilità per esigenze di riduzione del rischio. Per non parlare della detenzione: «Secondo le linee guida internazionali – spiega ancora Severoni – il ricorso a centri di detenzione di migranti dovrebbe essere l'ultima spiaggia. Eppure, e malgrado esistano valide alternative, è ampiamente praticato in tutta la Regione. Abbiamo evidenze certe, da anni, che la detenzione produce effetti negativi, a tutto tondo, in termini di esposizione delle persone che la subiscono sia a malattie infettive che a problemi di salute mentale. Nel frattempo le norme internazionali europee e il controllo delle frontiere istigano a una proliferazione incredibile di questi centri. Tutti i Paesi e anche l'Italia, che con la legge Basaglia è stata un modello nel proporre forme alternative alla contenzione in ambiti sensibili come la salute mentale, dovrebbero cambiare rotta. Ne va della salute dei migranti e in prospettiva delle società che li accolgono».
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