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Manovra/ Previdenza, una “bufala” per le pensioni

di Claudio Testuzza

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24 Esclusivo per Sanità24

Come andare in pensione nel 2025? Anche alla luce delle ultime novità introdotte dalla Legge di Bilancio, facciamo chiarezza su età e requisiti contributivi richiesti a normativa vigente. Tendenzialmente, quando si parla in modo generico di pensione si fa riferimento alla cosiddetta pensione di vecchiaia. Trattamento pensionistico che viene erogato al raggiungimento di un’età anagrafica fissata per legge, in presenza di una contribuzione normalmente non inferiore a 20 anni.
Peculiarità della pensione di vecchiaia è quindi un requisito contributivo non eccessivamente severo – 20 anni, per l’appunto – a fronte di un requisito anagrafico ben più stringente: la cosiddetta età pensionabile. Per il 2024 è stata fissata a 67 anni per tutte le categorie di lavoratori, vale a dire uomini e donne, dipendenti e autonomi.
Come già visto, infatti, affinché il soddisfacimento del fabbisogno previdenziale possa essere mantenuto nel tempo, il sistema prevede alcuni elementi di stabilizzazione, introdotti anche per consentirgli di reggere alle trasformazioni demografiche in atto e al progressivo invecchiamento della popolazione. A tal fine, l’età pensionabile è quindi soggetta a degli adeguamenti periodici, in funzione della cosiddetta “speranza di vita”. Se la speranza di vita aumenta, aumenta anche la soglia anagrafica da raggiungere per poter accedere alla pensione di vecchiaia.
Per quanto riguarda i contributi considerati, vale invece la pena di precisare che, ai fini del raggiungimento dei 20 anni, vale la contribuzione a qualsiasi titolo versata o accreditata in favore dell’assicurato. Si considerano cioè egualmente “validi” contributi da lavoro, da riscatto, figurativi e versamenti volontari.
Merita poi particolare attenzione il caso dei cosiddetti “contributivi puri”, vale a dire quei lavoratori il cui primo versamento contributivo sia successivo alla riforma Dini e quindi decorra dall’1 gennaio 1996. Per loro, il doppio requisito anagrafico e contributivo non sarebbe in realtà sufficiente secondo quanto disposto dalla riforma Monti-Fornero, che ne prevedeva infatti un terzo, riguardante l’importo dell’assegno maturato, per un importo superiore a 1,5 volte all’assegno sociale (534,41 euro al mese per il 2024). Laddove non soddisfatto, la normativa vigente (sino al 31 dicembre 2023) sanciva che non fosse possibile ottenere la pensione, dovendo attendere – per prescindere dall’importo maturato - il raggiungimento dei 71 anni di età (“pensione di vecchiaia contributiva”).
La pensione anticipata contributiva è, invece, accessibile con 64 anni di età e 20 anni di versamenti ed è rivolta ai lavoratori c.d. “contributivi puri”, che hanno iniziato a lavorare e versare i contributi dopo il 31 dicembre 1995. Inoltre, l’accesso a tale trattamento pensionistico presuppone che l’importo della pensione sia, attualmente, almeno il triplo rispetto all’assegno sociale. In questo caso, per le donne con figli sono previsti benefici. Ogni figlio consente uno sconto di 4 mesi sull’età pensionabile, che può arrivare a 16 mesi per chi ha avuto almeno quattro figli. Inoltre, per le donne, il requisito dell’importo minimo della pensione può essere anche pari a 2,6 volte l’assegno sociale, se hanno avuto più di un figlio, o a 2,8 volte se ne hanno avuto uno solo.
La Commissione Bilancio della Camera ha approvato un emendamento, promosso dalla Lega, che consente a chi ha cominciato a lavorare dopo il 31 dicembre 1995 di utilizzare l’eventuale rendita della pensione complementare per raggiungere la soglia, già prevista, di importo minimo del trattamento, pari a 3 volte l’assegno sociale richiesta per accedere a questo tipo di anticipo. Doveva essere un modo per la Lega di farsi perdonare la promessa tradita di abolire la legge Fornero e le tante strette di questi anni per scoraggiare le pensioni anticipate. E invece riesce a fare quasi peggio dell’anno scorso, quando ai Millennials fu imposto, appunto, di uscire a 64 anni con 20 di contributi solo a patto di avere una pensione pari a 3 volte l’assegno sociale, anziché le 2,8 volte previste dalla Fornero,
In pratica, per i lavoratori “interamente contributivi” sarà possibile accedere al canale di pensionamento anticipato con almeno 64 anni di età grazie all’aiuto della previdenza integrativa. Si tratta di un emendamento che, ha detto il sottosegretario al Lavoro e vicesegretario della Lega Claudio Durigon, “premia la flessibilità in uscita”!? Per la prima volta nella previdenza italiana si potranno cumulare la previdenza obbligatoria e quella complementare per raggiungere un assegno pensionistico pari a tre volte il minimo, riuscendo ad anticipare la pensione a 64 anni. Si tratta di un grave vulnus al principio dei trattamenti integrativi. Il sistema pensionistico ha previsto, infatti, l’utilizzo di due fronti previdenziali: quello pubblico e quello integrativo. Quest’ultimo necessario, proprio, ad integrare i futuri trattamenti pubblici ritenuti insufficienti. Ma i due sistemi hanno come base due differenti concetti di risparmio. Il primo è un sistema “a ripartizione” dove i contributi dei lavoratori servono a pagare le pensioni degli anziani. Il secondo si base sulla “capitalizzazione”, cioè la procedura di investimento dei versamenti e del loro realizzo nel tempo. La prevista sommatoria dei due sistemi, anche se per meritevoli finalità, annulla i principi per cui è nata la forma integrativa.
C’è però un paletto che rende ancora più evidente la “bufala del provvedimento previsto: si potrà sì anticipare la pensione grazie all’integrazione della pensione privata (per esempio grazie a 200 euro al mese maturati grazie a un fondo pensione) ma allo stesso tempo la quantità di contributi richiesti viene aumentata. Dal primo gennaio 2025 passa dagli attuali 20 anni ai 25 per poi lievitare ulteriormente a 30 anni di versamenti dal 2030, allorquando anche il valore soglia sale a 3,2 volte l’assegno sociale. Chi vorrà cogliere questa opportunità dovrà quindi aver versato per anni i propri risparmi in un fondo pensionistico complementare e aver, contemporaneamente, anche iniziato a lavorare molto presto e versato nella cassa pensionistica pubblica per più di 25 anni.
Per i lavoratori totalmente contributivi che non utilizzeranno la spinta dell’integrativa, l’accesso con questo anticipo rimarrà comunque, come già previsto dalla vituperata, ma mai scalfita, riforma Fornero con 64 anni e 20 di contributi. Ancora una volta si peggiora la legge Monti-Fornero, quella norma così tanto criticata negli anni ma che continua ad essere consolidata e applicata, senza alcun intervento strutturale per superarla.


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