Europa e mondo
Salute mentale, se la Cina impara da Basaglia
di Silvia Jop (coordinatrice redazionale di lavoroculturale.org)
Oggi la Cina, compressa nel tentativo di trovare uno spazio per i diritti dei propri abitanti, privati della possibilità di essere tutelati da politiche sviluppate nel rispetto dei diritti umani, è attraversata da un’esperienza di riqualificazione della propria psichiatria e trova, nell’eredità dell’esperienza italiana, un importante punto di riferimento. All’Istituto italiano di cultura di Pechino, qualche giorno fa, in occasione della Giornata mondiale della Salute mentale, l’Associazione italiana Amici di Raoul Follereau (Aifo), CoperSaMM (Conferenza permanente per la salute mentale nel mondo), la Fondazione Franca e Franco Basaglia, in collaborazione con Solidarietà e Servizio, Aid and Service Association e l’Istituto di Salute Mentale dell’Università di Pechino/il Sesto Ospedale (Puimh), hanno organizzano tre giorni di incontri e eventi dedicati a salute mentale e buone pratiche.
L’organizzazione delle tre giornate rientra nel progetto “Rafforzare il ruolo e la capacità degli Attori Non Statali cinesi per garantire l’inclusione sociale delle persone con problemi di salute mentale”, finanziato dall’Ue, che Aifo - impegnata da sempre nella promozione e nel sostegno di attività rivolte alla tutela e al sostegno dei diritti umani - sta portando avanti in 4 distretti della Cina (Changchun, Tongling, Yanqing e Ha’rbin) per il triennio 2014- 2017. Il progetto, realizzato in collaborazione con l’Istituto di Salute mentale dell’Università di Pechino/Sesto Ospedale (Puimh), l’ong italiana Solidarietà e Servizio (SoliS), l’ong cinese Aid and Service (AS) e la Conferenza permanente per la salute mentale nel mondo Franco Basaglia (CoPerSaMM), consiste nella creazione di percorsi d’integrazione nella società delle persone con disagio psichico attraverso l’organizzazione di servizi di salute mentale di comunità facenti parte del sistema sanitario di base. Assieme a Giovanna Del Giudice, psichiatra, presidente di Con/F/Basaglia, che ha incontrato i rappresentanti dei quattro distretti coinvolti nel progetto, sono stati ospitati dall’Istituto italiano di cultura, diretto da Stefania Stafutti, Marco Turco, per la regia del film “C'era una volta la città dei matti”, Giovanni Piperno, per il documentario “Cimap! Cento italiani matti a Pechino” e Alberta Basaglia, per la presentazione del libro “Le nuvole di Picasso” (Feltrinelli 2014), che nei primi mesi del prossimo anno verrà pubblicato anche in Cina.
Il progetto promosso da Aifo si inserisce in un contesto, quello della psichiatria cinese, attraversato da una stagione di profondo cambiamento che consiste nel tentativo di creare servizi di salute mentale sul territorio, nonostante il persistere di un modello di gestione basato principalmente sull’esistenza degli ospedali psichiatrici. Dopo la fondazione della Repubblica Popolare Cinese, nel 1949, gli ospedali psichiatrici furono costruiti in ogni provincia. Il ruolo di queste strutture fu da subito quello di contribuire al mantenimento dell’ordine e della sicurezza nazionale. L’orientamento del discorso acquisì un’inclinazione più precisamente psichiatrica a partire dall’incontro nazionale per la salute mentale nel 1958 in seguito al quale vennero avviati dei percorsi alternativi nei distretti di Beijing, Shanghai, Hunan, Sichuan and Jiangsu. Decisiva è stata la riforma economica, dopo la quale, gli ospedali sono diventati un possibile fonte di profitto al punto tale da far registrare tra il 1990 e il 2004 un aumento del 62% delle strutture dedicate ad assistenza, cura e riabilitazione di soggetti affetti da disagio psichico.
A partire dal 1990 alcuni psichiatri hanno cominciato a mettere in discussione la funzionalità di strutture troppo ampie e hanno cominciato a considerare altri e nuovi orientamenti in tema di salute mentale. Nel 1999 a Pechino un importante incontro internazionale tra dieci ministri cinesi e la World Health Organization sancisce la necessità di sviluppare, in sinergia tra diversi ministeri, un piano di gestione ad hoc per la salute mentale. Viene così siglato nel 2002 il primo Piano nazionale dedicato alla salute mentale, dal ministero della Salute, quello di Pubblica sicurezza e affari civili e la Federazione di persone disabili (Cdpf). A partire dai primi anni del 2000 dunque si manifesta una rinnovata attenzione nei confronti della salute mentale in seguito alla riconfigurazione delle città investite da processi di inurbamento progressivo seguiti all’aumento esponenziale dell’industrializzazione del Paese.
A fronte di una popolazione di più di un miliardo di cittadini e di sedici milioni di malati con disturbo mentale “severo”, risulta sempre più evidente come la necessità di costruire nuove strutture e quindi di sviluppare nuove modalità di gestione, sia impellente. A partire dal 2003 la Cina avvia una serie di scambi internazionali con diversi Paesi del mondo attraverso i quali approfondisce la conoscenza in materia di salute mentale e entra in contatto con i vari modelli di gestione possibile. Nel 2004, con il sostegno di un’équipe di sociologi economisti e psichiatri, si definisce l’architettura della prima riforma dedicata alla salute mentale attraverso la quale la salute mentale viene definitivamente inclusa nel sistema sanitario pubblico. Nasce così nel 2015 il progetto “686”, sotto il coordinamento di un’équipe di studiosi cinesi in collaborazione con una rete di esperti provenienti da tutto il mondo, allo scopo di creare una rete di servizi dedicati alla gestione della salute mentale su tutto il territorio cinese capace di integrare ospedale e funzioni di comunità e aiutare gli utenti a intraprendere percorsi di riabilitazione, di reinserimento abitativo e lavorativo nelle comunità di provenienza.
La Repubblica Popolare Cinese emana così la prima legge sulla salute mentale che diventa esecutiva nel maggio 2014. Obiettivo dichiarato della legge è la promozione della salute mentale, la definizione degli standard dei servizi e la salvaguardia dei diritti delle persone con problemi di salute mentale. Si affiancano agli ospedali psichiatrici - di cui dobbiamo immaginare un funzionamento classico: reparti chiusi, stanze contenenti fino a dieci posti letto, uso frequente dell’elettroshock, inferriate alle finestre, abuso di farmaci - nuove strutture integrate al territorio: Community mental health units, che, nonostante il rischio di mantenere un’inclinazione più contenitiva che sanitaria per ragioni prevalentemente culturali, costituiscono una nuova possibilità: quella di avvicinare la cura alle persone e ridurre le necessità di ricovero e quindi i rischi di istituzionalizzazione, sempre minori. In questo processo di cambiamento, è stato ed è tuttora decisivo il progetto sostenuto dall’Ue, promosso da Aifo con la collaborazione dell’Istituto di Salute Mentale dell’Università di Pechino/Sesto Ospedale, Solidarietà e Servizio, Aid and Service, e la Conferenza Permanente per la Salute Mentale nel Mondo Franco Basaglia, che consiste nell’apertura di Community mental health units nelle unità sanitarie di base e di Residential open units per persone con disturbo mentale dimesse dagli ospedali psichiatrici, insieme a un programma di informazione e sensibilizzazione dei dirigenti politici e della popolazione sui temi della salute mentale e contro lo stigma legato alla malattia mentale, di formazione dei familiari e di promozione di percorsi di automutuo aiuto.
Il percorso di definizione dei presupposti che hanno portato all’articolazione della nuova legge e le prospettive indicate dalla legge stessa, assieme all’apertura a progetti di cooperazione con altri Paesi, nonostante le serie difficoltà di applicazione, sembrano riuscire a raggirare la negazione dei diritti umani, scegliendo una strada più appartata e su cui l’attenzione fino ad ora è stata prevalentemente bassa. Così, se non altro apparentemente, i diritti degli ultimi, in quanto “ultimi” e quindi non considerati pienamente cittadini, diventano lo spazio più praticabile per sviluppare nuove pratiche di cittadinanza
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