Dal governo
La riforma del Ssn deve puntare su assistenza territoriale, nuove tecnologie e capitale umano
di Ettore Jorio
24 Esclusivo per Sanità24
Un Paese, una politica, uno stuolo di tecnici, numerosi organismi, molti dei quali di irragionevole esistenza, che trattano l’assistenza sociosanitaria come se fosse un gioco. Spesso peggio di come lo è stata negli anni precedenti.
Una fotografia non corrispondente alla verità
La scrutano da postazioni urbane senza considerare la situazione drammatica della periferia, come se la giudicassero da un attico di Milano ovvero una finestra medicea di Firenze. La analizzano senza canoni di riferimento corretti e universali, tanto da essere condizionati da inconcepibili privilegi alla faccia di chi sta in lista d’attesa eterna, spesso causa di irrimediabilità della patologia sospetta divenuta acclarata per colposo ritardo di diagnosi o intervento chirurgico. La certificano senza avere visitato mai un periferia calabrese ovvero siciliana, ma anche nel centronord Italia montano.
A fronte di tutta questa somma di reati sociali e non solo, nessuno ragiona, tutti la mettono in quel sonno che genera i mostri (Goya dixit). Chi è al timone da decenni è privo di patente nautica ma soprattutto inesperto ad affrontare un mare in tempesta, così com’è da immaginare il Ssn «senza uomini e merci nonché sprovvisto di scialuppe di salvataggio».
Al comando troppi inadeguati che si susseguono
Chi lo governa - lo Stato con i principi fondamentali, ripetutamente elusi nel consentire alle Regioni, per esempio, l’esercizio della libera fantasia delle Regioni di mettere in campo quelle mostruosità giuridiche che sono le Aziende Zero ovvero di rimettere ad un decreto ministeriale (DM77/2022) la ridefinizione dell’assistenza territoriale, e le Regioni con le leggi di dettaglio - tradisce apertamente, coscientemente e consapevolmente il mandato costituzionale di assicurare la tutela della salute, diritto fondamentale.
Ciò ha generato disastri da nord a sud, pur nelle differenze tradizionali di un settentrione avvezzo ad investire nella componente privata, e da est ad ovest un disastro in progress, emerso maggiormente con la incapacità di programmare un piano anti-pandemico e dare risposte al Covid.
Gli errori di ipotesi sprofondano il welfare nell’ultimo girone dell’inferno
Davanti ad un tale disastro, la politica genera e rivendica l’indicibile accusandosi vicendevolmente di mettere pochi quattrini nella sanità, ritenendo oggi sbagliato non rapportarli al Pil ma conteggiarli per saldo assoluto. Il tutto rapportato alle previsioni di valori che non si capisce da dove arrivino: necessitano X miliardi per taluni, XL per talaltri e XXL per i restanti.
Ma per fare cosa nessuno lo dice perché non lo sa. Riesce a proporre un sogno irrealizzabile di trovare in patria il personale sanitario che non c’è. Ciò sulla base della corresponsabilità storica e di tutti di non aver tenuto conto del pericolo sempre imminente e, nonostante ciò, mantenere in piedi numeri chiusi di accesso alle università per le professioni medicali. Insomma, si profila da qualche anno una politica da urlatori, in quanto nessuno pensa a come ristrutturarla radicalmente, dimostrando di trattare l’organizzazione esistente come una autovettura che, per vetustà, consuma due chilometri con un litro e mezzo di benzina imponendola come taxi nel servizio di trasporto pubblico urbano.
Il punto è cosa e come fare
La cosa più grave, nella logica di concretizzare quella rivoluzione necessaria a portare la salute a casa e nei luoghi di lavoro degli italiani, è che nessuno parla della sanità che verrà, o forse che in parte sta già avvenendo con l’ingresso della intelligenza artificiale e con la progettazione di quella cosiddetta generativa. Il ragionamento sembra tuttavia limitato ai fenomeni gestiti in telemedicina ovvero mediante il ricorso alla robotica chirurgica, confondendo ciò con l’introduzione a regime dell’intelligenza artificiale, per la cui sopravvenienza operativa nell’ambito sociosanitario ci vorrà ancora diverso tempo e una maggiore diffusa conoscenza. Nel frattempo si fa uso di un linguaggio atecnico per vendere al grande pubblico la messa a terra, meglio nelle corsie ospedaliere, dell’intelligenza artificiale. Ciò in riferimento ad altre metodiche che sono tutt’altro, del tipo la telemedicina, la robotica chirurgica, l’utilizzo di metodologie elettroniche che passano sotto la denominazione di wearable device e via dicendo.
Al riguardo, sono tante le soluzioni fantasiose che si sentono in giro, molte delle quali offrono premature soluzioni risolutive con l’applicazione della IA. Alcune delle quali addirittura estese alla programmazione, pianificazione e organizzazione dei trattamenti sanitari nonché ad una IA funzionale all’immediato superamento delle liste di attesa. La IA va trattata con maggiore conoscenza e consapevolezza da parte della governance della salute nonché con le dovute cautele perché potrebbe diventare una soluzione con tanti rischi, molti dei quali causati da ricognizioni errate (ovvero mai fatte) dell’esistente storico.
Pertanto, sarebbe un bel guaio andare dietro a pericolose castronerie, che rischiano peraltro di suscitare aspettative irrealizzabili, quantomeno nel breve periodo, in “ambito oncologico”. Ciò perché occorre essere responsabilmente consci della logica che il patrimonio dei dati tesorizzato dall’IA in materia sociosanitaria è certamente vittima delle informazioni farlocche assunte negli anni pregressi, senza che gli stessi siano stati validati da ricognitori esperti dei fabbisogni epidemiologici e dei rischi epidemici.
Proprio per questo motivo, diventa importantissimo pensare ad una riforma strutturale fondata su tre importanti presupposti: come dare risposte in termini di prevenzione in ambienti di vita e di lavoro, iniziando a reinventare un ruolo diverso ai medici di famiglia; come introdurre a sistema le rinnovate metodologie di cura e anche di riabilitazione; come esercitare la funzione cosiddetta HR, ovverosia afferente al capitale umano, da rivedere implementando il personale dipendente in termini di professionalità e competenza in linea con la modernizzazione dell’assistenza sociosanitaria. Il tutto con notevole ridimensionamento del tradizionale personale amministrativo e tecnico, in favore del quale si stanno spendendo inutili e gravosi selezionamenti concorsuali, utilizzando graduatorie vecchie di anni.
Al riguardo, nella tutela della salute, occorrono nuovi titoli di lavoro, ai quali anche le Università dovranno dare spazio didattico, anche nel post laurea. L’IA, al contrario di come si pensa da parte di chi le attribuisce la qualità di fantascienza, è una creatura artificiale cui bisogna tanto impegno dell’intelligenza naturale, quella umana. Da qui, l’urgenza di provvedere da ieri alla formazione specifica, sulla base della incidenza che essa avrà nel governo dell’offerta sociosanitaria, ove assumerà nella continuità un ruolo emergente. Conseguentemente, per garantire un livello prestazionale nel suo ambito applicativo occorrerà avere presenti nell’organico del Ssn figure professionali nuove e insostituibili, pena la schizofrenia dell’apporto dell’IA in termini di dati elaborati e soluzioni fornite.
Considerato il veloce cammino che sta facendo la IA Generativa necessiterà la formazione applicata per assicurare al sistema della salute: curatore e manutentore di contenuti e dati per la IA generativa/IA; specialisti in immissione ed elaborazione dei dati (Input e Output specialist); progettisti di sistemi informatici (database architect); lo sviluppatore di applicazioni pratiche di IA Generativa (LLM developer/GenIA engineer); i progettisti di prompt, destinati a guidare le soluzioni di IA Generativa per generare i risultati desiderati (Prompt engineer); i programmatori specializzati nella codifica lato server, operante dietro pagine web (server side), così definito perché opera invisibilmente in contrapposizione al front end, che indica invece gli elementi visibili agli occhi dell’utente, elaborati lato client (client side); e poi analisti, graphic designers, creatori di sistemi e software devepolers (si veda IlSle24Ore del 30 ottobre scorso). Insomma, occorre a valle di un largely culturalized management sul tema specifico un organico specializzato a tal punto di mettere in moto la macchina dell’IA. Ciò quanto sarà pronta ad affrontare il suo ruolo sulla base di una mega elaborazione di dati rappresentativi delle verità occorrenti sostitutivi di quelli accumulati oggi con tanta superficialità.
Un Ssn da riscrivere e da preventivare ragionevolmente nei costi
Concludendo, altro che qualche miliardo di euro in più, il sistema è tutto da riscrivere, da preventivare ragionevolmente nei costi e da programmare nelle formazioni del personale, da reimmaginare iniziale e on the job, in linea con l’introduzione a regime del finanziamento pubblico fondato sui Lep e sul federalismo fiscale nonché dall’IA stricto sensu e non già di quella che oggi viene da più parti riconosciuta come tale. Un cambio di marcia e un consistente impegno di maggiori risorse, budgettizzate oggi - senza ricorso a previsioni razionali, ragionevoli e documentate nonché basate su costi unitari dei Lep ancora da individuare – nella misura di 80/100 miliardi di euro annui indispensabili per sostenere la maggiore spesa corrente.
Fare così - sparando numeri a caso senza sapere quali siano i Lep, quanto costino singolarmente e quanto occorra per il soddisfacimento dei fabbisogni di salute regionali differenziati – si generano danni di ipotesi irreparabili, abbondantemente maggiori di quelli che sta già arrecando alla Nazione intera il Ssn.
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