Dal governo
Regionalismo differenziato: la sentenza della Corte costituzionale trascina i Lea all’infinito
di Ettore Jorio
24 Esclusivo per Sanità24
Mi passa un brutto pensiero per la testa: quello di assistere alla esigibilità degli attuali Lea che dal 2001 stanno rendendo una tutela della salute una minaccia alle condizioni di benessere della popolazione. E già perché la loro revisione del gennaio 2017, dopo sedici anni di colpevole inerzia, rappresenta un grave errore di ipotesi di ciò che deve essere l’assistenza sociosanitaria alla persona, superstite dal Covid. Le cose continuano ad andare come sempre, con i Lea usati come metro per misurare lo stato di efficienza dei servizi sanitari regionali, peraltro senza tenere conto delle inerzie che hanno consentito alla pandemia di fare ciò che ha voluto e di produrre danni inenarrabili.
Un modo, questo, per lasciare le cose come sono (pessime) e rendicontare insuccessi trasformandogli la denominazione in promozioni gratuite.
La recente sentenza della Consulta sulla legge Calderoli mi mette paura al riguardo: lascia a terra i Lea del 2001/2017, disegnando per il futuro prossimo il peggio del passato.
Dei sette punti, riguardanti altrettanti articoli della legge Calderoli ritenuti dalla Consulta incostituzionali, sono almeno tre che mi generano una triste sorpresa. Meglio, una perplessità su un tema non propriamente secondario, che mette i bastoni tra le ruote alla messa a terra del federalismo fiscale. Un argomento che peraltro ha poco a che fare con il regionalismo differenziato, perché inteso esclusivamente a garantire a tutta la Nazione un eguale trattamento nell’esigere le prestazioni essenziali.
Certamente, la decisione assunta riproporrà quella perdita di tempo stigmatizzata pesantemente dalla stessa Corte costituzionale nella sua sentenza nr. 242/2022 (red. Buscema). Quell’apprezzabile dictum con il quale il Giudice delle leggi ebbe a bacchettare gli allora dodici Governi (cui si aggiunge l’attuale) perché inattivi per la bellezza di ventuno anni (oggi quasi 24) nella concreta attualizzazione dei LEA. Quelli che altro non sono che i LEP specializzati in materia di assistenza sociosanitaria, erogati in tutto il Mezzogiorno sotto la soglia minima. Per non parlare dei già Liveas difficili a rintracciare nella erogazione locale a cura dei Comuni.
Eh già perché con i LEA siamo ancora fermi a quelli del Dpcm del 29 novembre 2001, rivisti il 12 gennaio del 2017, solo allora comprensivi di quelli afferenti all’assistenza sociale. Nessuno di questi godibili come Iddio comanda (Consulta del 2022 dixit), tanto da far divenire obsolescenti le prestazioni attive a carico del Ssn, con la conseguenza che un siffatto ingeneroso ritardo quasi venticinquennale «non trova alcuna giustificazione in relazione a un tema essenziale per la garanzia del diritto alla salute in condizioni di eguaglianza su tutto il territorio nazionale, senza discriminazione alcuna tra regioni».
Ebbene a fronte di questo, ma soprattutto tenendo conto di ulteriori quatto importanti sentenze della Consulta (nr. 282, 407 e 510/2002 e 88/2003), ci fu una consacrazione dell’allora Dpcm del 29 novembre 2001, nel senso che fu ritenuto motivatamente idoneo a rappresentare la corretta fonte normativa chiamata a determinare le prestazioni essenziali relative ai LEP/LEA.
Insomma, appena due anni fa, la Consulta affermò due principi - entrambi a difesa del diritto interesse della persona a godere della tutela della salute, a mente dell’art 32 della Costituzione – nei confronti dei quali oggi si contraddice.
Al riguardo, non è infatti data comprendere la ratio del secondo e terzo punto di incostituzionalità. Più esattamente, di quelli riguardanti:
a) il conferimento di una delega legislativa per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (LEP) priva di idonei criteri direttivi, con la conseguenza che la decisione sostanziale viene rimessa nelle mani del Governo, limitando il ruolo costituzionale del Parlamento.
b) la previsione che sia un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (dPCm) a determinare l’aggiornamento dei LEP.
Ciò in quanto sono due le eccezioni che negano l’attivazione della procedura utile a pervenire alla medesima conclusione provvedimentale di quanto deciso nel 2001 e nel 2017. Un risultato che sarebbe in corretta continuità con il poker di sentenze della Consulta che ne ebbero a dichiarare la piena costituzionalità. Anzi, per come da ultimo individuato nella legge 86/2024, eleverebbero il titolo giuridico del provvedimento governativo, passandolo dal DPCM ad atto/i avente valore di legge: tanti decreti legislativi quanto saranno i Lep individuati, da ultimo, nella legge Calderoli in un atto avente valore di legge.
In relazione all’altro punto, scandito al punto quattro delle eccezioni, molto prossimo ai cartellini gialli del ritardo espressi nell’anzidetta sentenza della Corte costituzionale dell’1 dicembre 2022 nr. 242, è difficile comprendere l’attuale assunto della medesima. Ciò almeno sino a quando non si avrà modo di leggere le relative motivazioni nella sentenza. Il punto critico che riguarda la rilevata incostituzionalità - che è assolutamente propedeutico alla velocizzazione della definizione dei Lep e quindi agli elementi economico-finanziari che ne assicurerebbero la sostenibilità – è la bocciatura del ricorso al Clep, presieduto da Cassese. Prescindendo dal fatto che lo stesso trova la disciplina nella legge di bilancio per il 2023 (commi 791-801bis), non se ne comprende sia l’intervenuto esame che la ragione del decisum. Essendo quest’ultima rintracciabile nella esigenza di individuare, dopo un’inerzia durata venticinque anni, quali siano i Lep riconducibili a tutte le materie individuate nell’art. 117 della Costituzione, non solo a quelle differenziabili. Peraltro, da definire con decreti legislativi, preventivamente sopposti al giudizio del Parlamento.
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